Un napoletano a Firenze. Com'è la mostra su Luca Giordano a Palazzo Medici Riccardi


Recensione della mostra “Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze”, a cura di Riccardo Lattuada, Giuseppe Scavizzi e Valentina Zucchi (a Firenze, Palazzo Medici Riccardi, dal 30 marzo al 5 settembre 2023).

Firenze deve buona parte della sua facies tardobarocca a un napoletano. Se non ci fosse stato Luca Giordano, chissà quali strade avrebbe preso la grande decorazione del primo Settecento a Firenze: forse, non sarebbero mai nati affreschi spettacolari come quello di Giuseppe Nicola Nasini alla chiesa delle Montalve, gli angeli di Ranieri del Pace non volerebbero tra le volte di San Jacopo Soprarno, non avremmo mai visto le ariose allegorie di Giovanni Camillo Sagrestani a Palazzo Tempi. Sono opere poco note ai più, capolavori celati dal luogo comune della Firenze “culla del Rinascimento”, ma che ben rappresentano la vitalità del capoluogo toscano a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. E Luca Giordano è stato una sorta di spartiacque: ce lo ricorda una mostra, Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze, in programma fino al 5 settembre 2023 a Palazzo Medici Riccardi, allestita in parte nelle sale del pianterreno, e in parte sotto la galleria decorata dallo stesso Giordano con l’Apoteosi dei Medici, forse il più noto capolavoro del barocco a Firenze, che prima d’allora aveva comunque vissuto altre imprese significative: gli affreschi del Volterrano a Santa Maria Maggiore, quelli di Pietro da Cortona nelle sale di Palazzo Pitti, l’abbagliante cupola di Filippo Maria Galletti nella chiesa dei Santi Michele e Gaetano, il più ricco tempio del Seicento fiorentino. Nel delineare le ragioni della mostra, i curatori Riccardo Lattuada, Giuseppe Scavizzi e Valentina Zucchi, ricordano che “il contributo di Giordano alla cultura di Firenze è stato rilevante di per sé, ma anche per il ruolo strategico che esso ha rivestito nella storia dell’arte fiorentina, che con lui si apriva [...] alla legittimazione e all’apprezzamento di altre scuole pittoriche”, e che in tal senso Giordano “rappresenta l’evoluzione dal Barocco pieno”, quello di Pietro da Cortona, “al tardo Barocco, o Barocchetto che dir si voglia: un percorso che si può definire proprio dell’arte fiorentina e della stessa temperie italiana coeva”.

Non è però sull’estensione del contributo dato da Giordano alla cultura fiorentina che si focalizza principalmente la mostra: su questo aspetto era già intervenuta un’altra rassegna che s’era tenuta, nel 2005, a Palazzo Medici Riccardi, intitolata Stanze Segrete. Gli artisti dei Riccardi. I “ricordi” di Luca Giordano e oltre, curata da Cristina Giannini, e che aveva presentato al pubblico fiorentino un confronto che, a diciotto anni, viene riproposto da Lattuada, Scavizzi e Zucchi, ovvero quello tra i “ricordi” della National Gallery di Londra, la serie di dipinti di Giordano che riproducono le decorazioni della galleria del Palazzo e che un tempo si pensava fossero bozzetti preparatorî, e le decorazioni stesse, dacché esposti direttamente sotto le spettacolari pitture murali che l’artista partenopeo eseguì per i Riccardi. La nuova mostra insiste soprattutto sui legami tra l’artista e la città, sulle circostanze che lo portarono da Napoli a Firenze, sui suoi rapporti con la committenza fiorentina.

