Genova, il ritrovamento di due importanti busti del Seicento grazie a un giovanissimo studioso


A Genova sono stati ritrovati due importanti busti, opera di fine Seicento di Daniele Solaro, che si ritenevano perduti durante la seconda guerra mondiale. La scoperta è merito del giovanissimo storico dell'arte Gabriele Langosco, di appena 27 anni.

Una scoperta di grande rilievo per l’arte del Seicento genovese e una donazione eccezionale per il Comune di Genova: il patrimonio comunale si è infatti arricchito di una importante coppia di busti in marmo realizzati dallo scultore Daniele Solaro (Genova, 1649 - 1709), raffiguranti i coniugi Tommaso Gentile e Ginetta Pinelli, che sono stati rinvenuti grazie al lavoro del giovanissimo storico dell’arte Gabriele Langosco, classe 1994. I due busti provengono dalla basilica della Santissima Annunziata del Vastato, e la donazione, resa possibile grazie alla generosità della famiglia Lavarello, proprietaria dell’opera, consentirà di ricostruire, dopo oltre settant’anni, uno degli ambienti più preziosi della basilica stessa.

I due busti, infatti, furono realizzati per la cappella della famiglia Gentile nella basilica, ma andarono dispersi durante i bombardamenti che colpirono Genova nel corso della seconda guerra mondiale. “Si dava quasi per certo”, ha dichiarato Piero Boccardo, sovrintendente delle civiche collezioni d’arte del Comune di Genova, “che le opere fossero andate distrutte in seguito ai bombardamenti, perché oltre alle distruzioni immediate delle bombe c’erano state anche dispersioni legate alla situazione generale della città sotto l’effetto delle bombe. Il merito del ritrovamento è di Gabriele Langosco, e come rappresentante del Comune per ciò che riguarda il suo patrimonio artistico, dato che la chiesa dell’Annunziata è una chiesa di proprietà comunale, affermo che si tratta di un arricchimento per il patrimonio della chiesa stessa”.

Il busto di Tommaso Gentile e quello di Ginetta Pinelli, opere di Daniele Solaro
Il busto di Tommaso Gentile e quello di Ginetta Pinelli, opere di Daniele Solaro

Chi erano Tommaso Gentile e Ginetta Pinelli: la storia della loro cappella

Tommaso Gentile, esponente di un’importante famiglia genovese della cui vita, allo stato attuale degli studi, non sappiamo alcunché, aveva disposto, in un suo testamento del 1625 (non è nota però la data della scomparsa) l’erezione di una cappella nella chiesa della Santissima Annunziata del Vastato. La moglie, Ginetta Pinelli, anch’ella personaggio pressoché ignoto agli studi, sopravvisse al marito una ventina d’anni, e al momento della stesura di un suo testamento incrementò il lascito destinato alla decorazione della cappella voluta dal marito.

“La decorazione dei sacelli gentilizi nella chiesa del Vastato”, spiega Gabriele Langosco a Finestre sull’Arte, “è una vicenda complessa e allo stesso tempo (rispetto ad altri contesti) riccamente documentata. Se la chiesa francescana dovette assumere un nuovo aspetto nei primi decenni del Seicento, fu solo a partire dagli anni Settanta del secolo che si assistette a un’accelerazione degli investimenti degli aristocratici nel dare nuova forma alle cappelle laterali. L’atteggiamento della famiglia Gentile si allinea a quello di altri casati e così, a fronte del lascito del 1625, i lavori per la cappella iniziano solamente nel 1678”.

Il cantiere della cappella fu avviato dai nipoti dei due coniugi, e i lavori furono affidati all’officina dello scultore Carlo Solaro, padre di Daniele, e artista probabilmente originario di Carona nella val Brembana. Carlo Solaro faceva parte di quella foltissima comunità di operatori del marmo attivi a Genova ma originari della zona dei laghi lombardi: si tratta di una comunità che, fin dal Medioevo, aveva pressoché monopolizzato la lavorazione della pietra in città. Carlo Solaro guidava una bottega che era capace di gestire in contemporanea diversi cantieri, ed era riuscito ad accaparrarsi diversi contratti per la decorazione marmorea di cappelle al Vastato, tra cui quelle della famiglia Invrea e della famiglia Gentile.

