Design e Olimpiadi per raccontare l'Italia senza cliché: l'identità visiva di Milano Cortina 2026


L’identità visiva di Milano Cortina 2026, mira a raccontare l’Italia senza stereotipi facendo leva non solo sullo sport ma anche su arte, design, sostenibilità, giovani talenti della pittura. Raffaella Paniè, responsabile dell’identità dei Giochi, ci racconta come le Olimpiadi vogliano lasciare il loro segno. L’intervista di Federico Giannini.

Mancano pochi mesi all’avvio dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026, ma le Olimpiadi e le Paralimpiadi che si terranno in Italia, a vent’anni esatti di distanza da Torino 2006, hanno già una loro identità ben definita che è fatta di arte, design, cultura e che si esprime attraverso un look che passa attraverso la torcia, le medaglie, i poster, i pittogrammi e molto altro. L’idea è quella di offrire a tutti, atleti, spettatori e, in generale, a tutti coloro che guardano all’Italia durante queste fasi di preparazione, e ancor più durante le gare, un racconto preciso. Ci siamo fatti raccontare questa intersezione tra arte, design e sport da Raffaella Paniè, che ricopre il ruolo di responsabile Brand, Identity e Look of the Games di Milano Cortina 2026. L’intervista è di Federico Giannini.

Raffaella Paniè
Raffaella Paniè

FG. Il progetto visivo di Milano Cortina 2026 sembra voler andare oltre la comunicazione sportiva per entrare in un territorio più artistico e culturale. Come avete lavorato per dare ai Giochi un’identità che parli anche il linguaggio del design e dell’arte contemporanea?

RP. Forse la premessa a questa domanda è il fatto che i Giochi Olimpici e Paralimpici siano veramente un progetto particolare. Si costruisce in quattro anni un brand che, quando arriva al suo culmine, smette di esistere il giorno dopo. Questa è una particolarità unica anche per noi che ci lavoriamo. Il processo parte sempre dall’identificazione di una brand personality. È chiaro che qualsiasi comitato organizzatore nasce sotto l’ombrello dei Giochi Olimpici e Paralimpici Internazionali, però poi costruisce una sua identità basata sulla nazione, sulla cultura e anche su un posizionamento specifico che può andare in direzioni molto diverse. L’edizione di Parigi 2024, per esempio, ha puntato molto sul territorio e su Parigi città, quindi meno sulla Francia in generale, ma molto sulla capitale nelle sue specificità. Il lavoro che noi abbiamo fatto, e che risale ormai a tre anni e mezzo fa, è stato proprio quello di dire: “cosa vogliamo raccontare di questi Giochi?”. Siccome l’Italia ha ovviamente un suo posizionamento molto vasto come territorio e come destinazione turistica, il concetto di bellezza territoriale è emerso molto nel lavoro di ricerca che abbiamo fatto, ma non lo volevamo raccontare seguendo lo stereotipo tradizionale. Abbiamo scelto quindi di raccontare non tanto la bellezza del territorio, ma di parlare proprio di bellezza culturale profonda e di bellezza delle persone. Questa decisione ci ha portato sempre di più nella direzione di un racconto delle persone, dell’umanità e di quanti rappresentano e raccontano il nostro territorio e l’edizione dei nostri Giochi. Questo è stato l’inizio. Poi su questo abbiamo costruito dei tasselli. Per esempio, il lavoro che abbiamo fatto sul font è stato molto specifico: abbiamo creato un font “Milano Cortina” disegnato appositamente, uno script font che va nella direzione di aggiungere calore e personalità alla brand identity. Il tassello più importante in questo percorso è stato il lancio del Look of the Games che abbiamo fatto lo scorso anno, che è proprio l’identità visuale. È il passaggio dal lavoro di posizionamento di brand a un approccio pratico, la trasformazione di tutto in visual identity. Il Look of the Games ha un’ispirazione culturale molto forte: da un punto di vista grafico si rifà alle avanguardie, ci sono dei riferimenti al futurismo e ha un linguaggio che forse è l’aspetto più specifico della nostra edizione, anche guardando a quello che è stato fatto nel passato, perché abbiamo creato, con il supporto di un’agenzia, questo sistema di “vibes” che per noi sono potenzialmente infinite (invece di creare una sorta di quadro di base da cui poi si ritagliano pezzi per creare la brand identity, noi abbiamo un sistema di “vibes” che ovviamente ha dei riferimenti valoriali alla nostra personalità di brand e che potrebbe essere sviluppato all’infinito). A un certo punto abbiamo dovuto darci anche un limite, perché il rischio era di avere un’identità visuale molto complessa. Però sicuramente è un sistema molto interessante. Lo stiamo sviluppando anche per i partner che ci stanno seguendo, e credo che su questo punto segneremo una milestone importante anche per il Comitato internazionale.

