Dopo una serie di mostre che hanno attirato più di centomila visitatori tra il 2023 e il 2024, la Presa di Cristo già in Collezione Ruffo, opera attribuita a Caravaggio, torna ad Ariccia, dov’era già stata esposta a fine 2023, ma questa volta trova una collocazione stabile. Il dipinto sarà infatti esposto per almeno cinque anni a Palazzo Chigi grazie a un accordo stipulato tra il Comune e l’antiquario Mario Bigetti, proprietario dell’opera. La convenzione quinquennale prevede il comodato gratuito del quadro, che potrà essere ammirato non più come prestito temporaneo ma come parte integrante della quadreria della dimora storica.
La decisione è stata ratificata con decreto del Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, firmato il 10 settembre 2025 dal Soprintendente per l’Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti, Lisa Lambusier. Il dipinto, notificato già nel 2004 dallo Stato italiano come bene di interesse nazionale, rientra così in un contesto museale coerente con la sua storia. Sarà esposto nella Sala Borghese al piano nobile di Palazzo Chigi, non come opera isolata in una mostra temporanea, ma come elemento fondamentale di un allestimento che rievoca l’atmosfera delle quadrerie seicentesche. Il ritorno ad Ariccia chiude idealmente un ciclo iniziato con la grande mostra del 2023-24, che ebbe come fulcro proprio il dipinto della Collezione Ruffo. La rassegna, allestita a Palazzo Chigi, registrò un’affluenza eccezionale, cui fecero seguito le tappe a Napoli, nella sede della Fondazione Banco di Napoli, a Salerno, al Complesso San Michele, e infine a Gorizia presso la Fondazione Cassa di Risparmio. Le quattro esposizioni hanno raccolto insieme oltre centomila visitatori, confermando il forte richiamo esercitato dal capolavoro attribuito al Merisi.
L’attribuzione al pittore lombardo è sostenuta da tempo da numerosi studiosi. Già dal suo riapparire nel 2003, il dipinto fu riconosciuto come autografo da autorità nel campo come Denis Mahon, Mina Gregori e Maurizio Marini, che a loro volta si richiamavano a una valutazione positiva formulata sin dal 1943 da Roberto Longhi. Successivamente, la lista dei sostenitori si è ampliata con i contributi di Vincenzo Pacelli, John T. Spike, Clovis Whitfield, Anna Coliva e molti altri storici dell’arte. Nel catalogo della mostra del 2023, curato da Francesco Petrucci, fu condotto uno studio approfondito e sistematico che rafforzò ulteriormente l’attribuzione.
A consolidare l’ipotesi di autografia contribuiscono, secondo gli studiosi favorevoli, diversi elementi: la rarissima cornice originaria “nera rabescata d’oro”, descritta negli inventari della collezione Mattei da cui il dipinto proviene, la presenza di pentimenti e variazioni emersi dalle indagini diagnostiche, le dimensioni e la composizione più ampie rispetto alle altre versioni note, e soprattutto la qualità pittorica, con caratteristiche specifiche che si accordano con il linguaggio di Caravaggio.
Il dibattito sulla paternità dell’opera si è intrecciato con la discussione attorno alla versione conservata a Dublino, esposta nella mostra romana di quest’anno. Purtroppo, durante Caravaggio 2025 (questo il titolo della mostra tenutasi a Palazzo Barberini), la versione di Dublino era protetta da un vetro, non era fotografabile (questo dipinto e l’Ecce Homo già Ansorena erano i soli dipinti per i quali vigeva un divieto, fatto rispettare in maniera restrittiva perché entrambe le opere avevano due addetti incaricati di sorvegliarle a vista impedendo a chiunque di avvicinarsi per scattare le foto). Inoltre, la totale assenza di dati diagnostici sullo stato del dipinto prima del restauro e la levigatezza della superficie, giudicata inusuale per Caravaggio, hanno alimentato perplessità tra gli studiosi. La mancata menzione della tela Ruffo nel catalogo della mostra, problema sollevato da Federico Giannini sulle pagine di Finestre sull’Arte, ha suscitato ulteriore sorpresa, dato che la mostra di Palazzo Barberini è stata organizzata dopo il “tour” della versione Ruffo e sarebbe stato interessante un confronto diretto che avrebbe potuto chiarire il rapporto tra le due versioni.
Adesso, con il ritorno a Palazzo Chigi, il pubblico potrà rivedere la Presa di Cristo nel contesto di una dimora storica, in un allestimento che richiama i palazzi Mattei e Ruffo dove l’opera era originariamente collocata. L’esposizione nella Sala Borghese si inserisce inoltre in una tradizione che lega Ariccia alla pittura caravaggesca. In passato il palazzo dei Savelli custodiva infatti La Negazione di Pietro, oggi al Metropolitan Museum di New York, oltre a numerose tele di Orazio e Artemisia Gentileschi. La presenza del Merisi restituisce dunque un richiamo alla ricchezza della quadreria caravaggesca che caratterizzava il palazzo nei primi decenni del Seicento.
Il ritorno stabile del dipinto ad Ariccia non rappresenta soltanto una tappa importante nella valorizzazione del patrimonio artistico locale, ma offre anche un’occasione unica per ammirare uno dei quadri più discussi e affascinanti del catalogo caravaggesco. Inserito armonicamente nella cornice architettonica e decorativa di Palazzo Chigi, il capolavoro torna a dialogare con lo spazio e con la memoria storica della città, proseguendo così un percorso che unisce ricerca, tutela e accessibilità pubblica.
Palazzo Chigi ad Ariccia è visitabile dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 dal 1° ottobre al 30 marzo, dalle 10 alle 13 e dalle 15:30 alle 18:30 dal 1° aprile al 30 settembre.
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