Palazzo Rivaldi, un restauro da 35 milioni di soldi pubblici: “regalo” ai Torlonia o opportunità?


Il MiBACT ha stanziato 35 milioni per il restauro dello splendido Palazzo Silvestri-Rivaldi. Si discute della sua destinazione: sarà un'opportunità per Roma... o un regalo per la famiglia Torlonia? Cerchiamo di capirlo e ripercorriamo la storia delle relazioni tra lo Stato e i Torlonia.

Palazzo Silvestri-Rivaldi è un gioiello incastonato tra i Fori Imperiali e il Colosseo, con una storia ricchissima, fin dal Cinquecento, quando fu fatto edificare da Paolo III Farnese, fino alla seconda metà del Novecento, quando, divenuto convento, fu occupato durante la stagione delle lotte degli anni Settanta divenendo teatro di concerti per una stagione straordinaria della musica indipendente. Una storia che però, dopo la fine dell’occupazione, è storia di degrado e abbandono. Fino all’estate scorsa, quando il MiBACT ha deciso di stanziare oltre 35 milioni per il restauro dell’edificio. Una messa a nuovo, ma per farne cosa? In un primo momento, sembrava fosse destinato a ospitare la sede della contestata Scuola del Patrimonio, e della costosa Fondazione che la gestisce. Pochi mesi dopo, invece, il Ministro ha dato per certo che sarebbe diventata la sede del Museo Torlonia, il museo che dovrebbe ospitare le seicento statue della collezione Torlonia, “la più importante collezione privata di scultura antica esistente al mondo”, usando le parole di Federico Zeri. Un edificio pubblico centralissimo per un museo privato? Facciamo un passo indietro.

Palazzo Silvestri-Rivaldi in una foto del 1982
Palazzo Silvestri-Rivaldi in una foto del 1982

Breve storia della collezione Torlonia

La mostra Torlonia: collezionare capolavori ha da poco riaperto a Villa Caffarelli dopo una breve parentesi in ottobre: novantadue statue provenienti dalla collezione Torlonia, resteranno visibili al pubblico fino al 29 giugno. Sono statue che tornano visibili dopo decenni. Fu negli anni Settanta che iniziò un contenzioso che mise a repentaglio la conservazione delle statue, che ne impedì la fruizione, e che termina, in qualche modo, con la mostra attuale. Un braccio di ferro tra lo Stato e la famiglia Torlonia, possiamo dire, raccontato da diverse testate (ma non, come già notato da altri, nel catalogo della mostra). In breve: il Museo Torlonia che esponeva la collezione presso Palazzo Giustiniani già dalla fine dell’Ottocento diviene sempre più difficile da visitare, nessun catalogo viene pubblicato dal 1881 in poi, fino a quando, con gli avvenimenti legati alla seconda guerra mondiale, di fatto chiude. Lentamente il grande pubblico perde ricordo e informazioni sulla collezione, fino a quando, nel 1969, Alessandro Torlonia la fa sgomberare dagli alloggi dove era posta per ottenere appartamenti abusivi. Le statue vengono ammassate negli scantinati. Ma il giornalista Antonio Cederna, fondatore di Italia Nostra, fa luce sulla vicenda riuscendo ad appurare lo stato indecente in cui versava la collezione.

Inizia da lì una serie di vicende giudiziarie, così riassunte da Maria Serna Palieri su L’Unità nel 2003: “Nel gennaio del ’77 si svegliò un pretore, Albamonte, e sequestrò il palazzo, gli affitti e, su denuncia della Sovraintendenza archeologica, la collezione. Ma nel ’78 arrivò la prescrizione per il reato edilizio e un’amnistia per il reato contro il patrimonio storico-artistico. Ma il Torlonia non si accontentò: voleva l’onore perduto, cioè l’assoluzione piena. Nel ’79 la Cassazione respinse la richiesta, con una sentenza che ben descriveva la sua incuria talebana verso opere «stipate in maniera incredibile e addossate l’una all’altra, destinate a sicura morte dal punto di vista culturale», in «locali angusti, insufficienti, pericolosi». A scriverne, tra gli storici dell’arte, fu solo Giulio Carlo Argan. Il Ministero mandò in ispezione anni dopo, nell’82, una commissione di archeologi, che testimoniarono la pazzesca situazione, ma aggiunsero (e siamo nel paradosso) una stima della cifra da pagare, se lo Stato voleva salvare la collezione: alcune decine di miliardi di lire dell’epoca, da versare all’autore della distruzione. Italia Nostra scese in campo, con una campagna basata sul principio che quella collezione doveva andare allo Stato, invece, gratis: perché il principe, in realtà, in base alle leggi, avrebbe dovuto pagare penali enormi per il danno che aveva procurato”.

Dagli anni Ottanta in poi, Stato e famiglia Torlonia non si parlano, e non mancano i tentativi, mai andati in porto, di sancire per legge il passaggio allo Stato della collezione, o le velleità di vendita all’estero (provati sono i contatti con il Getty Museum). Dunque come siamo arrivati a questa mostra, e al ventilato museo a Palazzo Rivaldi?

