Al via la nuova stagione della serie Mercoledì Addams su Netflix, che ha ottenuto un grande successo con la sua estetica dark e il fascino gotico: per l’occasione abbiamo selezionato sei luoghi in Lombardia che sembrano usciti direttamente da un episodio della famiglia Addams. Castelli in rovina, ossari decorati con teschi, ville abbandonate avvolte nella leggenda e valli alpine segnate dalla memoria delle streghe: la Lombardia custodisce un’anima oscura e affascinante, pronta a sorprendere chiunque. Dal Cimitero Monumentale di Milano, dove le statue si legano con il tempo e la morte, fino alle incisioni rupestri della Valle Camonica, teatro di antiche persecuzioni, i siti scelti raccontano una storia che unisce arte, mistero e memoria. E se l’ossario di San Bernardino con i suoi teschi ordinati in geometrie barocche può ricordare un set cinematografico gotico, Villa De Vecchi a Cortenova, nota come la casa rossa, sembra fatta apposta per evocare presenze inquietanti. Ecco 6 dei luoghi più misteriosi della Lombardia.
Il Castello di Padernello, maniero quattrocentesco circondato da un fossato e dotato di ponte levatoio ancora funzionante, sorge nel borgo rurale omonimo, in provincia di Brescia. Fu della casata dei Martinengo, ramo dei Conti di Padernello, e nel Settecento si trasformò in villa signorile. Passato ai Salvadego (che avevano origine veneta) nell’Ottocento, fu poi abbandonato dopo il 1965. Ricoperto dai rovi e vittima dell’incuria, venne salvato da un gruppo di visionari riuniti nella Fondazione Castello di Padernello, che avviò il recupero del maniero e del borgo. Oggi il Castello, noto agli amanti dell’arte perché qui fu ritrovato, negli anni Trenta, un prezioso ciclo di tele di Giacomo Ceruti, è rinato grazie a una collaborazione pubblico-privata. Grazie alla cooperazione e al sostegno di enti e fondazioni, tra il 2006 e il 2015 sono stati restaurati il Salone da Ballo, il cortile, la Cappella Gentilizia, le cucine storiche e altri ambienti, restituendo vita e funzioni culturali al castello.
Tra le sue stanze aleggia la leggenda della Dama Bianca. Biancamaria Martinengo, figlia del conte Gaspare Martinengo, uno dei discendenti di Antonio I Martinengo, investito nel 1443 dalla Repubblica Veneta del feudo di Gabiano (l’antico nome di Borgo San Giacomo), e di Caterina Colleoni, Biancamaria era una ragazzina amante della natura. Nel 1479 si trasferì da Brescia alla residenza di campagna. La sera del 20 luglio 1480, all’età di tredici anni, incantata dalle lucciole, si sporse dai merli del Castello e cadde. Ogni dieci anni, nella notte della sua morte, Biancamaria ritorna in forma eterea, vestita di bianco e con un libro dorato aperto tra le mani, alla ricerca di qualcuno che sappia ascoltarla.
Il Cimitero Monumentale di Milano è uno dei luoghi più conosciuti della città e al tempo stesso un grande museo a cielo aperto per il pregio delle sue opere architettoniche e scultoree. Nato dall’esigenza di sostituire i vecchi camposanti cittadini con un’unica area più salubre e decorosa, il progetto prese forma nel 1860 grazie a un concorso indetto dal nuovo Municipio. A vincerlo fu l’architetto italiano Carlo Maciachini (Induno Olona, 1818 – Varese, 1899). I lavori iniziarono nel 1863 e il cimitero fu inaugurato nel 1866, sebbene non ancora completato. Nei decenni successivi si aggiunsero il recinto, l’Ossario, il Famedio e altri ampliamenti, fino a raggiungere un’estensione di 250.000 mq. L’edificio principale, decorato con marmi pregiati e pietre locali, si sviluppa simmetricamente con gallerie e porticati, edicole e monumenti che si inseriscono in un impianto urbanistico ordinato. Il Cimitero è attraversato per tutta la sua lunghezza da un viale centrale che lo divide in due sezioni simmetriche. Lungo il percorso si incontrano l’edificio dell’Ossario e la Necropoli, prima di concludersi nel Tempio Crematorio.
