Giulio Turcato al CAMeC: una storia di libertà


Recensione della mostra 'Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie' al CAMeC, La Spezia.

Articolo originariamente pubblicato su culturainrivera.it

Tra gli eventi espositivi più interessanti dell’estate (e oserei aggiungere “a livello nazionale”) non si può non annoverare la mostra che il CAMeC di Spezia dedica alla fondamentale figura di Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995), uno dei più rappresentativi pittori del XX secolo in Italia. Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie (così il titolo) non è solo una mostra di arte contemporanea (ma ormai codificata a tal punto che si può tranquillamente parlare di storia dell’arte): è una storia di libertà, perché Giulio Turcato è stato uno degli ingegni più liberi e meno addomesticabili tra quanti operarono dagli anni Cinquanta in avanti. E proprio questa estrema libertà sembra costituire il principale leitmotiv su cui vuole insistere l’esposizione, che ripercorre a grandi linee tutta la carriera artistica di Turcato, a partire dalle opere degli anni Quaranta fino ad arrivare alle ultime ricerche.

Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie
Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie

I primi anni, quelli in cui Turcato milita dapprima nel gruppo Forma 1, quindi nel Fronte Nuovo delle Arti per poi staccarsene e andare a far parte, nel 1952, del cosiddetto Gruppo degli Otto, sono riassunti in alcune opere che il visitatore trova nella prima sala: sono opere in cui è ancora del tutto palese l’adesione al dato naturale, benché la sensibilità del pittore appaia già orientata verso forme originali che saranno poi approfondite negli anni a venire. È il caso di alcune opere che mostrano ancora richiami cubisti ma che iniziano già ad aprirsi ad altre esperienze, come a quella di Kandinsky, verso cui, a partire dal 1947, anno del suo soggiorno a Parigi, Turcato inizierà a provare una sincera ammirazione: abbiamo quindi una Natura morta con pesci del 1945, proveniente da una collezione privata di Milano, e soprattutto il Cantiere del 1951, opera fondamentale per diversi motivi. Il primo: è un’opera che lega indissolubilmente l’artista alla città che ospita la mostra, perché con quest’opera l’artista vince il Premio Nazionale di Pittura “Golfo della Spezia”, e perché si tratta di una delle due tele conservate nella collezione permanente del CAMeC. Il secondo: è sicuramente l’opera in mostra che meglio testimonia l’impegno sociale di Giulio Turcato in questa fase della sua attività (la sua opera più celebre in questo senso, il noto Comizio, non è purtroppo in mostra).

Giulio Turcato, "Natura morta con pesci" (1945; olio su tela, 60 x 80 cm; Milano, collezione privata)
Giulio Turcato, “Natura morta con pesci” (1945; olio su tela, 60 x 80 cm; Milano, collezione privata)


Giulio Turcato, "Cantiere" (1951; olio su tela; La Spezia, CAMeC)
Giulio Turcato, “Cantiere” (1951; olio su tela; La Spezia, CAMeC)


Giulio Turcato infatti è un convinto comunista, ma non è certo un comunista che si fa imporre la linea da seguire: questo diventa evidente soprattutto nel momento in cui si consuma la rottura tra i pittori figurativi e i pittori astratti che costituivano il Fronte Nuovo delle Arti. Il PCI rifiuta l’arte astratta, ritenendola poco consona alle esigenze del partito, delle cui istanze, secondo Togliatti, sarebbe miglior portatrice un’arte realista e immediata. Turcato però accorda maggior importanza alla propria sensibilità piuttosto che alle linee guida del partito, dunque entra a far parte, come anticipato, del “Gruppo degli Otto”, nato proprio per volontà di un manipolo di artisti che la pensavano come Turcato, e continua le sue ricerche che virano in modo definitivo verso un astrattismo eclettico e versatile. Per usare le parole di Lionello Venturi, “la sua natura di artista prevalse”.

Non che gli agganci con la realtà (e anche con l’impegno politico) scomparissero da un giorno all’altro: ne è dimostrazione un’opera come Il Giardino di Micurin del 1953, il cui titolo fa riferimento alla figura del botanico russo (e poi sovietico) Ivan Vladimirovic Micurin, che si impegnò per creare varietà di piante resistenti alle rigide condizioni climatiche della Russia, impegno che gli valse riconoscimenti da parte del regime (che addirittura modificò la toponomastica di una città in suo onore). Nel dipinto, appartenente a un’intera serie sullo stesso argomento (questo, di collezione privata milanese, è l’unico esposto a Spezia), intrecci neri rievocano i rami delle piante mentre figure variamente colorate ci suggeriscono un’idea, appunto, dei colori di fiori e frutti prodotti dai vegetali studiati da Micurin.

