Salvini potrebbe introdurre un biglietto a pagamento per visitare le chiese italiane?


Matteo Salvini, in una diretta Facebook, ha introdotto il problema della scarsità di risorse per il mantenimento delle chiese del Fondo Edifici di Culto. Verrà introdotto un biglietto a pagamento?

A qualcuno potrà suonare come un paradosso, ma è noto che il Ministero dell’Interno gestisce un vastissimo patrimonio culturale, uno dei più preziosi del mondo: è il patrimonio del Fondo Edifici di Culto (FEC), un ente che detiene la proprietà di oltre ottocento chiese in tutta Italia. Fanno parte del FEC chiese importanti come Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze (oltre ai loro complessi monumentali), Santa Maria in Aracoeli, Santa Maria del Popolo, Sant’Ignazio, Santa Maria sopra Minerva e Santa Maria della Vittoria a Roma, e ancora la chiesa del Gesù di Palermo, la basilica di San Domenico a Bologna, San Domenico Maggiore, Santa Chiara e San Gregorio Armeno a Napoli. E sono di proprietà del FEC anche tutti i beni custoditi nelle chiese di sua proprietà: per intenderci, si spazia da Giotto a Michelangelo, da Bernini a Caravaggio, da Annibale Carracci a Guido Reni, solo per citare alcuni nomi. Detta in termini piuttosto brutali e sicuramente poco poetici, quando s’entra in Santa Maria della Vittoria e s’ammira l’Estasi di santa Teresa di Bernini, s’ammira un bene di proprietà dello stato italiano, e nella fattispecie d’un Fondo che dipende dal Ministero dell’Interno. Un bene che, al pari di tutti gli altri che fanno parte del FEC, fu incamerato dallo stato poco dopo l’Unità d’Italia: prima il Regno di Sardegna nel 1855, e poi il Regno d’Italia nel 1866, promulgarono alcune leggi (la legge Rattazzi nel primo caso, le cosiddette leggi eversive nel secondo) con le quali venivano soppressi gli ordini religiosi e confiscati i loro beni, che confluirono in un Fondo di Culto che li amministrava e garantiva un assegnamento annuo ai religiosi. Il Fondo di Culto diventò l’attuale FEC nel 1985, quando lo Stato dispose che il sostentamento dei religiosi spettasse alla Chiesa: rimase invece invariata la finalità di conservare il patrimonio mobile e immobile che il Fondo si assicurò a metà Ottocento.

Oggi, il Ministero dell’Interno gestisce questo immane patrimonio secondo due modalità: o affidando la gestione (con tutto ciò che ciò comporta, dal reperimento delle risorse per il loro funzionamento alla presa in carico degli oneri per la manutenzione ordinaria e straordinaria) a soggetti terzi, com’è nel caso della basilica di Santa Croce ch’è gestita dall’Opera di Santa Croce, oppure occupandosene direttamente. Il FEC ha infatti un proprio bilancio, distinto da quello del Ministero, ed è amministrato da una Direzione centrale inquadrata nel Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e che lavora di concerto col Ministero dei beni culturali e col Ministero delle infrastrutture per tutto ciò che riguarda gli aspetti tecnici: la conservazione, i restauri, la valorizzazione, la promozione. Nel consuntivo del 2016, il FEC ha registrato spese per circa 18 milioni di euro, 6 dei quali per i restauri: si tratta d’una cifra irrisoria, sicuramente inferiore rispetto alle reali necessità (l’amministrazione del FEC, in una memoria inviata nel 2017 alla Corte dei Conti, stimava in 15 milioni di euro la spesa per gl’interventi prioritarî per quell’anno). Senza contare che valorizzazione e promozione sono praticamente inesistenti: negli ultimi tempi si ricorda solo una mostra su Caravaggio nel 2017.

Firenze, la Basilica di Santa Maria Novella. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Firenze, la Basilica di Santa Maria Novella. Ph. Credit Finestre sull’Arte

L’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, giusto poche ore fa s’è ricordato che dal suo ministero dipende un patrimonio storico-artistico così vasto e, in una diretta Facebook del 1° novembre, ha accennato al problema della penuria di risorse col quale il FEC si trova ad aver a che fare. “Una cosa che voi non sapete sicuramente”, ha dichiarato Salvini, “è che il Ministero dell’Interno gestisce ottocento chiese in Italia, il Fondo Edifici di Culto. Noi siamo proprietari e responsabili di quello che accade in ottocento chiese che oggi sono aperte per celebrazioni, per funzioni, per messe e però è un problema perché per la manutenzione ordinaria e straordinaria abbiamo sì e no 6 milioni di euro all’anno e sono solo due le chiese che hanno un biglietto d’ingresso, perché ci sono opere d’arte incredibili, da Caravaggio a statue del Bernini e bisogna ragionare anche su come gestire meglio questo patrimonio”. Per adesso nessun accenno diretto all’istituzione sistematica d’un biglietto d’accesso alle chiese che appartengono al FEC, ma l’accenno alle due che ora lo applicano (le due basiliche fiorentine) potrebbe lasciar presagire che la volontà del Viminale sia quella d’estendere la pratica dell’ingresso a pagamento anche presso altri edificî di culto.

