Vedutismo a Venezia: origini, sviluppo, stile del genere pittorico


Il vedutismo fu un genere pittorico nato nel Settecento e che conobbe grande successo a Venezia: le origini, lo sviluppo e lo stile del vetudismo.

Con il termine vedutismo si indica il genere pittorico nato nel XVIII secolo e dedicato alla ripresa fedele di paesaggi e scorci urbani. Il vedutismo conobbe un grande successo a Venezia durante il Settecento: le ragioni di tale successo sono da cercarsi soprattutto nell’usanza del Grand Tour: si indicava con questo termine il viaggio compiuto dai giovani rampolli della nobiltà europea alla scoperta del continente, spesso con la guida di un precettore, e che aveva come meta preferita proprio l’Italia (leggi qui la recensione della grande mostra sul Grand Tour a Milano del 2021-2022). Chi compiva il Grand Tour era desideroso di portare con sé, in patria, un ricordo della propria esperienza: e spesso le scelte cadevano o sui ritratti, come quelli “inventati” da Pompeo Batoni, nei quali il soggetto era raffigurato sullo sfondo di rovine antiche, su scorci di città italiane, oppure su vedute di città (e il termine vedutismo infatti deriva, appunto, dalla parola “veduta”). Il fatto che il vedutismo trovasse terreno fertile a Venezia si spiega con il fatto che la città era una delle più gettonate in Italia da parte di questi ricchi committenti, che diventarono anche responsabili della diffusione di queste opere in patria: furono molti i committenti, anche in questo caso soprattutto inglesi, che dall’estero richiedevano opere ai maggiori artisti italiani del tempo.

Il vedutismo inoltre trovava i suoi presupposti anche nella filosofia illuminista, che si proponeva di indagare la realtà nel modo più oggettivo possibile: in effetti la pittura vedutista rispondeva perfettamente ai principî di questo modo di pensare, proprio perché le vedute erano uno specchio fedele di ciò che i pittori vedevano davanti a sé. La stessa abitudine del Grand Tour si diffuse grazie alla filosofia illuminista: scopo del viaggio era infatti quello di conoscere. Tuttavia, il vedutismo non fu genere che nacque nel Settecento (benché nel XVIII secolo conoscesse la sua maggiore diffusione).

Gaspar van Wittel, Veduta del Colosseo con l’arco di Costantino (1716; olio su tela, 54,5 x 114,3 cm; Norfolk, The Earl of Leicester and the Trustees of the Holkham Estate)
Gaspar van Wittel, Veduta del Colosseo con l’arco di Costantino (1716; olio su tela, 54,5 x 114,3 cm; Norfolk, The Earl of Leicester and the Trustees of the Holkham Estate)
Luca Carlevarijs, Il Molo con la Zecca e la Libreria, verso ovest, Venezia (1706; olio su tela, 63 x 92 cm; Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi, inv. 751)
Luca Carlevarijs, Il Molo con la Zecca e la Libreria, verso ovest, Venezia (1706; olio su tela, 63 x 92 cm; Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi, inv. 751)

Le origini del vedutismo e i primi pittori vedutisti

Il primo artista che si possa definire vedutista fu infatti Gaspar van Wittel (Amersfoort, 1653 – Roma, 1736), pittore olandese trapiantato in Italia (il suo nome fu poi italianizzato in Gaspare Vanvitelli) che, arrivato a Roma negli anni Settanta del Seicento, “inventò” il genere della veduta urbana.

Anche van Wittel produsse durante la sua carriera, e soprattuttto agli inizi del Settecento, vedute di Venezia, ma non riuscirono a raggiungere il grado di realismo di quelle di Luca Carlevarijs (Udine, 1663 - Venezia, 1730), che fu il primo artista a proporre le sue vedute a un pubblico straniero di “turisti” in passaggio, intuendo la fortuna che il genere avrebbe avuto negli anni a seguire. Carlevarijs riuscì a raggiungere risultati di grande fedeltà alla realtà anche attraverso l’uso di uno strumento meccanico noto come camera ottica, una sorta di antenata dell’odierna macchina fotografica: si trattava di uno strumento il cui scopo era quello, appunto, di restituire un’immagine oggettiva di ciò che il pittore vedeva, e non a caso si diffuse largamente in un’epoca caratterizzata dalla filosofia illuminista. La camera ottica era una specie di scatola, che poteva assumere varie dimensioni (in alcune camere ottiche il pittore poteva anche entrare e sedersi) e che, facendo penetrare la luce attraverso un foro, proiettava l’immagine che il pittore voleva riprodurre su una superficie. Poi l’immagine, attraverso l’utilizzo di specchi, veniva riflessa sul foglio di carta adoperato dal pittore. È bene però ribadire che la camera ottica forniva soprattutto un mezzo per prendere appunti e non per creare direttamente l’opera: questa nasceva infatti dalla rielaborazione, secondo il gusto e l’inclinazione personale dell’artista, di ciò che quest’ultimo aveva annotato sui propri fogli utilizzando la camera ottica.