Giulio Turcato, "Il Giardino di Micurin" (1953; olio su tela, 66,5 x 80 cm; Milano, collezione privata)
Giulio Turcato, “Il Giardino di Micurin” (1953; olio su tela, 66,5 x 80 cm; Milano, collezione privata)


La carica innovativa dell’arte di Giulio Turcato conosce ulteriori evoluzioni dettate, con ogni probabilità, dalle suggestioni che potevano fornirgli gli artisti spazialisti ma anche, in un certo senso, i nouveaux réalistes: si possono spiegare in tal senso opere come i Tranquillanti e le Superfici di cui il visitatore può trovare diversi esempi al CAMeC. Sono ricerche che nascono verso la fine degli anni Cinquanta ma che durano per tutto il decennio successivo. Con i Tranquillanti, l’artista incolla vere pastiglie di tranquillanti su superfici monocrome: siccome l’uso dei tranquillanti è diffuso, pensa l’artista, nessuno avrà niente in contrario se li si usano per creare un’opera d’arte. Il vero oggetto entra nell’opera d’arte per evocare all’osservatore certe situazioni, aiutato anche dalle tonalità quasi sempre cupe, notturne del fondo. Le Superfici continuano questa ricerca di nuove possibilità espressive: il materiale diventa esso stesso un’opera d’arte capace di esprimere ed evocare, come avviene nelle Superfici lunari, dove le rugosità, i fori e le crepe della gommapiuma, uno dei materiali prediletti di Turcato in questa fase, suggeriscono i crateri e i mari della Luna. “Io sperimento per riuscire a spostare un po’ più in là il limite dell’espressione possibile”, dice Turcato in un’intervista datata 1982, “per dilatare il linguaggio. Bisogna creare una forma intensamente psicologica, lavorando anche sugli strumenti”, e questa ricerca di nuove possibilità nasce dalla convizione che il quadro abbia bisogno “per essere un veicolo di senso e di comunicazione, di arrivare subito all’occhio” e che sia “tutto l’insieme del quadro” a dover “dare uno schiaffo”. E la scelta della gommapiuma, come scrive l’artista nel 1966 ma come ricordano anche le iscrizioni a caratteri cubitali sulla parete che al CAMeC espone le Superfici lunari, nasce “perché il suo crostone scabroso è pieno di avvertimenti nuovi e di meraviglie”.

Da sinistra a destra, opere di Giulio Turcato: "Tranquillanti" (1968 circa; olio e tecnica mista su tela; Milano, Collezione privata), "Tranquillanti" (1961; olio e tecnica mista su tela; Milano, collezione privata), "Superficie malata" (1961; olio e tecnica mista su tela; Milano, collezione privata)
Da sinistra a destra, opere di Giulio Turcato: “Tranquillanti” (1968 circa; olio e tecnica mista su tela; Milano, Collezione privata), “Tranquillanti” (1961; olio e tecnica mista su tela; Milano, collezione privata), “Superficie malata” (1961; olio e tecnica mista su tela; Milano, collezione privata)


Tre "Superfici lunari" di Giulio Turcato
Tre “Superfici lunari” di Giulio Turcato


Giulio Turcato, "Superficie lunare" (1968; olio e tecnica mista su gommapiuma, diametro 90 cm; collezione privata)
Giulio Turcato, “Superficie lunare” (1968; olio e tecnica mista su gommapiuma, diametro 90 cm; collezione privata)


Le nuove possibilità delle tecniche espressive si spostano poi a indagare non solo gli oggetti e le superfici, ma anche le forme, i colori e le luci. La rilevanza del gesto dell’artista emerge da un’opera come Alleluia, dove la linea bianca, curva, continua e colma d’intrecci, realizzata con tecnica da espressionista astratto, è unita all’impronta delle mani: per un artista non c’è gesto più semplice e più primitivo dell’apporre una mano su una tela, e questo gesto quasi liberatorio (da cui forse il nome del dipinto) consente a Turcato di “identificare” se stesso nell’opera. Presupposti non lontani proprio da quelli degli espressionisti astratti, con la differenza che, scrive il critico Vito Apuleo, “l’angoscia esistenziale di Rothko in Turcato diviene emozione musicale”. Emozione musicale suggerita anche dalle opere dove torna il motivo di queste grafie dai colori sgargianti che spesso intrappolano oggetti reali: è il caso, per esempio, delle Lire, dove i segni colorati cari a Turcato creano giocosi intrecci in piena libertà attorno a vere banconote.