Giovanni Battista Piranesi, Veduta della Villa Albani dalle Vedute di Roma pubblicate a Parigi tra il 1835 e il 1839 presso Firmin Didot Frères (1748-1774; incisione, 54,4 x 78,7 cm)
Giovanni Battista Piranesi, Veduta della Villa Albani dalle Vedute di Roma pubblicate a Parigi tra il 1835 e il 1839 presso Firmin Didot Frères (1748-1774; incisione, 54,4 x 78,7 cm)

La genesi della mostra

Un repentino cambiamento si registra con l’arrivo al ministero di Dario Franceschini. Inizia una trattativa, con la mediazione di Gino Famiglietti e del nipote di Alessandro Torlonia, Alessandro Poma. Alessandro Torlonia nel 2014 crea una Fondazione che dovrebbe occuparsi della gestione della collezione. La Fondazione Torlonia, secondo il loro sito, “nasce per volere del Principe Alessandro Torlonia, con lo scopo di preservare e promuovere la Collezione Torlonia e Villa Albani Torlonia “eredità culturale della Famiglia per l’umanità” da tramandare alle generazioni future”. Secondo l’accordo con lo Stato, sancito nel 2016, la Fondazione Torlonia s’impegnava a esporre parte della collezione in una mostra temporanea, nel 2017 e successivamente in un edificio pubblico a Roma. Ci sono dei ritardi, dovuti al decesso di Alessandro Torlonia e a tribolate vicende riguardanti l’eredità, ma nel 2020 la mostra vede la luce.

Ciò che cambia dal 2014 in poi è di fatto l’atteggiamento dello Stato nei confronti della collezione. Non si parla più, infatti, di passaggio della collezione in mano pubblica. Alla presentazione della mostra il 18 ottobre 2019 il ministro Franceschini ha annunciato che “autorevolissime richieste stanno arrivando da tutto il mondo” per esporre la mostra dopo la chiusura, mentre lo Stato “è favorevole a mettere a disposizione un proprio immobile nel quale le sculture, che resteranno di proprietà Torlonia, saranno esposte in modo permanente”. Dal sito dei musei capitolini, è facile capire le caratteristiche della mostra, che hanno permesso l’accordo: “La mostra è il risultato di un’intesa del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo con la Fondazione Torlonia e nello specifico, per il Ministero, della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio con la Soprintendenza Speciale di Roma. Il progetto scientifico di studio e valorizzazione della collezione è di Salvatore Settis, curatore della mostra con Carlo Gasparri. Electa, editore del catalogo, cura anche l’organizzazione e la promozione dell’esposizione. Il progetto di allestimento è di David Chipperfield Architects Milano, nei rinnovati ambienti del nuovo spazio dei Musei Capitolini a Villa Caffarelli, tornati alla vita grazie all’impegno e al progetto della Sovrintendenza di Roma Capitale. La Fondazione Torlonia ha restaurato i marmi selezionati con il contributo di Bvlgari che è anche main sponsor della mostra”. Lo Stato, quindi, mette a disposizione e adegua i locali a proprie spese; Electa, una società privata, organizza la mostra e pubblica il catalogo (che venderà moltissimo, essendo il primo catalogo della collezione dal 1881); Bulgari paga i restauri. Electa, società privata, e Zètema, società privata a partecipazione pubblica, curano organizzazione e introiti della biglietteria e dei servizi della mostra. Lo Stato, trattandosi di una collezione privata, non prende neppure i diritti sull’utilizzo delle immagini pubblicate nel catalogo. E poi, come dicevamo, permetterà a questa mostra, privata, di rilanciarsi all’estero.

Allestimento della mostra della collezione Torlonia a Villa Caffarelli. Ph. Credit Oliver Astrologo
Allestimento della mostra della collezione Torlonia a Villa Caffarelli. Ph. Credit Oliver Astrologo

La mostra e il futuro della collezione

Si tratta di un cambio di paradigma radicale rispetto ad Antonio Cederna. E non sembra che questo strano disequilibrio di spese e guadagni si limiti alla mostra in essere, perché come visto Dario Franceschini ha già parlato di concedere un edificio pubblico per l’esposizione della collezione. Si sta parlando proprio del centralissimo Palazzo Silvestri-Rivaldi. Il museo sarà pubblico? La collezione sarà pubblica? O, come sembra chiaramente trasparire dalle dichiarazioni ministeriali, si metterà a disposizione un palazzo pubblico, restaurato con 35 milioni di fondi pubblici, per esporre una collezione privata garantendo ampi introiti ai proprietari, nonostante il trattamento riservato alle statue negli ultimi 50 anni?

C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui le famiglie nobiliari, per cambiare la loro immagine agli occhi dell’autorità e dell’opinione pubblica, donavano le loro collezioni. Sono nati così i più grandi e importanti musei italiani. Quel tempo sembra finito, quindi godiamoci la meraviglia dei primi 92 marmi della collezione Torlonia esposti al pubblico, ma senza smettere di chiederci perché, oltre al perdono per ciò che è accaduto, il Ministero abbia garantito anche introiti, proprietà della collezione, un edificio pubblico restaurato a spese pubbliche, un tour mondiale. Forse è troppo, anche in questi tempi.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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