Canaletto, Piazza San Marco verso San Geminiano (1735 circa; olio su tela, 69 x 94 cm; Roma, Galleria Corsini)
Canaletto, Piazza San Marco verso San Geminiano (1735 circa; olio su tela, 69 x 94 cm; Roma, Galleria Corsini)
Canaletto, Il ritorno del bucintoro al molo nel giorno dell’ascensione (1729 circa; olio su tela, 120,5 x 151 cm; Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli)
Canaletto, Il ritorno del bucintoro al molo nel giorno dell’ascensione (1729 circa; olio su tela, 120,5 x 151 cm; Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli)
Canaletto, Capriccio palladiano (1758 circa; olio su tela, 58 x 82 cm; Parma, Galleria Nazionale)
Canaletto, Capriccio palladiano (1758 circa; olio su tela, 58 x 82 cm; Parma, Galleria Nazionale)

L’apice e il successo del vedutismo: Canaletto

L’artista con cui il vedutismo raggiunse il suo successo internazionale (tanto che lui stesso fu per un certo periodo in Inghilterra, dove dipinse vedute di città e campagne del luogo) e la sua massima perfezione, fu Antonio Canal detto il Canaletto (Venezia, 1697 - 1768). Il motivo per cui Canaletto ebbe un successo maggiore rispetto a quello di Carlevarijs va ricercato soprattutto nella sua più spiccata sensibilità e anche nel suo maggior fiuto commerciale. Le vedute del Canaletto si distinguevano infatti perché erano caratterizzate da una luminosità delicata e tersa (Piazza San Marco verso San Geminiano, 1735 circa, Roma, Galleria Corsini), che faceva sembrare la sua Venezia immersa in una estate perenne, al contrario di Carlevarijs che non mancava invece di realizzare vedute contraddistinte da colori più spenti e scialbi, realizzate in giornate nuvolose. Le atmosfere di Canaletto, molto più ariose e soprattutto molto più suggestive rispetto a quelle del pittore friulano, erano maggiormente apprezzate dal pubblico. Inoltre il Canaletto ebbe anche l’intuizione di creare opere di piccolo formato che potessero essere più facilmente trasportabili. E ancora, l’artista veneziano ebbe particolare successo nel dipingere scene delle feste che si svolgevano sulle acque della laguna (Il Bucintoro al Molo il giorno dell’Ascensione, 1740 circa, Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli), dimostrando così di saper creare vedute dal sapore più spettacolare di quelle di Carlevarijs, pur avendo la stessa innata capacità di rendere con assoluta fedeltà ciò che vedeva davanti a sé.

Un altro fortunato filone della produzione del Canaletto fu quello dei capricci: con questo termine si indicano quelle vedute dove elementi tratti dalla realtà (città, paesaggi, monumenti) si mescolano a elementi di fantasia (spesso rovine antiche, ma anche elementi moderni: famoso è il Capriccio Palladiano (1758 circa, Parma, Galleria Nazionale) dove il Canaletto raffigura il quartiere di Rialto assieme alla Basilica palladiana di Vicenza e con una vista sul ponte di Rialto costruito però secondo il progetto, mai realizzato, del Palladio). Era questo un modo di soddisfare il gusto dei propri committenti per il pittoresco, termine con cui si indicava all’epoca ciò che era libero e fantasioso, ma anche un modo in cui lo stesso artista poteva esprimere la propria personalità e la propria fantasia. Anche se non si trattava di un genere inventato dal Canaletto: il pittore veneziano ne fu tuttavia l’interprete più fantasioso e originale. Ma l’estro del Canaletto si esprimeva anche nella ricerca di scorci e angoli di Venezia che non erano mai stati rappresentati da altri pittori vedutisti per creare quindi vedute del tutto originali.