Il percorso nel Cimitero introduce alcune tra le sculture funerarie legate alla mitologia e presenta un piccolo assaggio del suo patrimonio simbolico. La figura più ricorrente è Crono, dio del tempo, raffigurato come un vecchio barbuto: seduto sul globo nel monumento Molteni, con la clessidra nel monumento Meraldi e con la falce nel monumento Rancati Sormani, dove assume le sembianze della morte.
Altro tema frequente è quello delle Moire (o Parche), le tre sorelle che tessono, svolgono e recidono il filo della vita. Appaiono nel monumento Bazzoni e nell’edicola Toscanini, dove Atropo è riconoscibile per le forbici. A loro viene spesso attribuita erroneamente la capacità di prevedere il futuro attraverso un occhio condiviso, caratteristica invece delle Graie, custodi delle Gorgoni. Tra queste, Medusa è raffigurata nel monumento Fabe, intenta a lottare con un giovane aviatore. Nel monumento Pozzani compare la civetta, simbolo della filosofia e della dea Atena, ma anche presagio di morte secondo la tradizione popolare. Infine, il monumento Rocca mostra l’anima con ali di una falena, psyché in greco, simbol di spirito, anima e caducità della vita.
Tra le vette delle Alpi centrali, tra le attuali province di Bergamo e Brescia, la Valle Camonica, o Valcamonica, fu a lungo percepita come un rifugio ideale per chi praticava l’occulto: celebri le leggende sulle streghe della Valcamonica. A favorirne la fama contribuirono l’isolamento dei borghi nascosti tra i boschi, la persistenza di antichi rituali pagani e una diffusa ignoranza che alimentava timori profondi. Il passo del Tonale, in particolare, veniva ritenuto il luogo prediletto per i raduni notturni: durante i temporali, si narrava che intorno a grandi fuochi si riunissero le streghe. All’inizio del Cinquecento, la valle fu quindi scossa da almeno due feroci ondate di persecuzioni. Durante la terza ondata, tra il 1518 e il 1521, tra 62 e 80 donne accusate di stregoneria finirono sul rogo, con imputazioni tra le più disparate: provocare la siccità, diffondere malattie tra le persone e il bestiame, compiere sortilegi di diversa natura. In verità, l’origine dell’ossessione inquisitoria affondava le radici in credenze pagane, soprattutto di matrice romana, che nella valle avevano conservato una forte presa culturale.
I processi alle presunte streghe avevano già avuto inizio nel 1455, con successive ondate persecutorie nel 1510-1512, nel 1516-1517 e poi nel periodo culminante del 1518-1521. La situazione degenerò a tal punto che papa Leone X fu costretto a intervenire: il 15 febbraio 1521 sollecitò i vescovi veneti a porre un freno agli eccessi giudiziari. Pochi mesi dopo, il 31 luglio dello stesso anno, la Repubblica di Venezia decise di bloccare l’attività inquisitoriale nella valle. Nel contempo, la Valcamonica ha assunto un ruolo di rilievo per la sua eredità culturale e naturale: nel 1979 l’UNESCO ha riconosciuto come patrimonio mondiale dell’umanità le sue incisioni rupestri, mentre nel 2018 l’intera valle è stata ufficialmente designata come riserva della biosfera, un riconoscimento che indica l’importanza di preservare il territorio sotto molteplici aspetti.
La frazione di Bindo, nel comune di Cortenova (Lecco), ospita Villa De Vecchi, nota come la Casa Rossa, una villa ottocentesca ormai in rovina, nota tra gli appassionati di misteri. Progettata a metà dell’Ottocento dal pittore e architetto Alessandro Sidoli (Cremona, 1812 – Milano, 1855) e voluta dal Conte Felice de Vecchi, eroe delle Cinque Giornate di Milano, la villa si distingueva per il suo colore rosso e l’ispirazione orientale. Originariamente prevedeva anche un osservatorio astronomico al terzo piano, mai costruito, e una fontana nel giardino, oggi scomparsa.
Abbandonata e avvolta dalla vegetazione, la dimora attrae visitatori incuriositi dalle leggende di presenze spettrali: alcune storie parlano dell’uccisione della moglie del conte e della sparizione della figlia, altre di un’amante assassinata. In ogni caso, secondo le fonti ufficiali, De Vecchi morì celibe e non ebbe figli. Voci su suicidi e delitti non trovano conferme, e negli anni sono state più volte smentite. Negli anni Venti, la villa avrebbe brevemente ospitato il satanista Aleister Crowley e i suoi seguaci. In realtà, Giovanni Negri, figlio dell’ultimo custode, ha negato tutte le leggende oscure. Nonostante ciò, Villa De Vecchi conserva un fascino oscuro che riemerge soprattutto a Halloween.