Luca Giordano sarebbe giunto a Firenze, chiamato dalla famiglia Corsini per affrescare la cappella di famiglia in Santa Maria del Carmine (con la Gloria di sant’Andrea Corsini, altro grande capolavoro barocco), nel 1682, anche se le basi dell’arrivo risalgono a molto tempo prima. Anzitutto, a un passaggio verso la metà degli anni Sessanta, quando l’artista, poco più che trentenne, è in viaggio per Venezia: secondo quanto riporta Filippo Baldinucci, durante questa sosta avrebbe eseguito un quadro per il granduca Ferdinando, anche se è difficile capire a quale dipinto lo storiografo si riferisca. Quel che è certo, è che a partire da questo periodo a Firenze iniziano a comparire suoi dipinti, acquistati dai collezionisti fiorentini: è altamente probabile che la sua precoce fama d’artista talentuoso e soprattutto veloce si sia già diffusa a Firenze, a prescindere dal breve periodo che vi trascorre nel tragitto per Venezia. È però dagli anni Settanta che il rapporto tra artista e città si consolida, soprattutto per tramite dei fiorentini che risiedevano per lavoro a Napoli, a cominciare dall’abate Pietro Andrea Andreini e da alcuni membri della famiglia Del Rosso, come ricostruisce la studiosa Elena Fumagalli nel suo saggio in catalogo. E all’arrivo a Firenze nel 1682, Luca Giordano è ospite proprio dei Del Rosso.

Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze
Allestimenti della mostra Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze

Proprio da qui parte la mostra, che s’apre con l’autoritratto di Luca Giordano in prestito dal Pio Monte della Misericordia di Napoli per offrire subito al visitatore l’immagine che l’artista dava di se stesso all’epoca, probabilmente, del soggiorno fiorentino: ovvero, l’immagine di un artista profondamente sicuro di sé, convinto, a ragione, d’esser tra i migliori della sua epoca. Nella prima sezione, sono sistemate le due opere più antiche della mostra, un San Sebastiano e un Apollo e Marsia entrambi all’incirca del 1665: il primo era di proprietà del cardinale Leopoldo de’ Medici, uno dei più grandi collezionisti della sua epoca (l’opera figura nell’inventario della collezione redatto dopo la sua scomparsa nel 1676), mentre il quadro di soggetto mitologico era proprietà dell’abate Andreini. Si nota qui un Luca Giordano giovane, ancora legato alla pittura tenebrista di José de Ribera, del tutto lontano dal Luca Giordano che s’esprimerà nelle grandi imprese fiorentine, ma già comunque in grado di suscitare interesse presso gli amanti delle arti a Firenze. Il registro dell’artista sarebbe cambiato di lì a poco: la sezione sulle opere di Luca Giordano in collezione Del Rosso dà brevemente conto della fase di transizione, con il Cristo davanti a Pilato, opera d’ispirazione neoveneta, e con la Deposizione di Cristo dalla Croce, che ancora risente dei drammi ribereschi ma comincia già a virare verso una pittura più sciolta e fluida. Entrambe le opere sono oggi al Museo dell’Opera del Duomo di Siena, mentre in antico erano presso la collezione dei Del Rosso (esattamente come un’altra splendida opera “di transizione”, purtroppo assente in mostra ma di cui dà conto il catalogo, ovvero il Trionfo di Bacco e Arianna oggi alla Herbert Art Gallery di Coventry). La sezione si chiude con un’interessante opera su vimini, un “raro caso di affresco portatile”, come lo definisce Riccardo Lattuada, “genere nato a Firenze a opera di Giovanni da San Giovanni e continuato dal suo allievo Baldassarre Franceschini detto il Volterrano”: è testimonianza di come ormai Luca Giordano si fosse inserito a Firenze (l’opera fu dipinta per Andrea Del Rosso all’incirca tra il 1682 e il 1685) e di come volesse misurarsi coi generi che venivano praticati in città, anche quelli più singolari e che richiedevano maggior perizia tecnica.