In un contesto come quello dei Giochi Olimpici che tutti noi che stiamo al di fuori ci immaginiamo spesso dominato da codici istituzionali e rigidi, che tipo di libertà espressiva vi siete concessi nella costruzione del “Look of the Games”?

La libertà è totale. A volte, all’inizio del processo (e credo che valga anche per gli altri comitati) c’è però un po’ l’ansia del foglio bianco. Sicuramente la brand personality serve ed è un punto di partenza imprescindibile perché ti guida, però è chiaro che poteva andare in tantissime direzioni. Noi abbiamo scelto, per esempio, di voler raccontare la bellezza del talento italiano, la gestualità del talento. Questa strada ci è piaciuta molto quando ce l’hanno proposta, però è servito molto tempo per ingranare, capire se fosse una strada potenzialmente corretta, e anche risolvere tutta una serie di problematiche tecniche, perché le “vibes” sono un elemento grafico molto complesso anche da un punto di vista tecnico. Lo studio iniziale è stato fatto con un’agenzia, poi però adesso l’implementazione, lo sviluppo e anche le nuovi “vibes” che stiamo studiando per i partner nascono internamente, e sono gestiti dal nostro team interno. È sicuramente un lavoro che, ora che abbiamo finalmente risolto tante problematiche, trovo molto interessante.

Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026
Look of the Games di Milano Cortina 2026

A proposito, visto che ha fatto un cenno al talento. Tra i talenti che avete coinvolto ci sono gli artisti under 40 a cui avete affidato gli art poster ufficiali, dando anche un taglio curatoriale al progetto. Che visione c’è dietro questa scelta? Cosa volevate raccontare attraverso gli sguardi di questi artisti giovani?

Il progetto dei poster d’arte è un progetto che abbiamo fatto volutamente insieme a chi ha quella credibilità e quella competenza. L’aspetto curatoriale è molto delicato ed è un aspetto in cui, anche a livello internazionale, bisogna avere credibilità, quindi su questo abbiamo trovato un partner eccezionale (anche da un punto di vista umano) nella Triennale di Milano, con cui abbiamo fatto un brainstorming iniziale proprio sul taglio che avremmo voluto dare al progetto. Siamo partiti ovviamente dal brand, quindi abbiamo raccontato chi è Milano Cortina, cosa vuole raccontare, quali sono gli asset grafici che abbiamo sviluppato, sapendo che potevano servire più come ispirazione, perché il poster d’arte non può essere un lavoro grafico. Deve essere giustamente data grande libertà anche agli artisti nell’interpretazione. Ed è stata proprio la Triennale a farci questa proposta di voler puntare sui giovani. Tra l’altro abbiamo un altro progetto su cui faremo annunci più avanti nell’autunno: il poster ufficiale. Ogni edizione dei Giochi ha infatti un poster singolo che viene identificato come il poster dell’edizione: stiamo lavorando anche su questo progetto con la Triennale e, anche per differenziare l’approccio, abbiamo scelto, per gli art poster, di lavorare sulla pittura. L’indicazione che ci ha proposto la Triennale è stata questa: lavorare con giovani che operassero con la pittura, che avevano già lavorato con la Triennale, che avevano già fatto un’esposizione in Triennale per un altro progetto. Li abbiamo poi selezionati insieme, ovviamente, perché il numero che avevano coinvolto nel loro progetto era molto più ampio, quindi siamo andati a fare una selezione di dieci artisti insieme a loro, una cernita che andasse in questa direzione.

