Secondo Montanari, la riforma del MiBACT non sarebbe renziana. Ne siamo proprio sicuri?


Una risposta all'articolo di Tomaso Montanari sulla riforma del MiBACT: siamo sicuri che non sia una riforma renziana?

Non nascondo che qui a Finestre sull’Arte apprezziamo molto la figura di Tomaso Montanari: per la sua intelligenza, per la sua caparbietà, per il suo lavoro meritorio a difesa dei beni culturali del paese, per il fatto che è uno dei pochissimi dell’ambiente disposti a parlare, con coraggio, a un pubblico ampio. Quando però ho letto il suo articolo sulla riforma del MiBACT, non potevo credere al fatto che proprio lui avesse definito “non renziana” la riforma presentata dal ministro Dario Franceschini. Questa volta sono in disaccordo quasi completo con Montanari: credo che nessuno avrebbe potuto pensare a una riforma più marcatamente renziana di questa. Una riforma renziana nella sostanza e negli intenti. E ora che sta iniziando a circolare il testo della bozza (si può trovare, per esempio, sul sito del Coordinamento Nazionale Beni Culturali del sindacato CONFSAL-UNSA) ci siamo fatti un’idea un po’ più completa. E le impressioni rimangono sempre quelle di prima, se non per il fatto che i dubbi si sono trasformati in inquietanti mezze certezze.

Tanto per cominciare, Montanari dice che “il testo che circola e le dichiarazioni di Franceschini non parlano affatto della calata dei supermanager sui musei”. E questo è vero. Ma basta leggere il testo della riforma per vedere che gli incarichi di direzione potranno essere conferiti a esterni “di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura”. Il punto è che nessuno specifica cosa significhi “comprovata qualificazione professionale”: dipenderà dai singoli bandi che verranno emessi per le posizioni da direttore dei musei. Ma messa in questo modo, nessuno vieta di pensare che, a dirigere un grande museo italiano, potremo trovare un personaggio come Sandro Bondi. Il vate di Fivizzano rispecchia in pieno i requisiti: ha un titolo di studio attinente perché è laureato in filosofia (ricordiamo che all’epoca le lauree in “scienze dei beni culturali” non esistevano), e ha una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti della cultura, dato che è stato ministro ai beni culturali. Anzi, vi faccio un altro nome: quello di Gabriella Carlucci. Sì, proprio la soubrette che conduceva il Festivalbar. La laurea in storia dell’arte ce l’ha. L’esperienza nei luoghi della cultura pure, dato che è stata responsabile del Dipartimento Cultura di Forza Italia. Non vale? Sì che vale, è un luogo della cultura, anche se potremmo a lungo discutere su quale tipo di cultura possa esprimere il Dipartimento Cultura di Forza Italia. Ma “luogo della cultura” vuol dire tutto e niente: se la cultura istituzionale è insita nel termine “istituti”, tutto il resto potrebbe essere catalogato sotto il termine “luoghi”. Insomma, potremmo ritrovarci Sandro Bondi agli Uffizi e Gabriella Carlucci alla Galleria Borghese. Fantascienza? Di certo non è una prospettiva allettante.

Ma torniamo a noi. Se possiamo essere d’accordo sul fatto che, come dice Montanari, il punto più rivoluzionario della riforma è "la creazione di una Direzione generale Educazione e ricerca“, dal momento che una delle missioni principali del ministero dovrebbe essere quella di ”allargare l’accesso al patrimonio attraverso un’alfabetizzazione dei cittadini", torniamo invece ad avere delle riserve quando Montanari saluta positivamente l’abolizione delle Direzioni regionali. Il che, di per sé, non sarebbe neppure una cattiva notizia: facevano un po’ da intermediarie tra le direzioni generali e le soprintendenze. La riforma le trasforma, sostanzialmente, in segretariati con mansioni amministrative, quindi l’intenzione sarebbe quella di abolire un filtro ritenuto superfluo. Ma di fatto non viene abolito alcunché, anzi, forse le cose si complicano, perché le mansioni tecniche che finora venivano svolte dalle direzioni regionali, saranno affidate a strutture nuove, le commissioni regionali per il patrimonio culturale, che saranno composte dal segretario regionale, dai soprintendenti della regione, e dal direttore del polo museale regionale. E ora arrivano le cattive notizie: la riforma prevede che tali commissioni siano validamente costituite “con la presenza di almeno la metà dei componenti” e deliberino “a maggioranza dei presenti”. In una regione con una commissione composta da sei elementi, basterà quindi la volontà di due di loro per determinare importantissime scelte sul piano della tutela del patrimonio culturale e del paesaggio. Secondo la riforma infatti tali commissioni svolgono anche il ruolo di “Commissione di garanzia per la tutela del patrimonio culturale”: ovvero gli istituti previsti dal Decreto Cultura, che hanno la facoltà di riesaminare atti rilasciati dagli organi periferici (come le soprintendenze), su segnalazione di altre amministrazioni coinvolte nei procedimenti (come Comuni o Regioni). Potenzialmente, potrebbe quindi succedere, dando una (fantascientifica?) interpretazione di quanto si legge dal testo della riforma, che un sindaco cementificatore faccia pressioni su due funzionari della commissione per ottenere il riesame di un atto che sottopone a vincolo paesaggistico una certa zona. Sarebbe il caso di discutere della pericolosità di tali renzianissimi provvedimenti.

