Renato Guttuso, biografia e opere tra arte e politica


Il peso della guerra ha generato negli artisti un nuovo sentire: il siciliano Renato Guttuso a coniugare l'estro artistico con l'impegno politico.

Renato Guttuso (Bagheria, 1911 – Roma, 1987) è stato uno dei più importanti artisti italiani del XX secolo, e il suo nome figura tra quelli che hanno segnato la storia dell’arte italiana della seconda metà del Novecento. Per trovare i prodromi dell’arte di Guttuso occorre andare indietro nel tempo, a quando il pittore siciliano era ancora un bambino, ovvero alla fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918: l’evento aveva influito enormemente sul sentire degli artisti e sulle loro scelte operative. Molti di loro, arruolatisi nell’esercito, vedono con i propri occhi la brutalità della guerra e, una volta tornati a casa, cambiano il loro modo di dipingere; altri, come ad esempio lo scultore Umberto Boccioni e l’architetto Antonio Sant’Elia, non sarebbero mai tornati, morti durante gli eventi bellici. La guerra produce sia l’effetto di una perdita di fiducia, che molti avevano riposto in essa, sia il convogliare delle istanze artistiche intorno a un ideale comune: la necessità di un recupero di linguaggi ed iconografie classiche.

Sono due le tendenze che si affermano dopo la prima guerra: il gruppo Novecento, derivante dall’eredità della prima pittura metafisica (la metafisica è un’esperienza, maturata negli anni Dieci del Novecento, di ridefinizione della figurazione, che solo a partire dagli anni Venti, nel suo esaurirsi, sarà considerata una corrente artistica) e una serie di gruppi che reagiscono a Novecento. Novecento si afferma a Milano nel 1922 ed è costituito da sette artisti (Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Archille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Mario Sironi), su iniziativa della critica d’arte e giornalista Margherita Sarfatti. Gli artisti hanno personalità differenti, ma la loro volontà è quella di allontanarsi dalle avanguardie, per esempio dal Futurismo, che tanto aveva creduto nella portata positiva della guerra. Gli artisti in generale, non solo quelli del gruppo Novecento, manifestano il desiderio di tornare a ripensare, ad esempio, alla statuaria classica (480-323 a.C.), all’arte Rinascimentale (Quattrocento e Cinquecento) ma anche ad artisti più vicini cronologicamente, come Jean-Auguste-Dominique Ingres (Moutauban, 1780 – Parigi, 1867), pittore francese e attento studioso dell’arte antica.

Tra coloro che si oppongono a Novecento vi è Renato Guttuso, esponente di punta di Corrente, movimento artistico il cui nome deriva da Corrente di vita giovanile, rivista nata nel 1938 a Milano, su idea del pittore Ernesto Treccani (Milano, 1920 – 2009). Obiettivo dei membri che vi aderiscono è conciliare la vita politica a un’idea di arte indipendente, svincolato dal potere del regime fascista. Tra i protagonisti del gruppo i pittori Emilio Vedova, Aligi Sassu, Ennio Morlotti, Renato Birolli e ovviamente Guttuso e Treccani. I riferimenti principale sono volti verso l’Ottocento francese, l’Avanguardia internazionale, destando particolare attenzione a personalità singole, non associate a un movimento artistico preciso, come ad esempio Van Gogh e Pablo Picasso. Sempre nel 1938 viene pubblicato il manifesto del gruppo, ma l’esperienza è già in parte conclusa nel 1943, con la soppressione della rivista da parte del regime fascista. Guttuso e Sassu si mostrano contrariati dall’esperienza del gruppo Novecento, considerato un nemico, vista la stretta vicinanza con il fascismo. Se la ragion d’essere, inizialmente, è quella di proporre un’arte moderna che non rompa con la tradizione, è poi Mussolini a servirsi del gruppo Novecento per promuovere l’arte del regime, facendo diventare il movimento di impronta conservativa. Terminata la guerra, l’arte di Guttuso acquisirà un sempre maggior peso politico configurandosi come una delle esperienze più interessanti del suo tempo.

