Le strade del neon sono infinite


Nell’arte contemporanea è un continuo proliferare di opere al neon, mezzo ormai sicuro per ottenere successo. Così legioni di artisti armati di cacciavite e fili elettrici hanno iniziato a riempire di neon ogni parete e ogni soffitto. Un’ironica riflessione di Giuseppe Veneziano.

Una fenomenologia interessante da studiare per chi vuole approcciarsi all’arte contemporanea senza farsi distrarre da troppi concetti iperbolici è l’uso prolisso delle scritte al neon. Schiere di artisti appartenenti al club dei “furbetti del sistemino”, comprendendo la facilità seduttrice del neon, si sono affrettati a cambiare direzione al proprio lavoro e – armati di cacciavite e fili elettrici (ma solo per le foto) – hanno iniziato a riempire di neon ogni parete e soffitto che si prospettava loro davanti.

Andiamo con disordine: uno dei più rinomati pionieri del neon è stato il celebratissimo Lucio Fontana. Il nostro esimio tagliatore di tele, nel 1951, realizzò un’installazione avveniristica alla IX Triennale di Milano: fece fissare sul soffitto, con fili d’acciaio, un tubo al neon lungo cento metri tutto intrecciato (l’opera è oggi riprodotta al Museo del Novecento di Milano). Posso immaginare lo stupore di uno spettatore dell’epoca nel momento in cui veniva investito visivamente da qualcosa di insolito in uno spazio espositivo: l’effetto wow era assicurato. Anche se, immediatamente dopo, si domandava: “Perché questi neon dentro un museo pubblico sono arte, e fuori sono semplici insegne?”. Mentre rifletteva su tutti i danni che aveva procurato Duchamp, qualcuno alle sue spalle mormorava: “Il mio elettricista con trentamila lire avrebbe fatto meglio!”.

Milano, Museo del Novecento, Sala Fontana. Foto: Laura Denu
Milano, Museo del Novecento, Sala Fontana. Foto: Laura Denu
Maria Adele Del Vecchio, Sentinella, a che punto è la notte (2013; luce al neon, 10 x 154 cm, ed. 3 + 1 AP). Foto: Finestre sull'Arte
Maria Adele Del Vecchio, Sentinella, a che punto è la notte (2013; luce al neon, 10 x 154 cm, ed. 3 + 1 AP). Foto: Finestre sull’Arte
Marcello Maloberti, Gli sbagli si infilano come perle (2023). Foto: Finestre sull'Arte
Marcello Maloberti, Gli sbagli si infilano come perle (2023). Foto: Finestre sull’Arte
Glenn Ligon, Siete ospiti (2018). Foto: Finestre sull'Arte
Glenn Ligon, Siete ospiti (2018). Foto: Finestre sull’Arte

Quasi dieci anni dopo, Dan Flavin non fece neanche la fatica di deformare i tubi al neon: li usò direttamente così come erano in commercio per confondere ancor di più lo spettatore che non capiva se si trattassero di luci per illuminare la stanza o di opere d’arte.

Altri precursori del neon che hanno dato luce alle loro idee sono gli americani Joseph Kosuth e Bruce Nauman, entrambi ottantenni e in piena attività. Da oltre sessant’anni continuano imperterriti a disseminare scritte e disegni al neon ovunque. La strada aperta dai due ha fatto proseliti, riempiendo biennali e altri eventi d’arte di opere al neon. Chissà cosa diranno di più interessante e originale gli avventori dell’ultimo momento? Vuoi vedere che questa del neon è l’espediente più semplice per fare arte contemporanea? Basta chiamare una ditta di insegne luminose, dettare la frase estrapolata da qualche libro o suggerita dal nonno in sogno (a Mario Merz, per esempio, è apparso direttamente Fibonacci che gli ha suggerito i suoi numeri). Nel momento in cui la ditta consegna al gallerista il prezioso contenuto del pacco, il gioco è fatto. Se qualcuno pensa che per fare l’artista bisogna avere talento, studiare, viaggiare e investire tempo e denaro nella propria formazione, ha sbagliato tutto: basta seguire la strada del neon, ed è subito arte contemporanea.

Possibile che, dopo settantacinque anni, non ci sia stata nessuna evoluzione nell’arte del neon? In realtà qualcosa è successo, ma è stato più un ritorno al futuro che una vera evoluzione. Ha fatto molto discutere, quest’estate in Versilia, una mostra di Marinella Senatore in cui attorno alla solita scritta al neon ha costruito un’impalcatura di luminarie. Il popolo eletto dell’arte contemporanea, appartenente all’élite degli illuminati, ha acclamato l’artista e applaudito l’originalità dell’opera. Sarà, ma tutta questa originalità non mi sembra ci sia stata.

Dan Flavin, Senza titolo (Blue and Red Fluorescent Light) (1970 circa; neon, 122,5 x 61,5 cm; Ginevra, MAMCO)
Dan Flavin, Senza titolo (Blue and Red Fluorescent Light) (1970 circa; neon, 122,5 x 61,5 cm; Ginevra, MAMCO)
Joseph Kosuth, Neon (1965 circa; neon, 10,5 x 35,5 x 4,5 cm; Ginevra, MAMCO)
Joseph Kosuth, Neon (1965 circa; neon, 10,5 x 35,5 x 4,5 cm; Ginevra, MAMCO). Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Io contengo moltitudini, Marinella Senatore
Allestimenti della mostra Io contengo moltitudini, Marinella Senatore. Foto: Finestre sull’Arte

“Io contengo moltitudini” era la scritta gigante che capeggiava l’installazione della Senatore: concetto molto interessante per chi queste moltitudini le ha vissute veramente, come Andrea Pazienza che in tempi non sospetti scriveva: “E ringrazia che ci sono io, che sono una moltitudine”. Ricordo anche una mostra del 2007 di Pierluigi Calignano presso la galleria Antonio Colombo di Milano, dove enormi luminarie circolari riempivano gli spazi; altri artisti come Domenico Pellegrino e Davide Cesaria da molti anni elaborano nuove forme con le luminarie come linguaggio artistico, ostinandosi a realizzare personalmente le loro opere, ignorando la pratica dell’artista contemporaneo che per essere accolto nei salotti buoni deve limitarsi solo a idearle.

È notizia di questi giorni che il Premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato allo scrittore ungherese László Krasznahorkai. Su tutti i giornali è ricorrente una sua frase: “Un mondo diverso sta per arrivare, un mondo di inganni, di raggiri, di illusioni e manipolazioni della realtà”. All’erta.

Opere di Pierluigi Calignano in mostra nel 2007 alla galleria Antonio Colombo Arte
Opere di Pierluigi Calignano in mostra nel 2007 alla galleria Antonio Colombo Arte
Domenico Pellegrino, I'm the island (2019)
Domenico Pellegrino, I’m the island (2019)
David Cesaria, Disagio (2022; luci e legno, 60 x 40 cm). Foto: Momart Gallery
David Cesaria, Disagio (2022; luci e legno, 60 x 40 cm). Foto: Momart Gallery

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Giuseppe Veneziano

L'autore di questo articolo: Giuseppe Veneziano

Giuseppe Veneziano (Mazzarino, 1971) è uno dei più noti artisti italiani. Dopo gli studi in architettura, si trasferisce a Milano per dedicarsi alla pittura, affermandosi come figura di spicco della “New Pop italiana”. La sua pittura rielabora le icone pop della nostra società in chiave spesso ironica e dissacrante. Con le sue mostre si è reso spesso protagonista del dibattito artistico e culturale nazionale e internazionale.



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