Il Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda (Milano) sorge su un promontorio circondato dal fiume Adda, posizione strategica già sfruttata dai Longobardi. Nel XII secolo vi costruì una fortezza Federico I, detto Barbarossa, da cui partirono spedizioni contro i Comuni lombardi, tra cui quella che portò alla distruzione di Milano. Una leggenda narra che il tesoro dell’imperatore sia ancora nascosto nel castello. Tra XIII e XIV secolo il territorio fu teatro di scontri tra guelfi e ghibellini, poi tra Visconti e Torriani. Tra il 1370 e il 1377 Bernabò Visconti edificò il Castel Nuovo sui resti del fortilizio precedente: una struttura imponente con sotterranei, torre e un ardito ponte a un’unica arcata sul fiume, oggi in rovina. Bernabò morì nel castello nel 1385, secondo la tradizione avvelenato dal nipote Gian Galeazzo con un piatto di fagioli.
Il ponte fu distrutto nel 1416 durante un assedio; ne restano le tracce sulla sponda milanese. La torre quadrata, alta 42 metri, dominava il territorio e oggi, dopo i restauri, presenta una vista panoramica su pianura, Prealpi, Milano e Bergamo. Nel Cinquecento il castello divenne caserma spagnola e successivamente subì l’occupazione napoleonica. Ad oggi, intorno alle sue mura sopravvivono leggende oscure legate alla famiglia Visconti.
Le origini dell’Ossario e della chiesa di San Bernardino di Milano risalgono al XIII secolo. L’area si trovava oltre le mura romane, tra San Babila, Santo Stefano al Verziere e San Nazaro in Brolo, in un ampio brolo (un orto o frutteto) usato come bosco e giardino. Nel 1145 il presbitero e scrittore italiano Gotifredo da Busserò fondò un ospedale vicino alla basilica di Santo Stefano. Un piccolo cimitero fu creato davanti, ma divenne presto insufficiente. Nel 1210 fu costruita una camera per raccogliere le ossa. Nel 1268 sorse una chiesa, poi ampliata nel 1340 dalla confraternita dei Disciplini, che vi aggiunse il culto di San Bernardino da Siena. Nel 1642 il campanile di Santo Stefano crollò distruggendo Ossario e chiesa, che vennero ricostruiti nel 1695. La cupola fu invece affrescata da Sebastiano Ricci (Belluno, 1659 – Venezia, 1734) nel 1693 e 1694.
Le ossa vennero risistemate all’interno delle nicchie, lungo il cornicione, sui pilastri e intorno alle porte, componendo una decorazione in cui l’elemento macabro si lega, ancora oggi, con l’eleganza del gusto rococò. Al centro dell’unico altare, realizzato in marmi pregiati e decorato con i simboli della passione di Cristo, fu inserita in una nicchia una statua di Nostra Signora Dolorosa de Soledad (Santa Maria Addolorata): indossa un camice bianco coperto da un manto nero ricamato in oro, con le mani giunte e inginocchiata accanto al corpo di Gesù morto. La scultura, opera dell’architetto Gerolamo Cattaneo (Novara, 1540 – Brescia, 1584) risalente alla metà del XVIII secolo e voluta da Clelia Grillo Borromeo durante la dominazione spagnola, richiama per stile le immagini sacre custodite nelle chiese di Siviglia, Toledo e altre città spagnole.
Il culto popolare trasformò poi la costruzione nell’Ossario degli Innocenti. Nel 1750 fu edificata l’attuale chiesa, integrando la vecchia come atrio. Il complesso passò al Regio Demanio nel 1786 e tornò alla Chiesa nel 1929. All’interno si conservano dipinti, pale d’altare, una cripta con sepolture dei Disciplini e opere legate a Colombo e al culto dei formaggiai. Nel 1738 il re del Portogallo Giovanni V ne volle una copia a Evora, vicino a Lisbona. L’intero complesso è stato restaurato tra il 1998 e il 2002.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.Per inviare il commento devi
accedere
o
registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo
l’accesso.