Renato Guttuso nel 1960
Renato Guttuso nel 1960

Vita e successi di Renato Guttuso

Renato Guttuso nasce a Bagheria, in Sicilia, il 26 dicembre del 1911. Da subito entra in contatto con la pittura attraverso il padre, anch’egli artista; successivamente frequenta lo studio del pittore Emilio Murdolo. I paesaggi, i rilievi montuosi della sua terra, ispireranno Guttuso lungo tutto il corso della sua carriera. All’età di tredici anni firma già diverse opere, legate prevalentemente alla pittura di paesaggi. Negli anni a venire si sposta dalla città natale per studiare a Palermo, presso la bottega di Pippo Rizzo, scultore e pittore vicino al futurismo.

Negli anni Trenta, Guttuso lascia l’isola per Roma, dove espone alla Quadriennale Nazionale d’Arte e poi l’anno successivo, il 1932, arriva a Milano, ospite presso la Galleria del Milione insieme ad altri artisti siciliani. Durante il servizio militare, pochi anni dopo, ha l’occasione di conoscere Lucio Fontana, diventato in seguito fondatore dello Spazialismo, Elio Vittorini, poi ideatore nel 1945 della rivista Il Politecnico, ma anche il famoso letterato Salvatore Quasimodo; il filosofo Edoardo Persico e molti altri. Sono gli anni in cui l’artista matura una coscienza politica che influenzerà la realizzazione delle sue opere, intrise di simboli e ideologie. Il 1939 è l’anno in cui si trasferisce nella capitale, Roma, fonte d’ispirazione e occasione di studio continuo, ma che deve lasciare qualche anno dopo per complicazioni politiche. In quegli anni, Mussolini persegue a Roma una sempre più aspra politica di repressione, contro i partiti dell’opposizione; Guttuso, fortemente antifascista, è costretto a lasciare la città. Nel 1945 è a Parigi dove conosce Pablo Picasso, considerato un amico, ma anche uno stimolo sempre nuovo per le sue opere, essendo l’artista spagnolo una delle personalità del Novecento più varie a livello di sperimentazione tecnica.

Fondamentale è, nel dopoguerra, l’adesione al gruppo artistico Fronte Nuovo delle Arti (1946-48), per dare voce a tutti gli artisti che, per colpa del fascismo, non poterono esercitare liberamente la propria arte in Italia. Ne fanno parte Leoncillo Leonardi, Morlotti, Vedova, Corpora, Fazzini e altri. Una vita molto dinamica quella di Guttuso, un artista che viaggia sia per l’Italia che all’estero, ottenendo riconoscimenti, importanti collaborazioni per scenografie teatrali, riviste italiane e internazionali, oltre all’invito ad esporre più volte in occasione della Biennale di Venezia. Dal 1965 vive e lavora a Roma a Palazzo del Grillo, senza mai abbandonare la carriera politica (non era mai venuta meno la sua fede comunista: già nel 1940 si era infatti iscritto al Partito Comunista d’Italia clandestino), culminante con l’elezione a senatore nel PCI, il Partito Comunista Italiano, nel 1976. Il suo capolavoro del 1972, I funerali di Togliatti, oggi conservato al MAMbo di Bologna, è una sorta di manifesto della pittura comunista. Nel 1974 dipinge invece Vucciria, il capolavoro dedicato al noto quartiere di Palermo. Il 18 gennaio del 1987 si spegne a Roma, all’età di settantacinque anni. Nella sua carriera, Guttusot ha collezionato ben quattro partecipazioni alla Biennale di Venezia (1948, 1950, 1952, 1995) e tre alla Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1937), oltre a mostre personali a Palazzo Grassi a Venezia (1981), a Milano a Palazzo Reale (1985), allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1962), alla Kunstverein di Francoforte (1975).

