“Realizzeremo il sistema nazionale dei musei”: parla Antonio Lampis, nuovo direttore generale dei musei italiani


Antonio Lampis è stato nominato nuovo direttore generale dei musei italiani. Lo abbiamo raggiunto per farci esporre i suoi progetti.

Nelle scorse settimane, Antonio Lampis è stato nominato nuovo direttore generale dei musei italiani. Lo abbiamo raggiunto per un’intervista in cui gli abbiamo chiesto di illustrarci in breve il suo programma, e quali sono le idee che lo ispirano. Intervista a cura di Federico D. Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte, e di Ilaria Baratta, caporedattrice.

Antonio Lampis
Antonio Lampis

FSA. Dottor Lampis, la prima domanda non può che riguardare le Sue idee per i musei italiani. Ha già in mente qualche misura, sia per i musei grandi, sia per i musei piccoli?
AL. Uno degli impegni più importanti della direzione generale musei sarà la realizzazione del sistema nazionale dei musei. La riforma del ministro Franceschini ha reso il concetto del museo e del direttore di museo presente nel percorso mentale di moltissime persone, colmando una nebulosità del passato che impediva ai musei di sviluppare tutto il loro potenziale necessario a divenire punto di riferimento per lo sviluppo spirituale e culturale di chi vive intorno al museo e dei visitatori di più lontana provenienza. Ora il concetto di rete museale, appunto il sistema, previsto dalla riforma è il passo coerente verso un percorso di sviluppo che ormai sembra, per usare le recenti parole del professor Baia Curioni, inarrestabile.

L’approvazione per il Suo lavoro alla Provincia di Bolzano è pressoché unanime, e il modello applicato in Alto Adige per far crescere l’interesse nei confronti della cultura ha suscitato notevole attenzione. In una pubblicazione del 2005 (“Un marketing per la cultura”), Lei ha individuato tre fattori chiave alla base di questo modello: quantità della comunicazione, scomposizione delle tradizionali modalità di presentazione e interconnessione di interessi appartenenti a pubblici diversi tra loro. Secondo Lei, questo modello è replicabile su scala nazionale, e nel settore dei musei?
Sono da sempre convinto che la comunicazione sociale verso i visitatori soprattutto quelli potenziali sia fondamentale e che verso le nuove generazioni occorra rimodulare alcuni linguaggi,sia negli allestimenti,che negli apparati che portano le persone a provare emozioni di fronte all’opera degli artisti e a imparare qualcosa, quelli necessari per uscire dal museo con un riconosciuto arricchimento interiore.

Una delle prime “grane” che dovrà affrontare sarà la decisione del Consiglio di Stato sui direttori dei musei. Quali scenari potrebbero aprirsi a ottobre?
Per fortuna la questione è stata già brillantemente risolta nelle scorse settimane. Il Consiglio di Stato si è pronunciato a favore della ammissibilità dei direttori stranieri e della loro permanenza [ndr: il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza].

Parliamo delle domeniche gratuite: iniziativa che ormai è diventata un appuntamento fisso per molti visitatori dei musei, ma che ha anche suscitato moltissime critiche. Si tratta di un modello da rivedere? Oppure è una strada da seguire?
Ogni percorso nuovo va monitorato e costantemente fatto oggetto di riflessione. È presto ora per rispondere a queste domande e credo che sia ovvio un dialogo permanente su questa e su altre simili tematiche.

