Perché è del tutto inutile cercare di identificare il paesaggio della Gioconda


A cadenza quasi annuale arrivano i soliti solutori di enigmi che ritengono di aver identificato il paesaggio della Gioconda. Ma questa operazione, fatta sempre da studiosi improvvisati che immancabilmente ambientano la Gioconda dalle loro parti, è del tutto inutile. Vi spieghiamo per bene perché.

Tornano all’attacco i cercatori di paesaggi della Gioconda. Non esiste quadro al mondo che, negli anni, abbia cambiato più location, come si suol dire. Giungono così a cadenza pressoché annuale coloro che ritengono di aver identificato, più o meno definitivamente, il paesaggio su cui si staglia la più celebre donna ritratta da Leonardo da Vinci. L’ultimo in ordine di tempo è ancora Silvano Vinceti, presidente del “Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici culturali e ambientali” (il nome altisonante e apparentemente istituzionale cela in realtà un soggetto privato fondato dallo stesso Vinceti), noto soprattutto come ricercatore di resti dei grandi del passato: negli anni si è distinto per aver disseppellito le spoglie di Boiardo, Petrarca, Pico della Mirandola, e pure quelle di Monna Lisa Gherardini, oltre che per aver “identificato” nel 2010, in occasione del quattrocentesimo anniversario della morte di Caravaggio, le ossa dell’artista. Si diceva all’epoca che il DNA di quelle ossa fosse compatibile all’85% con quello di alcuni abitanti del bergamasco che fanno “Merisi” di cognome (il che significa che potevano essere quelle di chiunque, ma ciò non è bastato per far desistere le amministrazioni di Porto Ercole del tempo a dare avvio a grandi celebrazioni).

Vinceti è poi noto per aver “scoperto” numeri che Leonardo, per qualche motivo, avrebbe dipinto nel paesaggio della Gioconda. E ovviamente non poteva sfuggirgli il tema dell’identificazione del paesaggio della Monna Lisa. Così ecco che nel dipinto Leonardo, notizia delle scorse ore, avrebbe raffigurato il ponte Romito di Laterina, in provincia di Arezzo. A sostegno di questa tesi, ci sarebbero secondo Vinceti alcune prove come il fatto che “nel periodo tra il 1501 e il 1503” il ponte “era in funzione e frequentatissimo, come attesta un documento sullo stato dei manufatti nelle proprietà della famiglia dei Medici, ritrovato negli archivi di Stato di Firenze”, e il fatto che Leonardo all’epoca “si trovasse in Valdarno”. Per quale motivo, tra le migliaia di ponti che pure immaginiamo in funzione e frequentatissimi all’epoca, il vinciano avrebbe dovuto dipingere proprio quello, non è dato sapere. Ancora, il fatto che passando su quel ponte l’artista accorciasse il tragitto tra Arezzo e Firenze: “e risparmiare tempo”, asserisce serio Vinceti, “permetteva a Leonardo di averne di più per studiare”. Ma altri elementi identificherebbero il ponte: per esempio l’“onda ‘anomala’” riconducibile “a un salto in prossimità di un mulino del tempo”. E poi, afferma Vinceti, “L’errore che spesso si compie è pensare che Leonardo dipingesse visioni fantastiche. Sulla Gioconda sì, ma non nel paesaggio”: perché, nel viaggiare per realizzare le sue opere ingegneristiche Leonardo “realizzava disegni molto realistici di luoghi e dettagli, che poi riproponeva insieme”.

Leonardo da Vinci, La <em>Gioconda</em> (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)

S’è perso il conto di tutti i ponti che sono stati associati alla Gioconda: il ponte di Buriano in Toscana, il Ponte di Gropparello sull’Appennino emiliano, il Ponte Gobbo di Bobbio sempre in Emilia, il ponte Azzone Visconti di Lecco, oppure ponti non meglio identificati nel Montefeltro, attorno al Lago d’Iseo e in chissà quante altre zone.  E curiosamente alcune mirabili scoperte di Vinceti hanno dato la stura ai suoi rivali: per esempio, il numero “72” che il presidente del Comitato è sicuro di vedere sotto il ponte della Gioconda, secondo un’altra scioglitrice di misteri identificherebbe il ponte di Bobbio, per il fatto che nel 1472 il fiume che attraversa ebbe una piena. Più arduo spiegare per quali ragioni Leonardo avesse dovuto impiegare un modo così cervellotico per permettere di identificare un ponte: difatti, nessuno si è preso la briga di dare spiegazioni in tal senso.

