Prestiti di Leonardo e Raffaello, Francia batte Italia 21-7. Franceschini, cosa fai?!


L'accordo tra Italia e Francia per i prestiti di Leonardo e Raffaello non è solo pesantemente squilibrato. C'è da domandarsi se i prestiti abbiano senso e siano utili.

Lo scambio d’opere tra Italia e Francia per le mostre che celebrano i cinquecentenarî delle scomparse di Leonardo e Raffaello (nel 2019 il vinciano, nel 2020 l’urbinate) prevede che dall’Italia partiranno per la Francia ventun opere, tra quelle di Leonardo da Vinci e quelle di altri suoi illustri colleghi (a cominciare dal Verrocchio), mentre la Francia si priverà di sole sette opere di Raffaello. Che ci sia un forte squilibrio risulta evidente non solo dai numeri, ma anche dalla forma escogitata per inquadrare i prestiti: il “Memorandum d’Intesa”, ovvero l’accordo firmato il 24 settembre dai ministri della cultura d’Italia e Francia, Dario Franceschini e Franck Riester, include infatti lo scambio di sette opere per parte, e prevede che le altre in arrivo dall’Italia figurino invece come “opere non oggetto del Memorandum” (ma comunque prestate dai nostri musei statali). Questo però non cambia in alcun modo la sostanza: la Francia si aggiudica ventun opere, l’Italia sette. E se la forma ha previsto che quattordici opere siano state escluse dal Memorandum (anche se voleranno esattamente come le altre alla volta di Parigi) è probabilmente indice del fatto che lo sbilanciamento in favore della Francia è apparso chiaro fin da subito.

Ma non è solo una questione di quantità: stupisce anche la qualità dei prestiti. Tra le opere di cui l’Italia si priva, ne figurano alcune di primaria importanza, e almeno tre di queste sono dal pubblico associate all’identità dei loro musei (l’Uomo vitruviano, simbolo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Scapiliata, ormai celebre icona della Galleria Nazionale di Parma, e l’Incredulità di san Tommaso del Verrocchio, probabilmente insieme al San Marco di Donatello l’opera più nota del Museo di Orsanmichele). E tra i capolavori occorre citare anche lo Studio di paesaggio degli Uffizi, la prima opera nota di Leonardo, risalente al 1473. La Francia risponde con due dipinti (il Ritratto di Baldassarre Castiglione e l’Autoritratto con un amico) e cinque disegni di Raffaello: per avere un’idea dello squilibrio, si pensi alla reazione di un potenziale visitatore della Pilotta o del Museo di Orsanmichele che, visitandoli, non vi trovi la Scapiliata o l’Incredulità di san Tommaso, e si provi poi a fare lo stesso esercizio immaginando un ipotetico visitatore del Louvre che non trovi il Ritratto di Baldassarre Castiglione o l’Autoritratto di Raffaello.

Leonardo da Vinci, Uomo vitruviano
Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio - “Uomo vitruviano” (1490 circa; punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 34,4 x 24,5 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)


Leonardo da Vinci, Testa di donna detta La Scapiliata (1492 circa - 1501; biacca con pigmenti di ferro e cinabro, su preparazione di biacca contenente pigmenti a base di rame, giallo di piombo e stagno su tavola di noce, 24,7 x 21 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)
Leonardo da Vinci, Testa di donna detta “La Scapiliata” (1492 circa - 1501; biacca con pigmenti di ferro e cinabro, su preparazione di biacca contenente pigmenti a base di rame, giallo di piombo e stagno su tavola di noce, 24,7 x 21 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)


Andrea del Verrocchio, Incredulità di san Tommaso (1467-1483; bronzo con dorature, 241 x 140 x 105 cm; Firenze, Chiesa e Museo di Orsanmichele, dal tabernacolo dell’Università della Mercanzia)
Andrea del Verrocchio, Incredulità di san Tommaso (1467-1483; bronzo con dorature, 241 x 140 x 105 cm; Firenze, Chiesa e Museo di Orsanmichele, dal tabernacolo dell’Università della Mercanzia)

