“Masaccio a Milano, ecco come dialoga coi fondi oro del Museo Diocesano”. Parla Nadia Righi


Perché una mostra sulla Crocifissione di Masaccio a Milano? Quali le ragioni che hanno portato l’opera dal Museo di Capodimonte di Napoli al Museo Diocesano del capoluogo lombardo? Perché quest’opera è così importante? Parla Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano di Milano.

Fino al 7 maggio 2023 la Crocifissione di Masaccio (San Giovanni Valdarno, 1401 – Roma, 1428) dal Museo di Capodimonte di Napoli è in trasferta a Milano, al Museo Diocesano “Carlo Maria Martini”. Attorno al capolavoro è stato pensato un vero percorso espositivo, a cura di Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano di Milano, e Alessandra Rullo, conservatrice del dipartimento dipinti e sculture del XIII, XIV e XV secolo del Museo e Real Bosco di Capodimonte, dal titolo Masaccio. La Crocifissione. Dal Museo e Real Bosco di Capodimonte. Omaggio ad Alberto Crespi. Abbiamo chiesto alla direttrice e curatrice Nadia Righi di parlarci di questo progetto nei suoi vari aspetti ed ecco cosa ci ha raccontato. L’intervista è di Ilaria Baratta.

Masaccio, Crocifissione (1426; tavola, 83 x 63 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte)
Masaccio, Crocifissione (1426; tavola, 83 x 63 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte)
Nadia Righi e Alessandra Rullo
Nadia Righi e Alessandra Rullo

IB: La Crocifissione di Masaccio, ora protagonista della mostra al Museo Diocesano di Milano, invita certamente, visto il periodo, a una riflessione sulla Pasqua, ma qual è l’intento della rassegna? È nata da una collaborazione con il Museo di Capodimonte?

NR: Sì, in realtà le ragioni sono più di una. Innanzitutto, come tutti gli anni in occasione della Quaresima e della Pasqua, il museo organizza un’iniziativa che vuole aiutare i visitatori a entrare nella riflessione sulla Passione di Cristo attraverso l’arte. Normalmente a Pasqua non facciamo mostre con una sola opera (è un format che il museo utilizza di solito nel periodo natalizio per la mostra-dossier Capolavoro per Milano): è stata una combinazione di cose favorevoli, nata anche dal fatto che da qualche anno stavamo pensando di organizzare qualcosa di celebrativo in occasione del centenario di Alberto Crespi, il giurista e collezionista milanese che ha donato al museo, ancora prima che inaugurasse, una meravigliosa collezione di fondi oro e che avrebbe compiuto cento anni il 1° maggio 2023. Già un paio d’anni fa quindi stavamo pensando a cosa fare per rendergli omaggio e per valorizzare la collezione e, all’interno di una collaborazione che era già iniziata con il Museo di Capodimonte in precedenti occasioni, è nata l’idea di portare a Milano il fondo oro per eccellenza, anche per sottolineare una tecnica e allo stesso tempo per far sì che i nostri visitatori riscoprissero la collezione Fondi Oro, come in effetti sta avvenendo.

Perché è stata scelta proprio quest’opera?

È un’opera straordinaria che segna il cambio di linguaggio nella Firenze di inizio Quattrocento. Masaccio, che aveva già dipinto la Cappella Brancacci e che stava per iniziare i lavori a Santa Maria Novella, viene obbligato paradossalmente (lui che aveva sfondato il muro in Santa Maria Novella e creato scene di assoluta realtà nella Cappella Brancacci) a usare il fondo oro, che era l’antirealismo e che faceva parte ormai di un mondo che sicuramente nella sua concezione stilistica non esisteva più. È obbligato quindi a fare una cosa contro tutte le sue inclinazioni, eppure il committente, il notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi lo obbliga e lui accetta la sfida, arrivando a sfondare anche il fondo oro. Questa è la prima volta in cui si osa rompere la barriera del fondo oro e Masaccio riesce a creare qui una scena di assoluto realismo e naturalismo, come lui sapeva fare, coniugando e riprendendo gli insegnamenti di Brunelleschi, di Donatello, e traducendoli in pittura, anche su fondo oro. Con questa visione prospettico-spaziale e volumetrica assolutamente straordinaria che di per sé nel fondo oro non ci aspetteremmo mai.

Potremmo quindi dire che Masaccio è stato un rivoluzionario da questo punto di vista...

Assolutamente sì. Anche lo stesso Vasari segna la linea Giotto, Masaccio, Michelangelo nella direzione di una progressiva presa di coscienza dello spazio, della forma, del dialogo col classicismo.

L'opera in mostra al Museo Diocesano di Milano
L’opera in mostra al Museo Diocesano di Milano
Nadia Righi e Alessandra Rullo
Nadia Righi e Alessandra Rullo

E nella composizione dell’opera, in cosa consiste il carattere rivoluzionario di questa preziosa tavola?