Giulio Turcato, "Alleluia" (1970; olio e tecnica mista su tela, 180 x 180 cm; collezione privata)
Giulio Turcato, “Alleluia” (1970; olio e tecnica mista su tela, 180 x 180 cm; collezione privata)


Dall'alto verso il basso, opere di Giulio Turcato: "Lire" (1971; olio, tecnica mista e collage su tela; Milano, Collezione privata), "Lire" (1971; olio, tecnica mista e collage su tela, 73 x 92 cm; Milano, Collezione privata)
Dall’alto verso il basso, opere di Giulio Turcato: “Lire” (1971; olio, tecnica mista e collage su tela; Milano, Collezione privata), “Lire” (1971; olio, tecnica mista e collage su tela, 73 x 92 cm; Milano, Collezione privata)


Le ultime ricerche, tra anni Ottanta e anni Novanta, riguardano soprattutto il colore e le sue possibilità: appartengono a quest’epoca i Cangianti, tele su cui Giulio Turcato stende colori esplorando combinazioni e tonalità e facendo compiere alle sue stesure quasi una sorta di danza armoniosa (e non a caso nell’ultima sala dell’esposizione, quella che ospita i Cangianti, ci si muove su un sottofondo musicale studiato per l’occasione: una “installazione sonora” concepita dal musicista Andrea Nicoli docente al conservatorio di Spezia). I cambiamenti del colore esprimono cambiamenti d’umore, sottolineano sensazioni, cercano di instaurare un rapporto con l’osservatore, davanti a essi “si possono ricevere segnali diversi: dipende da noi se vogliamo muoverci”. La conclusione della mostra è affidata a due “varianti” del tema dei Cangianti, ovvero il Viaggio astrale e l’Arcipelago, che dimostrano appieno le possibilità succitate: con un unico colore, attraverso varie gradazioni, Turcato offre la possibilità di compiere un itinerario nello spazio e di vedere dall’alto un insieme di isole che affiorano da un mare cristallino.

In senso orario, opere di Giulio Turcato: "Cangiante arancio" (1989; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); "Barbaglio" (1988; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); "Cangiante blu, viola" (1991; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); "Cangiante giallo, rosa" (1991; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata)
In senso orario, opere di Giulio Turcato: “Cangiante arancio” (1989; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); “Barbaglio” (1988; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); “Cangiante blu, viola” (1991; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata); “Cangiante giallo, rosa” (1991; olio e tecnica mista su tela; 80 x 100 cm; Milano, collezione privata)


A sinistra: Giulio Turcato, "Viaggio astrale" (1989; olio e tecnica mista su tela, 200 x 260 cm; collezione privata). A destra: Giulio Turcato, "Arcipelago" (1983; olio e tecnica mista su tela, 90 x 130 cm; collezione privata)
A sinistra: Giulio Turcato, “Viaggio astrale” (1989; olio e tecnica mista su tela, 200 x 260 cm; collezione privata). A destra: Giulio Turcato, “Arcipelago” (1983; olio e tecnica mista su tela, 90 x 130 cm; collezione privata)


Le due curatrici, Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, hanno saputo creare un percorso ricco e completo, in grado di ripercorrere tutta la carriera di Giulio Turcato andando a toccare i punti più importanti della sua evoluzione artistica, soffermandosi in modo intelligente sulle vette più originali della sua ricerca, sondando in profondità la personalità di uno degli artisti più liberi e innovativi del Novecento in Italia. Se si vuole proprio trovare un difetto, si potrebbe dire che, mancando totalmente opere di altri artisti, gli apparati avrebbero potuto insistere maggiormente sul contesto entro cui Giulio Turcato operò, utilizzando magari un linguaggio più adatto a un grande pubblico (non tutti sono tenuti a conoscere, cito da uno dei pannelli introduttivi, “gli orientamenti dello zdanovismo italiano” che portarono il pittore a rompere con gli artisti del Fronte Nuovo delle Arti più ligi alle direttive del partito), e magari sottolineando rapporti con altre esperienze coeve. Ma a parte ciò, il visitatore di Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie rimarrà piacevolmente stupito da un’esposizione organica capace di raccontare un “protagonista del Novecento”, come Marzia Ratti lo definisce, in maniera piacevolmente efficace.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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