Renato Guttuso, Crocifissione (1941; olio su tela, 200 x 200 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)
Renato Guttuso, Crocifissione (1941; olio su tela, 200 x 200 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)


Renato Guttuso, La spiaggia (1955–1956; olio su tela, 301 x 452 cm; Parma, Galleria Nazionale)
Renato Guttuso, La spiaggia (1955–1956; olio su tela, 301 x 452 cm; Parma, Galleria Nazionale)


Renato Guttuso, Vucciria (1974; olio su tela, 300 x 300 cm; Palermo, Palazzo Steri)
Renato Guttuso, Vucciria (1974; olio su tela, 300 x 300 cm; Palermo, Palazzo Steri)

L’arte di Guttuso raccontata dai suoi contemporanei

In assenza di un linguaggio adeguato più di un altro per realizzare opere d’arte impegnate politicamente, Guttuso opta per la libertà espressiva. La sua idea risulta chiara leggendo le seguenti parole: “Esprimersi con assoluta sincerità ed in comunità di spirito, liberi da ogni preoccupazione, sia arcaica che neoclassica, sia metafisica che intellettualistica. Primitivi, per necessità, perché nati in un’epoca di inizio” (da Discorsi sulla sincerità: i giovani, in L’Ora, 10-11 aprile 1933). Una delle sue opere più note è la Crocifissione del 1941. Un’opera molto criticata, soprattutto dalla Chiesa, per la “rappresentazione irriguardosa” del Cristo in croce, secondo la curia bergamasca. I colori sembrano spenti, quasi metallici, i corpi deformati simili a caricature; le pose assunte dalle figure sono antinaturalistiche e allungate, figlie dell’influenza dell’opera di Picasso, Guernica. Guttuso continua con i suoi interventi non convenzionali, attraverso tecniche tradizionali, come il disegno, ampiamente utilizzato dall’artista (la parte progettuale, infatti, è anche lo strumento con cui l’artista fa pratica). Negli anni Cinquanta, Guttuso è quindi solito prendere un disegno e intelarlo, presentandolo come fosse un dipinto.

Alcuni studiosi di Guttuso, in particolare Enrico Crispolti, critico e storico dell’arte italiano, hanno trovato delle difficoltà nell’attribuire con certezza opere all’artista, seppur egli, all’epoca dell’indagine, fosse ancora in vita; ciò che mise in difficoltà il critico e l’artista stesso era la quantità di disegni realizzati: talmente tanti da non riuscire a distinguere un originale da un falso. Un problema che neppure l’intervento di Guttuso in persona poté risolvere. Molti gli artisti che elogiarono l’artista siculo, in primo luogo l’amico, scrittore, poeta e regista Pier Paolo Pasolini, ma anche le testimonianze di LeonardoSciascia sono rilevanti per comprendere come agiva l’artista. Un’amicizia, quest’ultima, interrotta da una discussione politica.

Dagli scritti si evince che nelle sue opere il legame con la terra occupa un posto fondamentale, sebbene in continua evoluzione con la sua poetica. Su un’opera giovanile, La fuga dall’Etna, 1938-1939, Sciascia fa un parallelismo con l’attaccamento alle proprie origini, concetto cardine in Giovanni Verga: “La poetica è per entrambi quella di semplificare le umane passioni, ma quella di Verga prende avvio da un ritorno, quella di Guttuso da una fuga [..] l’uomo attaccato allo scoglio della miseria e degli affetti, soffre come e quanto l’uomo in fuga, l’uomo in rivolta di Guttuso”. Guttuso, peraltro, nel 1978 realizza alcune illustrazioni per I Malavoglia di Verga. Anche Maurizio Calvesi nel saggio Guttuso e la Sicilia del 1985 scrive a proposito di vicinanza alla terra natia: “pochi artisti, come Guttuso, sono così profondamente segnati dalla loro origine, e non soltanto nella natura dei temi, ma nelle stesse scelte linguistiche”.

