In migliaia firmano per chiedere alla Biennale di Venezia di escludere Israele


Oltre ottomila persone legate al mondo dell’arte hanno scritto una lettera per chiedere alla Biennale di Venezia di escludere Israele dall’edizione 2024. Ecco cosa dicono.

Una lettera per chiedere alla Biennale di Venezia l’esclusione di Israele dalle partecipazioni nazionali: l’hanno firmata in migliaia tra artisti, curatori, docenti e persone più o meno legate al mondo dell’arte. La tesi di fondo del gruppo, che si è ribattezzato “Art Not Genocide Alliance” (ANGA) è che Israele stia perpetrando un genocidio contro i palestinesi a Gaza, di conseguenza viene chiesto all’organizzazione della Biennale di escludere il Padiglione di Israele.

Il gruppo ANGA scrive nella lettera che “la più alta corte mondiale, la Corte Internazionale di Giustizia, ha affermato che Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio contro i palestinesi a Gaza” (in realtà l’ordinanza 192 del 26 gennaio 2024 la Corte, che ordina a Israele di impedire qualunque atto rientri nel campo dell’applicazione della Convenzione sul genocidio, è più sfumata: al paragrafo 30, si legge che “nella fase attuale del procedimento non è tenuta a verificare se siano avvenute violazioni degli obblighi di Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio” e che la verifica su eventuali violazioni di Israele è rinviata alla fase dell’esame del merito, nonostante, al paragrafo 54, la Corte ritiene che i fatti e le circostanze siano sufficienti per concludere che alcuni diritti sostenuti dal Sudafrica, che ha mosso l’azione contro Israele, siano “plausibili”, ovvero il diritto dei palestinesi di Gaza di essere protetti da atti di genocidio e il diritto del Sudafrica di cercare la conformità di Israele con le obbligazioni della Convenzione), e che i leader di Israele “proclamano di essere al di sopra del diritto internazionale e pubblicizzano coraggiosamente il loro intento genocida”.

La Biennale, continua la missiva, “è stata modellata sull’esposizione mondiale eurocentrica e conserva questi pregiudizi geopolitici. Le richieste di riconoscere le atrocità commesse dai suoi partecipanti non sono, tuttavia, senza precedenti. Dal 1950 al 1968, a causa della diffusa condanna globale e degli appelli al boicottaggio, il Sudafrica dell’apartheid fu scoraggiato dall’esporre e messo da parte quando la Biennale assegnò gli spazi. Nel 1968, sulla base della risoluzione 2396 delle Nazioni Unite, fu introdotto un divieto ufficiale di sospendere ‘gli scambi con il regime razzista’. Il Sudafrica non fu riammesso fino all’abolizione del regime dell’apartheid nel 1993”.

I firmatari richiamano anche il precedente del 2022, quando, in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina, la Biennale e il suo curatore rilasciarono dichiarazioni pubbliche a sostegno del diritto del popolo ucraino all’autodeterminazione, alla libertà e all’umanità. In quel frangente, la Biennale condannò la Russia per la sua aggressione e rifiutò, con un comunicato ufficiale, “qualsiasi forma di collaborazione con coloro che hanno compiuto o sostenuto un atto di aggressione così grave” e “la presenza in qualsiasi delle sue eventi di delegazioni ufficiali, istituzioni o persone legate a qualsiasi titolo al governo russo”. Prima ancora che arrivasse la condanna, tuttavia, furono gli artisti e il curatore del padiglione russo a ritirarsi spontaneamente da quell’edizione della Biennale, durante la quale il padiglione della Russia rimase chiuso.

Ad ogni modo, secondo i firmatari, questa volta “La Biennale è rimasta in silenzio sulle atrocità di Israele contro i palestinesi. Siamo sconvolti da questo doppio standard. L’assalto israeliano a Gaza costituisce uno dei bombardamenti più intensi della storia. Alla fine di ottobre 2023 Israele aveva già lanciato su Gaza tonnellate di esplosivo con una potenza pari a quella della bomba nucleare sganciata su Hiroshima, in Giappone, nel 1945. Nel gennaio 2024 è stato riferito che il tasso di mortalità giornaliero a Gaza supera quello di qualsiasi altro grande conflitto del XXI secolo. I curatori e gli artisti del padiglione israeliano hanno rilasciato una dichiarazione semplicistica sulla necessità dell’arte in tempi bui, insistendo su ‘una tasca per la libera espressione e creazione in mezzo a tutto ciò che sta accadendo’. Un altro doppio standard”.

L’arte, sostiene il gruppo ANGA, “non nasce nel vuoto e non può trascendere la realtà. Gli eufemismi non possono cancellare le verità violente. Qualsiasi opera che rappresenti ufficialmente lo Stato di Israele costituisce un’approvazione delle sue politiche genocide. Non esiste libera espressione per i poeti, gli artisti e gli scrittori palestinesi assassinati, messi a tacere, imprigionati, torturati e a cui è stato impedito di viaggiare all’estero o all’interno di Israele. Non c’è libertà di espressione nei teatri palestinesi e nei festival letterari chiusi da Israele. Non c’è libertà di espressione nei musei, negli archivi, nelle pubblicazioni, nelle biblioteche, nelle università, nelle scuole e nelle case di Gaza bombardate e ridotte in macerie da Israele. Non esiste libertà di espressione nel crimine di guerra del genocidio culturale. Mentre il padiglione israeliano va avanti, il bilancio delle vittime del genocidio a Gaza e in Cisgiordania aumenta ogni giorno. Mentre il team curatoriale israeliano progetta il suo ‘Padiglione della fertilità’ riflettendo sulla maternità contemporanea, Israele ha ucciso più di 12.000 bambini e distrutto l’accesso alle cure riproduttive e alle strutture mediche. Di conseguenza, le donne palestinesi fanno cesarei senza anestesia e partoriscono per strada”.

“Qualsiasi rappresentanza ufficiale di Israele sulla scena culturale internazionale”, conclude la lettera, “è un’approvazione delle sue politiche e del genocidio di Gaza”. Al momento sono 8.730 i firmatari della lettera, tra cui anche molti nomi noti dell’arte italiana e internazionale. Tra questi figurano Nan Goldin, Mike Parr, Brian Eno, Tai Shani, Jesse Darling, Ingela Ihrman e poi c’è anche il direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven, Charles Esche, mentre tra gli italiani figurano Adelita Husni Bey, Rossella Biscotti, Andreco, Paolo Canevari, Cesare Petroiusti, Diego Marcon.

Al momento, comunque, la presenza di Israele alla Biennale 2024 non è stata messa in discussione dagli organizzatori, per cui nella lista delle partecipazioni nazionali il Padiglione di Israele è ancora presente: il paese sarà rappresentato dall’artista Ruth Patir in una mostra curata da Mira Lapidot e Tamar Margalit.

Immagine: il Padiglione di Israele alla Biennale di Venezia. Foto: Michael Jacobson

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