Parliamo invece dei simboli dei Giochi. La torcia olimpica, disegnata da Carlo Ratti, ha una forza quasi scultorea. Le medaglie spezzate e ricomposte, con le due anime Milano e Cortina che si incontrano, sono un interessante esempio di design narrativo. In che modo oggetti come torce, medaglie e pittogrammi diventano – nel vostro approccio – opere di design e non solo strumenti funzionali? Quanto è importante oggi che il design racconti storie, oltre a essere funzionale a un certo scopo?

L’importante, secondo noi, è che ci rappresenti. Devo dire che all’inizio del processo, nel Look of the Games in particolare, ma poi anche su torce e medaglie, abbiamo sentito moltissima pressione internazionale su di noi, perché c’è un’aspettativa da parte di tutti sull’Italia molto, molto alta. Per noi era importante non strafare. Il look è un progetto che racconta ovviamente festa, quindi era necessario tenere un’impronta, da un lato, di design, di eleganza che credo siamo riusciti a trasmettere, e dall’altro di festa e di colore. Torcia e medaglie rimangono però oggetti volutamente essenziali perché crediamo che nell’essenzialità si riesca a rappresentare senza bisogno di aggiungere tanti elementi grafici e si riesca a raccontare molto bene un’edizione che è Milano Cortina prima di tutto, ma poi è tutta l’Italia.

Nella presentazione delle medaglie che avete fatto la settimana scorsa, avete puntato molto sul fatto che questi oggetti verranno realizzati adottando criteri di sostenibilità ambientale. “Sostenibilità” è una parola spesso abusata, ma nel vostro caso sembra declinata con coerenza nel linguaggio del design. Come si coniugano valori etici e scelte estetiche nel vostro lavoro?

Da un punto di vista di produzione, qualunque progetto ha un allegato sulla sostenibilità. Noi abbiamo una funzione interna che si occupa di sostenibilità, molto esigente, che ci detta anche i tempi su questo argomento, proprio perché chi è di quel mestiere sa bene che ci vuole poco a mettere il bollino sostenibilità e in qualche modo a pulirsi la coscienza. È chiaro che tutto quello che noi facciamo deve essere certificato, soprattutto nell’origine: abbiamo un processo di controllo della sostenibilità che parte proprio dall’origine, quindi da dove arrivano i materiali. Poi è chiaro che quando si parla di medaglia o di torce non è tanto importante che siano riciclabili, ma che i materiali con cui è l’oggetto è fatto provengano da fonti sostenibili e soprattutto certificabili. Questo è un lavoro che facciamo continuamente e col supporto di persone esperte che ci guidano, in modo da poter dichiarare che effettivamente quello che facciamo è certificabile. Adesso, per esempio, sulla torcia stiamo procedendo a una certificazione ufficiale del processo di sostenibilità. Abbiamo per ora fatto i prototipi, ma dal punto di vista della produzione stiamo cercando di seguire lo stesso iter, quindi di avere una certificazione ufficiale che non è la nostra parola e il nostro bollino, ma la garanzia di quello che abbiamo dichiarato.

Le torce dei Giochi di Milano Cortina 2026
Le torce dei Giochi di Milano Cortina 2026
Le torce dei Giochi di Milano Cortina 2026
Le torce dei Giochi di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Paralimpici di Milano Cortina 2026
Le medaglie dei Giochi Paralimpici di Milano Cortina 2026
Art Poster dei Giochi Paralimpici di Milano Cortina 2026
Art Poster dei Giochi Paralimpici di Milano Cortina 2026

A proposito di garanzie, una domanda tra il serio e il faceto: possiamo garantire agli atleti che arriveranno sul podio che non accada a loro quello che è successo l’anno scorso a Parigi con le medaglie che si sono deteriorate?