Matteo Salvini
Matteo Salvini

L’ingresso a pagamento nelle chiese è probabilmente uno dei temi più dibattuti da parte di chi s’occupa dei beni culturali. Le ragioni pro e contro l’introduzione del biglietto d’ingresso in una chiesa (si parla, ovviamente, delle chiese monumentali, di quelle che, per vastità e qualità del loro patrimonio, non hanno niente da invidiare a molti musei) sono state ben analizzate da Fabio Franceschi, ricercatore di Diritto canonico ed ecclesiastico alla Sapienza di Roma, in un suo saggio del 2014. Riassumendo: la chiesa è anzitutto un bene liturgico, un luogo destinato al culto, ma è anche un bene culturale, e da ciò ne discende una duplice fruizione, che dev’essere garantita e rispettata in tutte le sue accezioni. Le modalità attraverso le quali gli organi preposti alla gestione delle chiese cercano di conciliare armoniosamente tanto la fruizione cultuale quanto quella culturale sono diverse: ci sono chiese in cui s’entra solo corrispondendo il prezzo d’un biglietto e dove chi vuole recarsi per pregare ha degli orarî stabiliti in cui poterlo fare, ci sono altre chiese dove l’accesso a pagamento riguarda solo alcune porzioni dell’edificio (per esempio una cappella di particolare valore, come accade in San Francesco ad Arezzo) oppure corpi separati (come alla Cattedrale di Firenze dove s’entra gratuitamente ma si paga per accedere al Campanile), e ancora ci sono chiese dove l’accesso è a pagamento solo per certi periodi dell’anno, oppure solo per i gruppi. E anche per la bigliettazione le formule sono diverse: ci sono i biglietti singoli, ci sono enti che riuniscono varie chiese e che vendono biglietti cumulativi (è il caso delle chiese monumentali di Verona), mentre a Venezia alcune chiese (come la Basilica dei Frari o quella dei Santi Giovanni e Paolo), oltre ai tradizionali biglietti d’accesso, vendono anche biglietti con acclusa guida dell’edificio corrispondendo una piccola maggiorazione.

Per l’idea d’istituire un biglietto nelle chiese dipendenti dal FEC valgono le ormai “classiche” ragioni del dibattito. Se è vero che la bigliettazione potrebbe garantire maggiori introiti da reinvestire nella manutenzione degli edificî oltre che nella loro valorizzazione (che magari può anche passare per l’assunzione di personale che possa studiarli, o illustrarli al pubblico, o ancora garantirne orarî d’apertura più estesi), è altresì vero che l’introduzione d’un ticket andrebbe a incidere notevolmente sulla funzione liturgica delle chiese, limitandola pesantemente (basti pensare che, nelle chiese dove si paga, il fedele ovviamente non può entrare quando e come gli pare: deve presentarsi a un addetto, specificare le motivazioni della sua presenza nell’edificio, e spesso rimanere in un’area riservata al culto, senza la possibilità d’accedere alle parti della chiesa dove invece si recano i visitatori ch’entrano per tutt’altre ragioni). E non si sottovaluti il fatto che tale pratica è ritenuta particolarmente odiosa, col risultato che il biglietto contribuisce ad allontanare molti cattolici (che preferiscono pregare altrove: viene dunque meno la funzione primaria del bene) e anche diversi turisti, spesso mossi da questioni di principio a non visitare una chiesa a pagamento.

È innegabile che i beneficî dell’introduzione d’un biglietto sarebbero importanti. Al contempo sarebbe però piuttosto traumatico decidere d’estendere un ticket d’ingresso all’intero patrimonio del FEC: la sola città di Roma, per esempio, si troverebbe, da un giorno all’altro, con tutte le sue chiese più importanti precluse all’accesso libero (ed è bene ricordare che non sono soltanto i turisti a visitare le chiese delle città d’arte, e neppure i fedeli che verrebbero confinati in aree circoscritte oppure obbligati a pregare in orarî prestabiliti: ci sono anche tanti cittadini, studenti e lavoratori, che durante una pausa di lavoro o una passeggiata entrano anche solo per qualche minuto per rivedere la volta di Sant’Ignazio o la Cappella Cerasi). E allora forse sarebbe più sensato trovare forme alternative di finanziamento: allestimento di bookshop (ce ne sono in tante chiese), incentivazione delle offerte volontarie, istituzione di visite guidate a pagamento, vendita di audioguide. Oppure, se è proprio necessaria la bigliettazione, non la si estenda a tutto l’edificio, ma la si applichi solo alle sue porzioni più rilevanti per la fruizione culturale. E, soprattutto, ci s’interroghi su come sia possibile estendere l’accesso ai beni culturali, invece che limitarlo con l’introduzione di nuove forme di bigliettazione.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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