Bernardo Bellotto, Veduta di Dresda (1750 circa; olio su tela, 136 x 236 cm; Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister)
Bernardo Bellotto, Veduta di Dresda (1750 circa; olio su tela, 136 x 236 cm; Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister)
Bernardo Bellotto, L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,3 x 105,7 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 192)
Bernardo Bellotto, L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,3 x 105,7 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 192)
Francesco Guardi, Il Bacino di San Marco con l'isola di San Giorgio Maggiore (1785 circa; olio su tela; Modena, Galleria Estense)
Francesco Guardi, Il Bacino di San Marco con l’isola di San Giorgio Maggiore (1785 circa; olio su tela; Modena, Galleria Estense)
Francesco Guardi, Gondola nella laguna (1765 circa; olio su tela, 31 x 42 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Francesco Guardi, Gondola nella laguna (1765 circa; olio su tela, 31 x 42 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)

Ultimi esponenti del vedutismo: Bernardo Bellotto e Francesco Guardi

Il vedutismo vide i suoi ultimi grandi esponenti in Bernardo Bellotto (Venezia, 1721 – Varsavia, 1780) e Francesco Guardi (Venezia, 1712 - 1793). Il primo era il nipote del Canaletto (era figlio di una sorella), e si distinse per un’arte che, al contrario di quella dello zio, si dimostrava piuttosto fredda, tanto che trovò migliori risultati, più che nelle vedute di Venezia, in quelle di terraferma (Veduta di Dresda, 1750 circa, Dresda, Gemäldegalerie), che attirarono su di lui l’interesse di committenti provenienti dall’Europa del nord (leggi qui un approfondimento su Bernardo Bellotto in Toscana): Bellotto fu infatti pittore di corte a Dresda, a Vienna e a Varsavia, città quest’ultima dove avrebbe trascorso il periodo conclusivo della sua carriera e della sua esistenza.

Diversissima e unica nel panorama del vedutismo fu invece la sensibilità di Francesco Guardi, pittore che proveniva da una famiglia di origini trentine e che iniziò dipingendo tradizionali opere a soggetto religioso e che arrivò tardi al vedutismo, probabilmente tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento. Non lo sappiamo con certezza perché l’artista ha una biografia scarsamente documentata: il primo documento che lo riguarda risale infatti al 1750. Con Francesco Guardi, la veduta smette di essere resa in modo oggettivo ed estremamente fedele e subisce invece il “filtro” del sentimento dell’artista. Bisogna infatti sottolineare che, nonostante il suo ruolo egemone nella cultura e nel fasto degli eventi mondani, Venezia nel Settecento stava attraversando una crisi che portò a una notevole perdita di prestigio internazionale e a problemi economici (dal momento che perse molti dei suoi traffici commerciali). Tutto questo sarebbe sfociato, nel 1797, nella perdita della millenaria indipendenza. Ciò nonostante, la città continuava la propria vita tra feste e divertimenti.

L’animo di Francesco Guardi avvertiva questa decadenza, che restituisce nelle vedute attraverso atmosfere che perdono quella luminosità tersa tipica del Canaletto e si fanno sfuggenti e malinconiche. Nelle sue opere i contorni dei palazzi, degli edifici, delle figure, si fanno meno nitidi, l’aria si fa più rarefatta e pesante, tanto che sembra quasi di percepire l’aria carica di salmastro della laguna, le figure diventano distorte, l’acqua del mare si congiunge spesso con il cielo suggerendo un senso di infinito che alimenta l’angoscia di chi osserva l’opera (Il Bacino di San Marco con l’isola di San Giorgio Maggiore , 1785 circa, Modena, Galleria Estense). Le vedute di Francesco Guardi finiscono così per evocare sentimenti di nostalgia e malinconia: una pittura, la sua, molto originale, che dimostrava come fosse possibile esprimere il proprio sentire anche attraverso una veduta o un capriccio, tanto da anticipare in qualche modo certe soluzioni del Romanticismo ottocentesco.


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