Un Cenacolo... tessuto: storia dell'arazzo dell'Ultima Cena donato per un matrimonio regale


I Musei Vaticani conservano uno straordinario arazzo cinquecentesco che riproduce l’Ultima Cena di Leonardo: fu donato nel 1533 da re Francesco I a papa Clemente VII in occasione del matrimonio tra la nipote del pontefice, Caterina de’ Medici, e il figlio del re Enrico di Valois.

L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519), il capolavoro che il genio dipinse sulla parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, è considerata una delle opere fondamentali della storia dell’arte per la sua straordinaria capacità narrativa grazie alla quale un episodio biblico è diventato una scena realistica, per l’illusione ottica con cui l’artista ha dato forma allo spazio disponendo i dodici apostoli in piccoli gruppi frontalmente all’osservatore e facendo vedere a qualsiasi riguardante il tavolo da un irrealistico punto di vista, e per aver saputo far esprimere a Cristo e agli apostoli i vari moti dell’animo rendendoli tutt’altro che figure statiche. Inoltre, a differenza dei cenacoli della tradizione, il tavolo non è posizionato vicino a una parete, ma al centro di un ambiente che pare estendersi anche oltre i personaggi. Il Cenacolo di Leonardo fu percepito fin da subito come un capolavoro innovativo e per questo cominciarono a comparire copie su tela (una è attestata ad opera di Marco d’Oggiono su commissione nel 1506 del decano del capitolo della cattedrale francese di Sens, Gabriel Gouffier, oggi conservata al Musée National de la Renaissance di Écouen).

Ai Musei Vaticani è conservata una copia in tessuto ricamato con materiali preziosi: uno splendido arazzo che venne donato in occasione di un importante matrimonio e che suggellò una significativa alleanza, e che poi in breve tempo diventò protagonista di una delle più suggestive cerimonie papali. La sua storia è stata raccontata da Alessandra Rodolfo e Andrea Merlotti, curatori della mostra All’Ombra di Leonardo. Arazzi e cerimonie alla corte dei papi (dal 21 marzo al 3 settembre 2023 alla Reggia di Venaria), di cui il citato arazzo ostituisce il fulcro principale grazie all’importante collaborazione con i Musei Vaticani. Una mostra per raccontare non solo la storia dell’arazzo leonardesco, ma anche l’importante ruolo dei riti, che si diffusero dalla Francia a tutte le altre corti d’Europa. Nelle loro regge tutti i monarchi cattolici imitavano le cerimonie del pontefice, e addirittura diversi sovrani fecero collocare nelle sale in cui si teneva il rito della Lavanda dei piedi arazzi o dipinti che raffiguravano l’Ultima Cena. Questo perché ogni anno, durante la Settimana Santa, l’arazzo veniva esposto nella Sala Ducale del Palazzo Vaticano, dove all’ombra dell’opera si svolgeva questo rito solenne.

Manifattura brussellese (?), Ultima Cena, copia da Leonardo da Vinci (1516-1533; arazzo in seta e filati metallici in argento e oro; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Foto © Governatorato dello Stato della Città del Vaticano - Direzione dei Musei Vaticani
Manifattura brussellese (?), Ultima Cena, copia da Leonardo da Vinci (1516-1533; arazzo in seta e filati metallici in argento e oro; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Foto © Governatorato dello Stato della Città del Vaticano - Direzione dei Musei Vaticani

Ma vediamone più nel dettaglio la storia, approfondita dalla curatrice nel saggio del catalogo. Come già accennato, il prezioso arazzo intessuto in seta e oro venne donato in occasione di un matrimonio, ovvero l’unione tra Caterina de’ Medici, nipote di papa Clemente VII, ed Enrico di Valois, secondogenito del re di Francia Francesco I. L’opera era stata donata da re Francesco I al pontefice ed era arrivata a Roma dalla Francia nel 1533. Le nozze furono concordate dopo lunghe trattative: il papa poteva rafforzare in questo modo l’alleanza tra i Medici e la corona francese, limitando il potere di Carlo V in Italia che nel 1527 era stato responsabile del sacco di Roma, mentre Francesco I poteva rafforzare il suo potere sull’Italia e controbilanciare il potere degli Asburgo. Il matrimonio fu celebrato a Marsiglia e vi partecipò anche il papa, arrivato via mare accompagnato da cardinali e prelati; era poi avvenuto lo scambio di rari e preziosi doni. Si sa dal borghese Honorat de Valbelle che qualche giorno dopo le nozze la Sala Grande, ovvero la cappella del papa in cui era stata detta messa, era stata lasciata aperta per far vedere, oltre alle reliquie che il papa aveva portato da Roma, anche l’arazzo, che Francesco I aveva voluto esporre. “Credo che questo arazzo sia il più ricco e il migliore che io abbia mai visto”, aveva commentato Honorat de Valbelle. “È intessuto d’oro, d’argento e di fine seta dai colori delicati, con personaggi così ben fatti che sembrano vivi”.

