La difesa dell’archeologia preventiva diventa il terreno di una mobilitazione compatta che unisce professionisti, ricercatori e docenti universitari. Nove tra le principali associazioni italiane del settore hanno deciso di intervenire pubblicamente con una lettera aperta indirizzata al ministro della Cultura Alessandro Giuli, chiedendo l’apertura immediata di un confronto politico e tecnico dopo le polemiche suscitate dall’emendamento 108.0.11 Matera-Gelmetti alla Legge di Bilancio 2026. L’emendamento, successivamente dichiarato inammissibile, avrebbe comportato secondo i firmatari una modifica sostanziale dell’articolo 28, comma 4 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, con la conseguente cancellazione delle procedure di archeologia preventiva, considerate un presidio irrinunciabile per la tutela del patrimonio e per la gestione ordinata delle opere pubbliche.
Il documento, sottoscritto da ANA-Associazione Nazionale Archeologi, Api-Mibact-Archeologi del Pubblico Impiego, Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, Archeoimprese, Assotecnici, CIA-Confederazione Italiana Archeologi, Consulta di Topografia Antica, FCDA-Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia e Legacoop produzione e servizi, parla esplicitamente di “forte preoccupazione” per una proposta normativa che, se approvata, avrebbe inciso su un pilastro della legislazione italiana in materia di tutela archeologica. Le associazioni ricordano come la procedura preventiva sia stata introdotta per evitare che i ritrovamenti casuali durante i lavori pubblici producano interruzioni non programmabili, costi aggiuntivi e rischi per l’integrità dei siti archeologici, inclusi quelli sommersi, spesso identificabili solo attraverso indagini specializzate.
La cancellazione delle verifiche preliminari, sostengono le associazioni di settore, avrebbe reso i cantieri esposti a una serie di conseguenze difficilmente gestibili. In assenza di una valutazione preventiva, infatti, un eventuale rinvenimento fortuito di reperti o strutture archeologiche comporterebbe l’arresto immediato dei lavori, con un impatto notevole sui tempi e sui costi delle opere. Questo meccanismo, già ben noto agli operatori del settore, rappresenta una delle ragioni per cui i protocolli di controllo archeologico sono stati istituiti: evitare che la gestione dell’emergenza diventi una variabile incontrollabile, garantendo invece una pianificazione consapevole delle fasi progettuali e operative.
Le associazioni richiamano inoltre gli obblighi internazionali dell’Italia. La ratifica della Convenzione Europea de La Valletta nel 2015, ricordano i firmatari, impegna lo Stato a rafforzare gli strumenti di protezione del patrimonio archeologico e a considerare l’archeologia preventiva un elemento strutturale delle politiche pubbliche. L’appello contenuto nella lettera va dunque oltre la semplice contestazione dell’emendamento, proponendo che le procedure preventive siano estese non solo agli interventi realizzati con fondi pubblici, ma anche a quelli privati, come già previsto da diversi ordinamenti europei. Questa estensione, nelle intenzioni delle associazioni, permetterebbe di uniformare gli standard nazionali alle migliori pratiche adottate in altri Paesi e migliorare l’efficacia complessiva del sistema di tutela.
Un altro punto centrale sollevato riguarda la necessità di aggiornare l’intero impianto del Codice dei Beni Culturali, la cui struttura risente ancora dell’impostazione normativa che risale, nella sostanza, alla legge del 1939. Le associazioni ritengono che la complessità attuale della gestione del patrimonio archeologico richieda strumenti diversi, capaci di integrare tutela, ricerca, formazione, valorizzazione e pianificazione territoriale. Questa revisione organica, sostengono, è indispensabile per collocare l’archeologia all’interno delle politiche contemporanee di sviluppo e di governance pubblica, superando una visione che talvolta considera il patrimonio archeologico come un ostacolo piuttosto che una risorsa.
La richiesta indirizzata al ministro Giuli è quindi chiara: aprire subito un tavolo di concertazione che consenta il confronto tra istituzioni e comunità professionale, con l’obiettivo di definire interventi normativi condivisi e di evitare che decisioni affrettate possano compromettere un settore strategico per la tutela del patrimonio e per la realizzazione stessa delle infrastrutture. Le associazioni si dichiarano disponibili a contribuire con proposte tecniche mirate e a collaborare alla costruzione di un sistema più moderno ed efficace.
Nella lettera viene richiamata anche la funzione stessa dell’archeologia preventiva, spesso percepita in modo distorto nell’opinione pubblica e talvolta nella stessa amministrazione. È su questo punto che interviene Marcella Giorgio, presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Archeologi: “L’archeologia”, dice, “non è un intralcio nella costruzione delle politiche di sviluppo territoriale nazionale, bensì è lo strumento più efficace per consentirne la progettazione ed esecuzione e conciliarle con la tutela della memoria storica di territori e comunità”.
L’unità mostrata dalle associazioni nella loro iniziativa vuole inoltre sottolineare come la questione non riguardi soltanto la difesa degli interessi professionali, ma coinvolga un più ampio tema di responsabilità pubblica verso i beni archeologici, che appartengono all’intera collettività. La soppressione delle verifiche preventive, avvertono i firmatari, rischierebbe di accelerare il degrado o la perdita irreversibile di testimonianze che contribuiscono a definire l’identità culturale del Paese. Lo stesso principio è ribadito nei passaggi conclusivi della lettera, dove si segnala la necessità di agire in modo coordinato per evitare un impoverimento del patrimonio nazionale in un momento in cui le grandi opere infrastrutturali, finanziate anche attraverso fondi europei, sono destinate a moltiplicarsi.
Il fronte associativo sostiene che soltanto una pianificazione rigorosa possa evitare incidenti che avrebbero ripercussioni sia sulle casse pubbliche sia sull’immagine dell’Italia come Paese che tutela e valorizza il proprio patrimonio. Per questo motivo, l’auspicio dei firmatari è che il ministro Giuli accolga la richiesta di aprire un dialogo strutturato, capace di trasformare una polemica contingente in un’occasione per migliorare il sistema.
In attesa di un segnale da parte del Ministero, le associazioni ribadiscono che l’archeologia preventiva rappresenta una condizione necessaria per la modernizzazione dell’apparato pubblico, un metodo che consente di programmare gli interventi, limitare i rischi e garantire al contempo la protezione dei beni culturali. La sfida, affermano, non è scegliere tra sviluppo e tutela, ma riconoscere che le due dimensioni possono coesistere e rafforzarsi a vicenda, purché inserite in un quadro normativo chiaro e aggiornato.
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