Io caratterialmente tendo a non garantire cose che non ho ancora sperimentato. Però posso dirle che durante la prima riunione che abbiamo fatto col Poligrafico dello Stato (non era ancora firmato un contratto, non c’era ancora un accordo di sponsorizzazione e non c’era ancora un design) la prima cosa che abbiamo messo sul tavolo è stata proprio quella. È chiaro che arrivando dopo Parigi abbiamo l’insegnamento di quello che è successo. Abbiamo studiato a fondo la questione sia con il Comitato internazionale sia con il Poligrafico, che ha delle persone molto esperte e ci ha aiutato a capire che cosa è successo. Ci sono state edizioni in passato in cui qualche medaglia si è rovinata, però Parigi indubbiamente ha avuto un problema particolare, dovuto, da quello che abbiamo capito, alle sostanze che hanno utilizzato e che hanno modificato in corsa, ma per via di una regolamentazione di legge europea che era cambiata all’ultimo. Non mi sentirei di fargliene una colpa, ma sicuramente hanno dovuto affrontare una serie di problematiche che per ora noi non stiamo affrontando. Il Poligrafico deve darci certificazione e devono fare (e stanno già facendo) tutta una serie di test. La scelta del design che abbiamo fatto e di alcuni aspetti in cui abbiamo preso una direzione e non un’altra sono stati anche guidati da suggerimenti del Poligrafico, che avrebbe garantito sicuramente una migliore qualità, perché le medaglie, una volta che vengono prodotte e incise, vengono trattate con un agente antiossidante che crea una pellicola protettiva. Quindi il design viene studiato in modo che la pellicola venga messa alla fine di tutto il processo e che una volta messa non abbia più elementi esterni. Per esempio l’asola esterna: noi abbiamo lavorato anche sull’inserimento del nastro all’interno della medaglia senza necessità di asole esterne. E poi ovviamente una medaglia così pulita funziona meglio se non ha elementi esterni: noi abbiamo cercato di evitare qualsiasi cosa che potesse avere una qualsiasi influenza. Ricordiamoci che le medaglie di Parigi erano formate da due elementi, due materiali, di cui uno di origine ferrosa (il ferro della Tour Eiffel), con dei gancetti che tenevano attaccato l’esagono della parte ferrosa. Da un punto di vista chimico quella soluzione di reagenti non li ha sicuramente aiutati, unito probabilmente anche a qualche problematica dell’agente che hanno utilizzato come antiossidante. Per noi tutto questo adesso è chiarissimo. E il Poligrafico ha una storia e una competenza altissima, quindi sono abbastanza certa che un problema come quello di Parigi non lo affronteremo.

Per concludere: cosa vi augurate che resti, a livello visivo ed emotivo, nella memoria collettiva dopo la fine dei Giochi?

Questo è un pensiero che noi abbiamo ricorrente. Per esempio, quando abbiamo visto le medaglie nella loro fase finale, abbiamo detto “proviamo a chiudere gli occhi e immaginarcele tra vent’anni”, ma abbiamo costruito su questo concetto anche il nostro motto “It’s your vibe”. Ci piaceva proprio l’idea, più che di essere uno slogan in cui noi diciamo al pubblico “chi siamo” in maniera unilaterale, di tornare alle persone, all’aspetto umano dei Giochi. Quello che penso sarebbe bello che si ricordassero le persone di questi giochi è un po’ l’insieme delle “vibes” di tutti, e che ognuno arrivi ai Giochi con la sua esperienza, il suo percepito. Noi ne portiamo un altro, con tutto il nostro progetto sportivo, di brand, di comunicazione, le nostre mascotte: racconteremo un pezzo dei Giochi, ma poi le persone ovviamente lo uniranno al loro percepito. Spero che ognuno torni a casa con una sua vibe, sicuramente ognuna diversa dall’altra, ma positiva, che racconti veramente la nostra edizione dei Giochi a 360°.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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