L’arazzo è una fedele riproduzione del Cenacolo di Leonardo (ha anche le stesse misure) per quanto riguarda la composizione delle figure degli apostoli attorno al tavolo e la tavola imbandita. È riprodotta persino la pennellata leonardesca, il suo famoso sfumato, grazie alla tecnica dell’achure, che crea sfumatura e rende gli incarnati delle figure umane come fossero vive. Anche le nature morte sulla tavola sono rese con altissima qualità tecnica, creando addirittura trasparenze. Ma l’ambientazione è diversa rispetto al dipinto murale di Santa Maria delle Grazie: non vi sono il soffitto a cassettoni e i quattro grandi arazzi su ciascuna parete laterale, ma quinte architettoniche d’impianto rinascimentale. Le arcate si alternano a pilastri decorati; dietro alla balaustra si intravedono alcuni edifici, mentre dietro alle arcate si vede un paesaggio con un castello, degli edifici e un ruscello che digrada verso colline e montagne. Sopra le tre arcate corre un fregio con cavalli alati, conchiglie e candelabra, e dalla balaustra pende lo stemma coronato del re di Francia con gigli d’oro in campo azzurro circondati dal collare dell’ordine di San Michele.

Sul bordo che circonda l’intera scena si notano invece simboli che rimandano a Francesco I e a sua madre Luisa di Savoia: a lei è legato ad esempio il simbolo delle ali, che richiama la sua massima: “Dio mi ha dato delle ali, io volerò e riposerò”, mentre le salamandre sono legate al re. Ai due angoli inferiori del bordo vi è invece il monogramma LOSE che rimanda alla figura di Luisa, al suo casato, a quello dei Savoia, a quello del marito Carlo d’Angoulȇme del ramo Orleans e al titolo di signora d’Épernay e Romorantin. Sei salamandre non coronate nelle fiamme, due nei bordi orizzontali e una centrale nei bordi verticali, si trovano nella scena principale, rimandando esplicitamente a Francesco I che adotta il simbolo dal 1504. Negli angoli del bordo superiore ci sono invece quattro F e un nodo forse associabili al monogramma di Francesco I simile a quello sulla lama della spada di Francesco conte d’Angoulȇme oppure associabile a Claudia di Francia, moglie di Francesco I. L’intera fascia decorata è arricchita da nodi, simbolo di casa Savoia ma anche di Francesco I che li aveva adottati in segno di gratitudine verso san Francesco di Paola, al quale Luisa si era raccomandata per diventare madre.

L’arazzo non viene mai menzionato tuttavia prima del 1533: viene citato per la prima volta in un inventario presso il castello di Blois, tra i tessuti selezionati per essere portati a Marsiglia per il matrimonio. Della sua storia precedente non si sa molto: resta sconosciuto il luogo della sua realizzazione, anche se gli studiosi hanno finora indicato i Paesi Bassi, importante centro di produzione di arazzi di alta qualità. Nella sua Histoirie sur les choses faictes et advenues en son

Leonardo da Vinci, Ultima Cena (1493-1498; tempera su intonaco, 460 x 880 cm; Milano, Santa Maria delle Grazie)
Leonardo da Vinci, Ultima Cena (1493-1498; tempera su intonaco, 460 x 880 cm; Milano, Santa Maria delle Grazie)

temps en toutes les parties du Monde, Paolo Giovio, raccontando dello scambio di doni avvenuto nel 1533 tra papa Clemente VII e re Francesco I, ricorda “un arazzo molto grande, realizzato nelle Fiandre, in cui si vede l’Ultima Cena di Cristo con gli apostoli, ricamato d’oro su tela”. E data la qualità con cui si realizzavano gli arazzi in quell’area e la passione del re e della madre Luisa per le manifatture fiamminghe è molto credibile.