Negli anni Quaranta, l’arte di Guttuso cambia: il realismo e il drammatismo dei suoi dipinti si accentuano, e nell’immediato dopoguerra diventa vivo l’interesse per uomini e donne del popolo. Guttuso, in quegli anni, realizza due versioni dell’Occupazione delle terre incolte in Sicilia, una del 1947 (meglio nota come Marsigliese contadina), e l’altra del 1949 circa; è evidente un cambiamento tecnico da parte dell’artista. Le due opere non sembrano nemmeno avere così pochi anni di distanza una dall’altra. Nella prima emerge l’influenza di Guernica di Picasso, artista che conosce e col quale stringe amicizia nel 1945: le figure sono talmente vicine che quasi si sovrappongono, i volti sono squadrati, le espressioni fredde, spesso senza i connotati del viso; le sembianze umane sono deformate totalmente, quasi come se fosse una natura morta. La seconda versione è al contrario chiara e leggibile per l’osservatore, in quanto le figure sono distinte tra loro, oltre che dal paesaggio circostante. Una delle sue ultime opere è La fuga in Egitto del 1983, per la cappella del Sacro Monte di Varese, dove inconfondibili sono i colori, provenienti dalla sua Sicilia. Di particolare rilevanza è anche la produzione a carattere politico: il capolavoro in questo senso è I funerali di Togliatti, dipinto del 1972 che rappresenta i funerali del segretario del PCI, Palmiro Togliatti, celebrati a Roma nel 1964: Guttuso, per tradurre in immagini il suo impegno politico, realizza un funerale di fantasia descritto però realisticamente. Alle esequie vediamo infatti alcuni personaggi (come Lenin, Picasso, Neruda) che non parteciparono realmente ai funerali di Togliatti (Lenin peraltro morì quarant’anni prima) ma che l’artista considerava personaggi di spicco delle forze progressiste.

Renato Guttuso, Marsigliese contadina (1947; olio su carta intelata, 151 x 208,5 cm; Budapest, Museo di Belle Arti)
Renato Guttuso, Marsigliese contadina (1947; olio su carta intelata, 151 x 208,5 cm; Budapest, Museo di Belle Arti)


Renato Guttuso, Occupazione delle terre incolte in Sicilia (1949; olio su tavola; Dresda, Gemäldegalerie)
Renato Guttuso, Occupazione delle terre incolte in Sicilia (1949; olio su tavola; Dresda, Gemäldegalerie)


Renato Guttuso, I funerali di Togliatti (1942; olio su tela, 340 x 440 cm; Bologna, MAMbo)
Renato Guttuso, I funerali di Togliatti (1942; olio su tela, 340 x 440 cm; Bologna, MAMbo)

Dove vedere le opere di Renato Guttuso

In Italia sono molti i musei che conservano opere di Renato Guttuso: il siciliano fu infatti un artista molto prolifico e la sua arte si può apprezzare in tutta Italia. Il museo di riferimento per l’artista è il Museo Renato Guttuso di Bagheria, aperto nel 1973 nella sua città natale (si trova ospitato nella sede di Vill Cattolica), a seguito di una donazione di alcune sue opere al Comune. a Milano al Museo del Novecento, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (qui si trova la famosa Crocifissione del 1941), e poi ancora a Palermo, a Palazzo Steri, dove è conservato uno dei suoi capolavori, la Vucciria. A Roma, conserva opere di Guttuso anche l’Accademia di San Luca (l’artista fu accademico dal 1960). Il MAMbo di Bologna custodisce invece I funerali di Togliatti. Le due versioni dell’Occupazione delle terre incolte in Sicilia sono conservate all’estero, la prima a Budapest presso il Museo Nazionale di Belle Arti, la seconda invece a Dresda.


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