Tra i compiti del direttore generale individuati dal decreto ministeriale figura quello di elaborare le linee guida per la “comunicazione” e per “l’innovazione didattica e tecnologica”. Quello dell’innovazione è spesso un “tasto dolente” dei nostri musei: quali novità dovremo attenderci in questo ambito?
Pier Luigi Sacco ha scritto “allacciatevi le cinture” e io sono pronto a partire con instancabile impegno ed entusiasmo. Sull’innovazione museale esistono comunque già approfondimenti significativi del Ministero e di diversi nuovi direttori, il mio primo dovere è ascoltare in questa prima fase. Va certamente perfezionato il racconto museale, la contestualizzazione delle opere esposte con gli ambienti della loro provenienze e con il tessuto sociale e produttivo in cui furono concepite. Se si mira ad un’idea di museo che sia realmente polisemico, è determinante reinserire spesso le opere nel contesto sociale e economico da cui sono state tratte. Quelle opere che erano nelle camere da letto, nelle chiese, quelle opere che rappresentano del cibo che magari si produce ancora, quelle opere che rappresentano arredi che magari un artigiano non tanto distante dal museo è ancora capace di fare. Il grande patrimonio artigianale italiano è dentro molte delle opere che noi esponiamo nei musei. Ancora oggi c’è qualcuno che fa quelle stoffe, ancora oggi c’è qualcuno che dispone la frutta nello stesso modo, un collegamento col sistema produttivo secondo me è molto importante per parlare al visitatore con maggiore efficacia. Le possibilità di avere racconti sui musei relazionati con il grande patrimonio produttivo, la grande eredità del passato che ancora sopravvive soprattutto nell’artigianato è quindi un altro dei canali per fare uscire molta storia dai musei e riconnetterla con la società di oggi.

La direzione musei si occupa anche dei rapporti internazionali: in passato sono state molte le critiche per “scambi” che hanno portato all’estero molte opere d’arte di musei italiani, spesso per mostre dettate più da ragioni “di prestigio” che da ragioni scientifiche. Si continuerà su questa linea o è possibile un modello di cooperazione internazionale che prescinda da viaggi di opere d’arte spesso soggetti a contestazioni?
Ormai nulla è esente da contestazione, accanto a quelle più sterili ce ne sono alcune che aiutano a crescere. La dirigenza pubblica e la politica sanno d doversi impegnare proprio su questa distinzione.

Per quanto riguarda la cooperazione interna, la Direzione musei ha firmato, pochi giorni fa, un protocollo con Federculture per la valorizzazione del territorio e per la creazione di sistemi integrati per la gestione della cultura e del turismo. Possiamo fare di più per rendere più saldo il legame tra musei e territorio?
Certamente, dico sempre che bisogna cominciare dalle persone che abitano nei palazzi che stanno intorno al museo. la comunicazione con il territorio non può essere solo dentro ma deve soprattutto uscire dai musei utilizzando documentari, radio, televisione, marketing non convenzionale, social medi e finanche il gaming, consapevole che l’organizzazione del sapere e le nuove generazioni ha una catalogazione completamente differente da quella del passato millennio.

Un’ultima domanda: Lei ha dimostrato una particolare sensibilità per l’arte contemporanea. Come vede il rapporto tra italiani e arte contemporanea? E cosa farà la Sua direzione per i musei d’arte contemporanea?
Cosa farà la direzione è cosa da discutere innanzitutto con il Ministro e poi con i collaboratori e i colleghi. L’arte contemporanea è spesso come l’università, per comprenderla bisogna aver fatto le scuole elementari, le scuole medie e le scuole superiori. Esistono tuttavia linguaggi che convincono il nostro cervello ad andare contro la sua natura, quella di cercare ostinatamente quello che già conosce. Quei linguaggi, che approfittano anche delle emozioni, sono alla portata di tutti ed è importante saperli utilizzare. Gli italiani hanno rapporto con l’arte contemporanea del tutto simile a quello dei cittadini del centro Europa, tanta eredità del passato distrae spesso l’attenzione dal lavoro degli artisti di oggi. Resta un compito pubblico ineludibile continuare a richiamare l’attenzione sull’importanza della figura sociale dell’artista, perché ieri e oggi, senza il continuo lavoro degli artisti non ci sarebbe il patrimonio culturale. Diceva un mio grande maestro ai bambini che visitavano un museo d’arte contemporanea: questa roba potrà pure non piacervi, ma non sarete protagonisti del vostro tempo se non la conoscerete.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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