Per quanto riguarda la datazione, la presenza della salamandre non coronate e l’ipotesi della successiva aggiunta dello stemma reale hanno fatto pensare a una data antecendente al 1515, anno in cui Francesco conte d’Angoulȇme, diventa re. L’ipotesi è stata però smentita dal recente restauro che ha rivelato una tessitura unitaria priva di aggiunte nel retro del panno dello stemma, che ha stabilito che quest’ultimo non è stato tessuto in un secondo momento ma insieme al resto dell’arazzo. Perciò l’arazzo venne realizzato dopo il 1515; a confermarlo è anche la presenza del doppio cordone nel collare dell’ordine di San Michele intorno allo stemma, sostituito da Francesco I poco dopo essere diventato re alle originarie "aiguilletes" che collegavano le conchiglie tra loro, durante una delle prime riunioni dell’ordine a Blois nel settembre 1516.

L’opera è citata nuovamente nel 1533 in un mandato di pagamento datato 28 novembre e intestato a Nicolas de Troyes, argentiere del re che ricevette una notevole somma per l’acquisto di seta e tele d’oro e argento per l’arricchimento dell’arazzo: probabilmente ci si riferisce alla bordura in velluto rosso con ricami d’oro e seta e cifre ricamate che compare ancora in alcune litografie ottocentesche, ma che oggi non è più presente. Riassumendo, l’arazzo dovrebbe essere stato tessuto dopo il settembre 1516, anno della modifica del collare dell’ordine di San Michele, ed entro il 1533, forse anche entro il 1524, anno della scomparsa della moglie di Francesco I, Claudia di Valois, la cui iniziale compare associata a quella del marito nelle bordure.

Uno spostamento di datazione che potrebbe essere significativo se si pensa che Leonardo da Vinci giunse ad Amboise nell’autunno del 1516 presso la corte francese e, come ipotizzato da Jan Sammer, è probabile che il genio venne invitato da Francesco I ad andare ad Amboise in occasione del loro incontro a Milano nel novembre 1515 quando il re andò a vedere il Cenacolo. Forse l’idea di realizzare un arazzo che raffigurasse l’Ultima Cena di Leonardo potrebbe essere scaturita in quell’occasione. E forse in Francia, sotto la supervisione dello stesso Leonardo, venne realizzato il cartone dell’arazzo (rimane ancora sconosciuto l’autore del cartone) sul quale poi venne compiuta la successiva tessitura, ma è solo un’ipotesi. Di certo Francesco I era un grande estimatore di Leonardo, tanto che lo chiamò alla sua corte.

L’arazzo in questione è tra i più antichi delle collezioni vaticane, dove è registrato per la prima volta nell’inventario del 1536, e venne spesso utilizzato nel cerimoniale di corte. Veniva esposto in importanti cerimonie religiose, come il Corpus Domini, durante la quale il manufatto era posto accanto agli arazzi di Raffaello, o nel cerimoniale della Lavanda dei piedi che si svolgeva il Giovedì Santo nella Sala Ducale del Palazzo Apostolico. In quest’ultima occasione il pontefice svolgeva il cerimoniale nell’ambiente interamente decorato da damaschi trinati d’oro e dall’arazzo dell’Ultima Cena che veniva appeso sopra il palco su cui stavano i tredici poveri che attendano che il pontefice imitasse il gesto fatto da Gesù agli apostoli.

A causa del frequente utilizzo e della fragilità del manufatto, l’arazzo cominciò a deteriorarsi: venne restaurato nel 1681, come i documenti riportano, e poi circa cento anni dopo, nel 1763, fino a quando si decise di farne realizzare una copia da utilizzare al suo posto per preservarlo: questa venne compiuta tra il 1780 e il 1795 su cartone di Bernardino Nocchi.

La storia dell’Ultima Cena tessuta in oro e seta ha dunque inizio nel Cinquecento, anche se è poco conosciuta; ha forse visto lo stesso Leonardo da Vinci, ha svolto un importante ruolo sia politico che religioso, ma soprattutto è uno straordinario manufatto di elevatissima qualità artistica che ancora oggi le collezioni vaticane custodiscono.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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