Il Luca Giordano dei primi anni Ottanta, il Luca Giordano ch’è rimasto folgorato da Pietro da Cortona e che rivede in maniera radicale le proprie convinzioni, giunge con la sala seguente, tutta dedicata all’impresa della cappella Corsini in Santa Maria del Carmine, primo incarico importante che l’artista ottiene a Firenze, rievocato nella mostra tramite la presenza di alcuni significativi bozzetti affiancati a due dipinti di soggetto eroico, in un confronto utile per comprendere anche come, negli stessi anni, Luca Giordano sapesse esprimersi sia su grandi pareti affrescate, sia su tele destinate alle stanze private della sua clientela. Accanto al bozzetto in grisaille per un pennacchio con l’Allegoria della Predicazione del verbo divino, il pubblico ha modo di vedere le tele che riproducono gli affreschi della cappella, a partire dalla Gloria di sant’Andrea Corsini prestata dagli Uffizi: non si sa, tuttavia, se si tratta di veri modelli preparatorî, o di memorie che l’artista dipinse ex post: sta di fatto che, pur se non identiche in tutto e per tutto agli affreschi della cappella, queste tele ben trasmettono la maniera del Luca Giordano frescante, artista che s’ispira a Pietro da Cortona e a Giovanni Lanfranco, artista appassionato d’effetti illusionistici, artista sintetico, incline a una grande libertà compositiva, amante delle tonalità brillanti, delle composizioni affollate che però lasciano aperti ampî squarci di cielo. I due dipinti di soggetto eroico, entrambi aventi per protagonista Enea (Enea sconfigge Turno ed Enea curato da Venere) risalgono alla committenza Corsini e vennero eseguiti nello stesso periodo degli affreschi di Santa Maria del Carmine: oggi sono conservati uno in Galleria Corsini a Firenze, e l’altro presso la Collezione del Banco BPM, e sono stati riuniti per la prima volta in occasione della mostra. Sono tra i dipinti a tema profano più interessanti della produzione giordanesca: s’apprezza, in particolare, la riflessione su Pietro da Cortona, com’ebbe a scrivere Mina Gregori (“Luca Giordano partì dall’Età del Ferro”, affrescata dal cortonese a Palazzo Pitti, “per rappresentare Enea vince Turno col suo fare rapido e leggero da virtuoso del clavicembalo, nel quadro dipinto a Fienze e ab antiquo nella Galleria Corsini”. Figure grandi, luce calda e avvolgente memore del luminismo veneziano, misura classica, gesti ampî e distesi, colorito prezioso: è in questi elementi l’essenza del cortonismo di Luca Giordano.

Luca Giordano, Autoritratto (1680-1692; olio su tela; Napoli, Pio Monte della Misericordia)
Luca Giordano, Autoritratto (1680-1692; olio su tela, 61 x 48 cm; Napoli, Pio Monte della Misericordia)
Luca Giordano, Apollo e Marsia (1665 circa; olio su tela, 225 x 160,5 cm; Firenze, Museo Stefano Bardini)
Luca Giordano, Apollo e Marsia (1665 circa; olio su tela, 225 x 160,5 cm; Firenze, Museo Stefano Bardini)
Luca Giordano, Cristo e la samaritana al pozzo (1682-1685 circa; affresco su vimini; Collezione privata)
Luca Giordano, Cristo e la samaritana al pozzo (1682-1685 circa; affresco su vimini, diametro 110 cm; Collezione privata)
Luca Giordano, Enea sconfigge Turno (1685 circa; olio su tela; Firenze, Galleria Corsini)
Luca Giordano, Enea sconfigge Turno (1685 circa; olio su tela, 178 x 237 cm; Firenze, Galleria Corsini)
Luca Giordano, Enea curato da Venere (1685 circa; olio su tela; Firenze, Collezione Banco BPM). Foto: Archivio fotografico Banco BPM
Luca Giordano, Enea curato da Venere (1685 circa; olio su tela, 171,2 x 230,2 cm; Firenze, Collezione Banco BPM). Foto: Archivio fotografico Banco BPM
Luca Giordano, Dedicazione della Cappella Corsini (1682; olio su tela; Firenze, Galleria Corsini). Foto: Claudio Giusti
Luca Giordano, Dedicazione della Cappella Corsini (1682; olio su tela, 71 x 114 cm; Firenze, Galleria Corsini). Foto: Claudio Giusti
Luca Giordano, Gloria di sant'Andrea Corsini (1682 circa; olio su tela, 130 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Luca Giordano, Gloria di sant’Andrea Corsini (1682 circa; olio su tela, 130 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)