E questo solo se volessimo fermarci alle ragioni politiche, che però, in realtà, non dovrebbero essere alla base del prestito di un’opera d’arte, nella maniera più assoluta. Anche perché ognuno ha le proprie motivazioni: non c’è differenza se si vuole negare un prestito perché si ritiene che Leonardo sia un artista italiano (questa era la grottesca linea d’importanti attori del vasto panorama populista) o se invece lo s’intende concedere per rinsaldare l’amicizia tra due paesi. I prestiti di opere d’arte antica dovrebbero rimaner fuori dalla politica, perché un prestito è un atto scientifico, e non un atto politico. Varrebbe pertanto la pena rileggere un celeberrimo articolo che Francis Haskell scrisse nel 1990, cui venne dato l’eloquente titolo Titian and the perils of international exhibition, e che lo storico dell’arte inglese apriva con una riflessione sui necessarî compromessi sui quali si reggono tutte le grandi mostre internazionali d’arte antica: da una parte gli istituti che prestano, e che dovrebbero concedere le loro opere solo se dall’altra parte sussistono genuini interessi scientifici, e dall’altra quelli che chiedono, che però, scriveva Haskell, spesso organizzano mostre che di scientifico non hanno niente, magari perché allestite per ragioni politiche, per ragioni di prestigio o per ragioni di cassetta. I prestiti, di conseguenza, spesso devono adeguarsi a questa logica, nel senso che possono diventare oggetto di accordi politici, o pedine per far accrescere il prestigio di una mostra o il suo successo economico. Gli unici criterî che dovrebbero guidare il progetto di una mostra dovrebbero quindi essere quelli della scientificità e dell’utilità.

È chiaro ed evidente che i musei che presteranno le opere (Uffizi, Gallerie dell’Accademia di Venezia, Complesso della Pilotta, Museo di Orsanmichele, Pinacoteca di Brera e Musei Reali di Torino) hanno dato il loro assenso solo dopo aver attentamente verificato che le opere sono nelle condizioni di poter viaggiare. Così come è lampante che il Louvre abbia le carte in regola per allestire una mostra su Leonardo che sarà in grado di soddisfare il pubblico internazionale. Occorre però domandarsi se sia effettivamente utile l’ennesima mostra su Leonardo, disposta solo perché quest’anno cade un anniversario tondo (sventuratamente: ormai, sembra che la storia dell’arte si possa fare solo coi compleanni), e senza che siano state prodotte novità scientifiche tanto rilevanti da giustificare una così importante movimentazione di opere, e questo a distanza di soli quattro anni dall’ultima grande rassegna (quella di Palazzo Reale a Milano) e nell’anno in cui, in tutta Italia e non soltanto, abbiamo assistito a una miriade di eventi leonardiani (alcuni utili e scientificamente inappuntabili, altri meno). Senza calcolare che, per una mostra tra le tante, il pubblico potrebbe essere privato a lungo della possibilità di vedere l’Uomo vitruviano: i colleghi del Corriere Veneto hanno riportato il parere del soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, Marco Ciatti, secondo il quale un’ulteriore esposizione del fragile disegno potrebbe impedire di riportarlo alla luce per i prossimi dieci anni. Non dello stesso avviso è invece apparso l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, ma il solo fatto che uno dei più accreditati esperti in fatto di conservazione delle opere si sia espresso in certi termini, avrebbe dovuto suggerire, quanto meno, la massima prudenza, evitando al foglio un viaggio dalla dubbia utilità, anche perché quest’anno l’Uomo vitruviano ha già goduto di un’esauriente mostra nella sua sede. Un problema che, sull’altro fronte, riguarda anche il Ritratto di Baldassarre Castiglione, sebbene in minori proporzioni, dacché l’opera in questo caso non rischia il riposo forzato, ma proprio in virtù della sua fragilità fino al 2006 non era mai uscita dal Louvre: dopodiché ha viaggiato spesso, motivo per cui sarebbe stato il caso d’evitare al dipinto una nuova trasferta.