“Il disegno (non conservato) che Carlo dovette seguire nella realizzazione della cappella Gentile”, spiega ancora Langosco, “fu probabilmente opera di Domenico Piola, autore della pala d’altare del sacello, raffigurante l’Annunciazione e firmata 1679”. L’Annunciazione di Piola, peraltro, è stata anche di recente restaurata in vista della sua esposizione alla mostra A Superb Baroque: Art in Genoa, 1600-1750, la grande mostra sull’arte genovese del Seicento che era in programma per l’autunno-inverno 2021 alla National Gallery di Washington, ma che è stata cancellata per problemi legati al Covid.

La Santissima Annunziata del Vastato. Fotografia di Joachim Kohler
La Santissima Annunziata del Vastato. Fotografia di Joachim Kohler


L'Annunciazione di Domenico Piola. Fotografia di Francesco Bini
L’Annunciazione di Domenico Piola. Fotografia di Francesco Bini

I due busti: stile e storia

“Tra gli elementi che Carlo si impegnò a fornire nel 1678 per la cappella”, prosegue Langosco, “ci sono anche i due busti in marmo dei fondatori della cappella. Già da alcuni anni Carlo, di cui non conosciamo opere di statuaria, affidava pressoché ogni elemento figurato presente nei suoi cantieri al figlio Daniele. Daniele Solaro è una figura interessante del barocco genovese, sulla cui formazione sussistono ancora molti dubbi. L’artista seppe elaborare un linguaggio che, seppur ancora ancorato agli stilemi figurativi adottati dagli scultori lombardo-genovesi di primo Seicento, guarda consapevolmente alla statuaria pugettiana e alla ritrattistica barocca. Non credo sussista alcun dubbio nel riconoscere i due busti, sebbene connotati da una lieve disparità qualitativa, come opera del suo scalpello. Inoltre, Carlo morì nell’ottanta, e quando Daniele subappaltò parte dei lavori della cappella, che si protrassero fino almeno al 1682, non affidò ad altri artisti l’esecuzione delle opere statuarie (lasciando forse intendere che se ne occupò direttamente)”.

Il busto di Tommaso si presenta un poco più grezzo nella fattura e stereotipato nella fisionomia, mentre quello di Ginetta è più fine nei lineamenti e più accuratamente condotto. “Essendo entrambi ritratti postumi”, afferma lo studioso, “mi viene da pensare che i committenti abbiano fornito agli artisti un buon ritratto della donna (peraltro raffigurata con un velo vedovile), e qualche scarabocchio rappresentante l’uomo, ormai morto da una cinquantina d’anni.” I busti furono collocati in due conchiglie marmoree nella cappella, e nel 1922 furono fotografati per illustrare un pionieristico articolo su Daniele Solaro firmato da Mario Labò, e pubblicato nella rivista Rassegna d’Arte Antica e Moderna. Si trattava di un articolo sostanziato da una buona dose di scoperte archivistiche. Nel 1942, come detto sopra, la cappella fu gravemente danneggiata da un bombardamento: grazie una foto scattata all’indomani dell’attacco aereo è possibile stabilire che i busti sopravvissero al crollo.

Tuttavia, al termine della guerra scomparvero, e non sappiamo che fine abbiano fatto, anche perché sul loro destino i documenti tacciono. Probabilmente, vista la perdita del tetto della cappella (che era decorata con affreschi di Giovanni Andrea Carlone), le opere del sacello erano state ricoverate in un qualche magazzino (la statua di Ginetta, peraltro, porta ancora scritto sul petto un numero simile a quello di un inventario). Da lì i ritratti possono essersi dispersi oppure (secondo il giovane storico dell’arte non è da escludere uno scenario di questo tipo) furono venduti per finanziare la ricostruzione della cappella. C’è un’altra ipotesi: potrebbero essere stati trafugati, per finire alcuni anni più tardi nel mercato antiquario. In seguito, in una data indefinita, probabilmente tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, sono entrati in una collezione privata. E da quella data fino a oggi la loro storia prosegue proprio nell’ambito del collezionismo privato.