Spetta a una piccola saletta il compito di dar conto al pubblico circa le committenze dei Medici: il primo rapporto diretto con Cosimo III risale al 1685, quando l’artista dipinse per il granduca una Trasfigurazione oggi nei depositi degli Uffizi (non sappiamo dove fosse destinata), e altri quadri avrebbe dipinto per Cosimo dopo il suo ritorno a Napoli, spedendoli a Firenze dalla Campania. Prima ancora, tuttavia, fu la madre di Cosimo, Vittoria della Rovere, ad avvalersi dei servigi di Luca Giordano, ed è su questo frangente che la rassegna si concentra. Sono esposte due tele che l’artista eseguì per Vittoria della Rovere: un’allegoria della Speranza, unico dipinto sul tema che si conosca del pittore, opera di delicatissima raffinatezza oggi custodita in privata collezione napoletana, e una sofisticata Fuga in Egitto che vede la Sacra Famiglia lasciare la propria terra di notte su di una barca, illuminata dall’apparizione mistica di un coro d’angeli che rischiarano il cielo con bagliori dorati. È uno dei vertici della produzione sacra di Luca Giordano, apprezzato già in antico per la rapidità di conduzione oltre che per il “vibrante cromatismo” e lo “stile esuberante” (così Cristina Gnoni Mavarelli), vicino alle pitture murali della galleria di Palazzo Medici Riccardi.

Nelle ultime due sale del pianterreno, i curatori hanno pensato a due nuclei tematici: il primo è su dipinti a soggetto mitologico, l’altro vede la presenza di opere a tema biblico e storico. Tra i dipinti mitologici spicca un altro affresco su vimini, l’Atalanta e Ippomene scelto anche come immagine guida per la mostra, data la sua singolarità: altra opera che s’ispira ai lavori di Pietro da Cortona, e che “nella rapida e freschissima stesura a fresco”, com’ebbe a scrivere una grande esperta di Luca Giordano, Silvia Meloni Trkulja, quando pubblicò il dipinto nel 1972, “ha una felice spontaneità da età dell’oro, non inferiore ai brani più ariosi della galleria” (il riferimento, ovviamente, è alla volta di Palazzo Medici Riccardi). Sulla parete attigua, due rapimenti, il Ratto di Deianira e il Ratto di Proserpina, richiamano alla mente immagini berniniane (lo studioso Giuseppe Napoletano ha ragionevolmente individuato delle attinenze tra il Ratto di Proserpina e il Nilo della Fontana dei Fiumi a Roma, e nella floridezza dei corpi femminili ha intravisto ricordi tizianeschi), e a chiudere il cerchio è infine un altro evidente brano di cortonismo, il Giudizio di Paride in prestito dal Museo Civico di Palazzo Chiericati a Vicenza, ch’è forse il più classicheggiante dei dipinti in mostra. Decisamente più movimentato, nella sala successiva che chiude l’infilata del pianterreno, il Marco Curzio che si getta nella voragine, grande quadro poco noto, conservato in collezione privata a Londra, che con enfasi drammatica raffigura l’eroico gesto del giovane patrizio romano che si sacrifica col suo cavallo per salvare Roma, dipinto ancora memore di soluzioni berniniane al pari della Giaele e Sisara sulla parete vicina, scena caratterizzata da un ritorno ai toni cupi ch’erano tipici della cifra giordanesca d’una ventina d’anni prima. Il percorso si chiude con due dipinti eseguiti in pendant, una Susanna e i vecchioni e un Lot e le figlie, entrambi al Museo Stibbert, anche se non è nota la provenienza originaria, né sappiamo se si tratti di pezzi riconducibili all’attività fiorentina dell’artista: dipinti scarsamente considerati dalla critica, catturano per l’evidente sensualità con cui Giordano risolve entrambi i soggetti.