La questione sull’identificazione dei paesaggi nei dipinti di Leonardo da Vinci è in realtà chiusa e non ha senso riaprirla. La spiegazione breve: Leonardo non dipingeva paesaggi reali, non usava il pennello come oggi faremmo con la macchina fotografica. Per cominciare la spiegazione lunga, basterebbe anche utilizzare una delle argomentazioni dello stesso Vinceti, quando dice che Leonardo “realizzava disegni molto realistici di luoghi e dettagli, che poi riproponeva insieme”. Il punto sta proprio qui: se Leonardo fosse stato estremamente preciso nei suoi dipinti oggi non avremmo alcuna difficoltà a riconoscere le ambientazioni della Gioconda. Invece ne sono state proposte tantissime, quasi sempre da non specialisti di Leonardo provenienti da certe aree geografiche che hanno preteso di riconoscere nella Gioconda. Vale la pena ripercorrere alcuni di questi tentativi: Sandro Albini, professionista del settore sanitario di Brescia, ha ritenuto di identificare nel paesaggio della Gioconda la piana dell’Oglio tra Bergamo e Brescia. Lo storico Carlo Starnazzi, che ha studiato a lungo le mappe di Leonardo, ha ritenuto di identificare nel ponte quello di Buriano (che peraltro ha sette archi, mentre quello della Gioconda ne ha di meno, o comunque non siamo in grado di stabilire quante arcate si celino dietro la schiena della Gioconda). Per completare il quadro si potrebbe citare il tentativo di una fotografa di Urbino che, pur di affermare che il paesaggio alle spalle della Gioconda è quello delle terre feltresche, si è spinta al punto di negare l’identificazione della donna con Lisa del Giocondo, asserendo che la dama sia in realtà una gentildonna urbinate, Pacifica Brandano. Infine, è stato proposto anche di identificare nel paesaggio la campagna romana.

Si può chiudere definitivamente la questione citando le parole con cui un esperto riconosciuto di Leonardo da Vinci, Martin Kemp, nel suo libro 50 anni con Leonardo, si rivolge direttamente agli “amanti della segretologia dei paesaggi”, come li chiama lui. “Non c’è ragione di pensare che Leonardo abbia voluto rappresentare luoghi specifici nei suoi dipinti”, spiega Kemp. “In tutti gli aspetti della sua arte (e della sua scienza) la sua preoccupazione era quella di ‘ri-creare’ la natura sulla base della sua comprensione dei meccanismi che la regolano. La veduta alle spalle di Lisa, progettata per fornire un’eco significativa del microcosmo (mondo inferiore) del suo corpo, è fortemente influenzata dalle conoscenze di Leonardo in materia di geologia. I due laghi formatisi a livelli differenti, i pendii delle montagne e i sinuosi letti dei fiumi sono tutti rappresentati in base alla sua sudata conoscenza dei processi geologici, non copiati da vedute particolari. L’arte per Leonardo era una dimostrazione, tanto quanto le sue illustrazioni scientifiche e i suoi diagrammi. È questo atto di forgiare un archetipo di paesaggio montuoso che permette allo sfondo di essere riconducibile a diverse vedute senza tuttavia essere identico a nessuna di esse. Perciò gli scoscesi strati rocciosi e le cime dentellate della Corna Trentapassi sono esattamente il tipo di formazioni che affascinavano Leonardo, ma lui non intendeva fare una precisa trascrizione di questo o di qualsiasi altro luogo specifico".

È quindi perfettamente inutile cercare paesaggi reali dentro la Gioconda, per i motivi sopra indicati. La prossima volta che arriverà nella vostra redazione un comunicato che annuncerà una mirabolante scoperta in questo senso, si potrà rispondere con le argomentazioni, ben più serie, di chi ha dedicato una vita di studio a Leonardo da Vinci. E si potrà quindi ignorare lo stimolo di chi afferma di aver definitivamente capito in quale parte d’Italia Leonardo ha fatto sedere la Gioconda.

Perché è del tutto inutile cercare di identificare il paesaggio della Gioconda
Perché è del tutto inutile cercare di identificare il paesaggio della Gioconda


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