Franck Riester e Dario Franceschini firmano l'accordo per i prestiti


Franck Riester e Dario Franceschini

Ora, in assenza di notizie sulla mostra di Raffaello a Roma, si possono scorrere le dichiarazioni d’intenti di quella su Leonardo al Louvre: “il museo”, si legge nella presentazione, “in quest’anno di commemorazioni, ha l’opportunità di radunare quante più opere possibili dell’artista attorno ai cinque principali lavori nella collezione: la Vergine delle Rocce, la Belle Ferronnière, la Gioconda, il San Giovanni Battista e la Sant’Anna”. E se si comincia mettendola sul piano della quantità, la partenza è tutt’altro che positiva. Si scopre poi che “l’obiettivo è esporre le opere assieme a un vasto nucleo di disegni e a una piccola ma significativa selezione di dipinti e sculture della cerchia del maestro”: e qui i curatori della mostra, Vincent Delieuvin e Louis Frank, scambiano clamorosamente la causa con l’effetto, dal momento che l’esposizione d’un nucleo d’opere dovrebbe essere il mezzo con cui raggiungere un obiettivo, e non il fine di per sé. E ancora: “questa mostra senza precedenti sulla carriera di pittore di Leonardo illustrerà come l’artista abbia attribuito la massima attenzione alla pittura, e come l’esplorazione del mondo, alla quale lui si riferiva con l’espressione ‘scienza della pittura’, fu lo strumento della sua arte, col quale cercava nient’altro che di portare la vita nei suoi dipinti”. Come se finora non fossero mai state organizzate mostre che ci abbiano edotto sul significato che Leonardo attribuiva alla pittura. Infine: “la mostra è il coronamento di più di dieci anni di lavoro, durante i quali sono stati condotti anche nuovi esami scientifici sui dipinti del Louvre e interventi conservativi su tre di essi, che hanno consentito una migliore comprensione della pratica e della tecnica pittorica di Leonardo da Vinci”. Se dunque sono stati raggiunti importanti risultati (sembrerebbe per lo più tecnici) sui dipinti del Louvre, come si giustificano in quest’operazione i prestiti dall’Italia?

Data la situazione, è necessario rivolgere al ministro Dario Franceschini alcune domande: perché, sul mero piano della quantità, la Francia esce dalle trattative con il triplo delle opere che vengono invece concesse all’Italia? Gentile ministro, come intende spiegare al visitatore della Pilotta o di Orsanmichele che due opere fondamentali mancheranno da questi musei, per un periodo piuttosto lungo, perché sono partite per una mostra che, sulla carta, non sembra essere sorretta da un impianto scientifico che possa giustificarne i prestiti? Come intende spiegare al pubblico italiano che, a seguito di questo viaggio, l’Uomo vitruviano potrebbe non essere esposto per dieci anni, stando alle considerazioni del soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure? Perché della ripresa delle trattative con la Francia abbiamo appreso da un quotidiano inglese, senza che ci sia stato spazio per una discussione pubblica? Dobbiamo aspettarci che gli scambi massivi d’opere d’arte per ragioni non eminentemente scientifiche diventino una consuetudine, stante anche il fatto che la riforma Bonisoli ha esteso alla figura del segretario generale il potere di coordinare le politiche di prestito di tutti i musei statali? Gentile ministro, è consapevole che il prestito di un’opera è una decisione che dovrebbe riguardare esclusivamente la direzione d’un museo, e che peraltro un direttore di un importante museo statale lascerà l’incarico tra poche settimane anche perché ritiene che in Italia i ministri interferiscano troppo con la vita dei musei?

In ultimo, si rende necessaria anche una considerazione sulle parole del ministro francese Franck Riester, secondo il quale “le opere di Leonardo da Vinci e di Raffaello appartengono all’umanità” ed è “dovere dell’Italia e della Francia farle circolare quando le condizioni tecniche lo permettono”. No, far circolare le opere non è un dovere: è un’occasione di conoscenza che dovrebbe verificarsi laddove sussistano le condizioni giuste. E le condizioni giuste non sono soltanto quelle tecniche, perché un viaggio può essere tecnicamente fattibile, ma può anche essere al contempo del tutto inutile, magari perché l’opera va ad alimentare una mostra dove la sua presenza non aggiungerebbe molto. E un viaggio, anche tecnicamente fattibile e corretto, riduce la possibilità che quell’opera possa viaggiare o esser vista in futuro: l’esempio dell’Uomo vitruviano sembra abbastanza chiaro. È quanto mai necessario rifuggire la logica del turismo delle opere (anche se purtroppo sembra impervesare con sempre maggior insistenza), ed è semmai urgente attivarsi perché siano le persone a viaggiare, piuttosto che le opere.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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