Luca Giordano, Allegoria della Speranza (1682; olio su tela, 135 x 103 cm; Napoli, Collezione privata)
Luca Giordano, Allegoria della Speranza (1682; olio su tela, 135 x 103 cm; Napoli, Collezione privata)
Luca Giordano, Atalanta e Ippomene (1682-1685; affresco su vimini; Collezione privata)
Luca Giordano, Atalanta e Ippomene (1682-1685; affresco su vimini, 118,5 x 169,5 cm; Collezione privata)
Luca Giordano, Ratto di Proserpina (1682 circa; olio su tela, 117 x 175,3 cm; Collezione privata)
Luca Giordano, Ratto di Proserpina (1682 circa; olio su tela, 117 x 175,3 cm; Collezione privata)
Luca Giordano, Marco Curzio si getta nella voragine (1682 circa; olio su tela, 180 x 237 cm; Londra, Collezione privata)
Luca Giordano, Marco Curzio si getta nella voragine (1682 circa; olio su tela, 180 x 237 cm; Londra, Collezione privata)
Luca Giordano, Lot e le figlie (1686; olio su tela, 174 x 231 cm; Firenze, Museo Stibbert)
Luca Giordano, Lot e le figlie (1686; olio su tela, 174 x 231 cm; Firenze, Museo Stibbert)
Luca Giordano, Susanna e i vecchioni (1686; olio su tela, 175 x 233 cm; Firenze, Museo Stibbert)
Luca Giordano, Susanna e i vecchioni (1686; olio su tela, 175 x 233 cm; Firenze, Museo Stibbert)

La mostra si completa nella galleria di Palazzo Medici Riccardi con i “ricordi” della National Gallery, giunti sul mercato inglese nel XIX secolo, a seguito d’alcuni passaggi acquistati nel 1952 dal grande studioso Denis Mahon, e finiti per donazione al museo londinese nel 2013, dopo la scomparsa di Mahon. Come ricordato sopra, non si tratta di una novità: già nel 2005, i dipinti londinesi erano stati esposti sotto alle decorazioni della galleria, in un allestimento, curato da Perla Gianni Studi, dove le opere erano sistemate contro le pareti, mentre l’allestimento della mostra attuale (di ACME04, Massimo Baldanzi e David Fogli) ha inserito le opere entro due strutture collocate al centro della galleria, con l’idea di avvicinare i “ricordi” alle parti della grande decorazione della volta che riproducono. Non conosciamo l’origine di questi quadri: inizialmente gran parte della critica era concorde nel ritenerli lavori realizzati in preparazione della volta, commissionata dai Riccardi a Luca Giordano in onore dei Medici, di cui i Riccardi erano alleati e ai quali dovevano parte delle loro fortune. Vengono infatti messi in relazione a un documento risalente al 1685, dunque al momento in cui l’artista dipingeva la volta: in una lettera di Giuliano Bandinelli al marchese Francesco Riccardi si parla infatti della “macchia” che l’artista stava dipingendo per la parete dell’ingresso (il termine, nel linguaggio del tempo, indicava un disegno tracciato con grande rapidità). Poi, nel 1690, vengono citati come “modelli” nell’inventario del palazzo. Molti studiosi sono stati dunque portati a ritenere questi dipinti dei bozzetti preparatorî. Fino alla mostra del 2005, l’unica studiosa a scostarsi da questa interpretazione era stata Silvia Meloni Trkulja, che nel 1972 scriveva che i dipinti dovevano essere considerati dei “ricordi”, ovvero dei dipinti eseguiti successivamente alla realizzazione delle pitture, non necessariamente fedeli in tutto e per tutto, ma sufficientemente vicini alla volta da serbarne traccia. Nel 2003, Donatella Sparti ha pubblicato due importanti documenti, ovvero due note di pagamento, una del settembre del 1685 e una del marzo 1686: quest’ultima, in particolare, è stata messa in relazione ai “ricordi”. Sono poi comparse altre serie di dipinti aventi per soggetto i diversi elementi della decorazione della volta, col risultato che la questione si complica ulteriormente, e diventa più difficile stabilire il ruolo di ciascuna serie, come osserva Francesca Whitlum-Cooper.

Nel suo saggio della mostra del 2005, Cristina Giannini, ricordando che i modelli su carta sono andati dispersi (non è infatti credibile che Luca Giordano abbia improvvisato la decorazione della volta), scriveva che “le macchie di Giordano sembrano oggi più correttamente interpretabili come ‘ricordi’,eseguiti con una tecnica veloce ma non corsiva, solo dopo aver portato a termine la decorazione della Galleria”, il tutto sostenibile “alla luce dell’analisi dell’intera serie delle tele e della decorazione della Galleria, eseguita a tempera e non in affresco, con una tecnica alquanto diversa da quella che l’artista poteva aver mutuato da Pietro da Cortona”. Si tratta, essenzialmente, di caratteristiche della stesura pittorica, che secondo Giannini lasciano intendere come l’artista abbia costruito le forme, piuttosto che inventarle in corso d’opera: la pienezza delle forme stesse, le figure che sono posizionate frontalmente (e quindi non scorciate di sott’insù come sarebbe stato necessario fare in un bozzetto preparatorio), la sicurezza delle pennellate, la diversa preprazione delle tele, la divisione di alcuni soggetti (come il Ratto di Proserpina e l’Allegoria dell’agricoltura che nelle tele di Londra non proseguono con contiuità), sono tutti elementi che fanno propendere per un’esecuzione successiva.