Matteo Renzi

Andiamo avanti. Montanari parla anche della sorte dei musei: diversi grandi musei verranno infatti resi autonomi. È vero che potrebbero diventare, come Montanari asserisce, dei veri centri di ricerca. Ma se la misura entrerà in vigore, i musei più piccoli che finora erano strettamente legati a quelli più grandi e celebri (prendiamone due a esempio: il Museo Nazionale di San Marco e gli Uffizi a Firenze) saranno privati tutt’a un tratto di questo forte legame, con tutto ciò che ne conseguirà a livello di gestione, valorizzazione, educazione, organizzazione. E, ovviamente, saranno privati di importanti risorse economiche: a Firenze sono gli Uffizi e la Galleria dell’Accademia che fanno la cosiddetta “parte del leone” e producono più risorse economiche, alle quali adesso attingono, giustamente, anche tutti gli altri musei dell’attuale Polo Museale Fiorentino. Separare Uffizi e Accademia dal resto (come prevede la riforma) potrebbe causare un durissimo colpo sul piano economico per le realtà meno note ma non per questo meno importanti. Ed è lampante il renzianismo di questa misura: non era Renzi che puntava tutto sui feticci, che utilizzava i nomi importanti della storia dell’arte a fini di marketing (pensiamo per esempio a Leonardo da Vinci e alla fallimentare ricerca della battaglia di Anghiari), che diceva che gli Uffizi sono “una macchina da soldi”? Non a caso, Uffizi e Accademia sono la casa di due capolavori-icona, rispettivamente la Venere di Botticelli e il David di Michelangelo. La riforma quindi potrebbe allo stesso tempo conferire autonomia ai musei dei feticci, ma penalizzare importantissimi musei che hanno l’unica colpa di non conservare opere d’arte appetibili al marketing del turismo cialtronesco. Pensiamo, di nuovo, al Museo Nazionale di San Marco a Firenze, dove sono conservate le testimonianze più alte dell’arte del Beato Angelico, molte delle quali prodotte per quello stesso luogo. A tal proposito, illuminante è la lettera aperta scritta dalla direttrice del museo, Magnolia Scudieri, al ministro Dario Franceschini e pubblicata su Il Giornale dell’Arte: presenta in modo chiaro tutti i pericoli di queste misure sui musei.

Stupisce, pertanto, il fatto che Montanari non paventi molti dei pericoli insiti nella riforma. Lui che si è sempre battuto con fervore contro Renzi e il renzianismo (e noi lo abbiamo sempre sostenuto, e ancora lo sosteniamo). Perché indubbiamente questa riforma del MiBACT è un’alta espressione del renzianismo. Potremmo trovarci incompetenti alla plancia di comando dei più importanti musei statali, potremmo assistere allo sfascio delle soprintendenze, potremmo vedere il paesaggio danneggiato in modo irrecuperabile, potremmo assistere alla glorificazione dei feticci e alla scomparsa dei luoghi di cultura più importanti ma meno famosi. Propositi verso i quali l’azione di Renzi sembra sempre aver agito. E contro i quali Tomaso Montanari (per il quale, ripetiamo, continuiamo a nutrire immutata stima) ha sempre lottato. Non c’è che dire: siamo davvero meravigliati... !


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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