Dettaglio dei due busti
Dettaglio dei due busti

Storia del ritrovamento: “un colpo di fortuna”

“Alcuni mesi fa, in vista di una divisione ereditaria”, ci racconta Gabriele Langosco, “gli attuali proprietari avevano incaricato il consulente d’arte Maurizio Romanengo di stendere una perizia della raccolta. La sensibilità del dottor Romanengo, valente storico dell’arte e caro amico (che era stato in grado di riconoscere il valore artistico delle opere), portò al mio coinvolgimento nella vicenda in qualità di studioso di scultura genovese”.

“Il riconoscimento”, ammette lo studioso, “non è stato altro che un colpo di fortuna. Avevo avuto in passato l’onore di scrivere la voce di Daniele Solaro per il Dizionario Biografico degli Italiani e avevo bene in testa le fotografie pubblicate da Labò nel 1922, cosa che mi ha portato a stabilire facilmente l’origine dei due pezzi. Una volta comunicato ai proprietari provenienza dei busti, questi si sono immediatamente mobilitati per la loro restituzione”. Insomma, la fortuna, ci sentiamo di dire, conta fino a un certo punto: è grazie alle conoscenze di Gabriele Langosco se i due ritratti individuati in collezione privata hanno potuto essere identificati come i perduti ritratti di Tommaso Gentile e Ginetta Pinelli. Un caso fortuito che però forse non avrebbe condotto a questo risultato senza lo studio e le capacità di Langosco.

Dove andranno i busti

A seguito della scoperta, i due busti sono stati presi in carico dal Comune di Genova, che è proprietario della basilica della Santissima Annunziata del Vastato. Dell’incameramento dei beni si è occupato il summenzionato Piero Boccardo, soprintendente alle Civiche Collezioni, mentre il luogotenente Carlo Ferro, del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, ha avviato un’indagine per stabilire l’eventuale sussistenza di un reato. “Siamo intervenuti”, ha dichiarato Ferro, “dopo che erano stati rintracciati i beni. Abbiamo ricostruito i passaggi di questi beni per essere certi che fossero proprio quelli che adornavano la cappella. Abbiamo verificato che non ci fossero responsabilità penali recenti, che non sono risultate, e abbiamo controllato la valenza giuridica della donazione”. Al termine delle indagini, i busti sono stati (e saranno) temporaneamente esposti a palazzo Bianco, nell’attesa di una loro ricollocazione nella cappella.

Per la città si tratta dunque di un’acquisizione importantissima che si è concretizzata anche grazie alla collaborazione tra Comune, Nucleo per la Tutela del Patrimonio culturale dei Carabinieri e Procura di Genova e alla lungimiranza della famiglia Lavarello che, appresa la storia dei due busti, ha intrapreso un percorso che si è concluso con la restituzione delle opere al Comune di Genova. Nella cappella Gentile troveranno la pala d’altare di Domenico Piola, che rientrerà a breve dopo l’importante restauro conservativo e dopo che verrà esposta alle Scuderie del Quirinale a Roma per la tappa italiana della mostra sul barocco genovese il cui prologo era previsto a Washington. “Ci riappropriamo di un bene, di questi meravigliosi busti in marmo del Seicento che vengono restituiti e donati alla città”, ha dichiarato Barbara Grosso, assessore alla Cultura del Comune di Genova. “Una restituzione, ma anche una donazione, veramente un bel gesto. Questi busti erano stati dimenticati e verranno ricollocati nel luogo da dove arrivavano. Nei prossimi mesi lavoreremo per riposizionarli all’interno della chiesa dell’Annunziata”.


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