Allestimento della sezione con i ricordi della National Gallery
Allestimento della sezione con i ricordi della National Gallery
Allestimento della sezione con i ricordi della National Gallery
Allestimento della sezione con i ricordi della National Gallery
Luca Giordano, Apoteosi dei Medici (1682-1685; olio su tela, 139 x 65,2 cm; Londra, The National Gallery)
Luca Giordano, Apoteosi dei Medici (1682-1685; olio su tela, 139 x 65,2 cm; Londra, The National Gallery)
Luca Giordano, Allegoria della Fortezza (1682-1685; olio su tela, 95 x 99,2 cm; Londra, National Gallery)
Luca Giordano, Allegoria della Fortezza (1682-1685; olio su tela, 95 x 99,2 cm; Londra, National Gallery)
Luca Giordano, Allegoria della Giustizia (1682-1685; olio su tela, 96 x 97 cm; Londra, National Gallery)
Luca Giordano, Allegoria della Giustizia (1682-1685; olio su tela, 96 x 97 cm; Londra, National Gallery)

Le due sezioni della rassegna concorrono dunque a fornire un’immagine completa della versatilità di Luca Giordano, delle sue impareggiabili capacità tecniche, del successo che ottenne presso i committenti fiorentini, financo del suo ruolo nel contesto delle arti del tempo (ci si potrebbe limitare anche soltanto a rimarcare quanto scrive Riccardo Lattuada in catalogo, quando spiega che “la sfida posta dalla volta della galleria di Palazzo Medici Riccardi non era tanto quella di superare, quanto di evolvere ciò che Pietro da Cortona aveva realizzato tra Palazzo Pitti e Palazzo Barberini”, e Giordano affrontò la sfida “tributando al grande maestro toscano una scintillante prova di ammirazione e al tepmo stesso spingendo la gioiosa imagerie di Berrettini verso la dorata dimensione esistenziale e poetica dell’Arcadia”). E osservando le opere disposte lungo l’itinerario di visita ci si può anche fare un’idea di come Firenze abbia reagito: i “ricordi” della National Gallery sono in tal senso l’esempio più immediato e pregnante, dacché li immaginiamo dipinti sulla scorta dell’apprezzamento per le opere di Luca Giordano che s’era diffuso in città, commissionati dal marchese Riccardi forse per avere una sorta di guida, di “apparato erudito” come lo definisce Whitlum-Cooper, elaborato col duplice scopo d’illustrare agli ospiti le complesse allegorie della volta, e di mostrare le qualità del grande pittore napoletano.

E la città avrebbe risposto omaggiando o riprendendo quello che Luca Giordano aveva portato a Firenze. La mostra, come detto, non si concentra tanto sul lascito di Luca Giordano, quanto sul suo lavoro degli anni fiorentini, sulle novità che l’artista porta con sé in Toscana. La rassegna si configura dunque come un’indagine volta a rintracciare le origini d’una storia ch’è rimasta impressa in maniera indelebile sul tessuto artistico della città. Un’indagine ch’è stata svolta necessariamente per sommi capi, dal momento che, come ammettono i curatori stessi, era impensabile riportare a Palazzo Medici Riccardi tutto quello che l’artista aveva prodotto per Firenze: sono però ben ricostruite le tappe di questo momento così significativo per la storia dell’arte fiorentina e italiana tutta, anche con l’ausilio di un ricco e ben strutturato catalogo. Sarà poi quasi naturale concedersi un giro in città per vedere in che modo le idee di Luca Giordano si sono affermate nel contesto artistico fiorentino.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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