Masaccio utilizza lo scorcio in un modo assolutamente ardito: chi guarda l’opera appesa alle pareti di un museo, come nel nostro caso, ad altezza degli occhi del visitatore, pensa che Masaccio abbia sbagliato tutto, perché Cristo ha le gambe troppo corte, è senza collo, ma in realtà Masaccio pensa all’opera sapendo già dove sarebbe stata posizionata. La tavola era infatti la cimasa del grande polittico per la cappella del notaio ser Giuliano, all’interno della Chiesa del Carmine di Pisa, e noi sappiamo dai documenti che il polittico misurava otto braccia e tre quarti, quindi era cinque metri d’altezza compreso l’altare. Un’altezza veramente considerevole e Masaccio realizza quest’opera immaginando già il punto di vista del fedele, dell’osservatore. Lo scorcio in realtà, nel momento in cui noi ricollochiamo l’opera a quell’altezza, come al museo abbiamo fatto virtualmente, riprende assolutamente significato e ci si accorge che la prospettiva e il punto di vista sono perfetti. Aggiunge poi in un secondo momento la figura della Maddalena (s’intravedono sotto le incisioni del disegno della croce che doveva arrivare fino alla collina del Golgota); l’aggiunge successivamente proprio per dare più forza alla composizione. L’occhio dell’osservatore è calamitato da questa figura straordinaria, dipinta con quel rosso acceso che sembra quasi una fiamma, una freccia, e anche la sua posizione è estremamente innovativa: normalmente Maddalena è abbracciata alla croce, asciuga con i propri capelli il sangue che esce dalle ferite dei piedi di Cristo, e invece qui non tocca la croce, è di spalle con il capo chinato in avanti, i capelli scarmigliati, in disordine, e te mani alzate come in un urlo, in una preghiera, un’invocazione. Anche compositivamente questa figura costituisce una novità assoluta, anche perché la sensazione è quella che le mani vadano oltre la croce, appunto che Masaccio sfondi il fondo oro, come si diceva prima. Sembra che l’oro venga rimandato indietro non più come un limite spaziale ma quasi come una prospettiva, come a recuperare il suo significato simbolico. L’oro è segno del divino, dell’eterno, della Resurrezione, potremmo dire.

Abbiamo detto che l’esposizione vuole essere un omaggio alla memoria di Alberto Crespi, ovvero colui che ha donato al museo la sua collezione di fondi oro (oltre 40 tavole). A quando risale la donazione e quali sono le opere più significative?

La donazione è entrata nel museo nel 1998. Era stata presentata in una mostra alla Fondazione Stelline a Milano e quando il museo ha inaugurato nel 2001 faceva già parte delle collezioni del Museo Diocesano. Sono opere che Crespi aveva raccolto nel corso della sua vita, aiutato da studiosi straordinari, in primis mi piace ricordare Miklós Boskovits, che lo aveva consigliato nei passaggi, nelle acquisizioni, nelle attribuzioni; sono opere di vari ambiti, che vanno dal Trecento all’inizio del Cinquecento, prevalentemente di ambito toscano, centro-italiano, ma anche veneto, c’è una sola opera lombarda di un anomimo quattrocentesco (in realtà sono quattro scomparti che facevano parte di uno stesso polittico) e poi ci sono opere di Nardo di Cione, Agnolo Gaddi, Sano di Pietro, Gherardo Starnina, Nanni di Bartolomeo Cristiani, Paolo Veneziano.

I fondi oro del Museo Diocesano di Milano
I fondi oro del Museo Diocesano di Milano

Oltre al fondo oro, c’è un legame o elementi in comune tra la Crocifissione di Masaccio e i fondi oro di Crespi?

Il legame è dato dal proseguimento, perché nella Collezione dei Fondi Oro il visitatore ha occasione di vedere come si dipingeva su fondo oro nell’arte italiana. Si percepisce quindi ulteriormente lo stacco che Masaccio segna, perché nella Collezione ci sono opere eseguite nello stesso momento, all’inizio del Quattrocento, anzi anche successive, e ci si rende conto, a maggior ragione proprio dal confronto, di quanto Masaccio sia stato rivoluzionario e straordinariamente innovativo.

In che modo il museo ha pensato di avvicinare il pubblico a questo tema dei fondi oro e quindi alla mostra?

I visitatori vengono invitati a seguire un percorso didattico e didascalico in cui vengono spiegati su pannelli e anche mediante illustrazioni l’arte di Masaccio, la sua portata rivoluzionaria, tutta la storia del polittico, la storia collezionistica, la storia della Cappella, la dispersione del polittico i cui pezzi adesso si trovano in vari musei internazionali; viene spiegato anche il criterio di allestimento, viene data ragione dell’acquisizione della nuova cornice rinascimentale che d’ora in poi accompagnerà il dipinto anche al Museo di Capodimonte quando tornerà nella sua sede e inoltre, in una sala buia, viene proiettato un video che ricostruisce digitalmente tutto il polittico a grandezza naturale, proprio per ridare la sensazione del posizionamento della tavola e dunque della giustezza della riflessione prospettica di Masaccio. E solo alla fine, dopo tutto questo percorso, si arriva davanti all’opera, dove il visitatore viene lasciato da solo con la possibilità di entrare in relazione con l’opera e di guardarsela, godersela e di approfondire tutte le proprie riflessioni. La mostra continua fisicamente con una apposita segnaletica nella sezione Fondi Oro che non abbiamo voluto toccare anche per rispetto proprio al collezionista che l’aveva voluta così (la Collezione Fondi Oro è un’ala del Museo che è stata pensata da Crespi e dall’architetto Giovanni Quadrio Curzio a suo tempo: una sorta di white cube con un allestimento diverso da quello della collezione permanente). All’interno della sezione Fondi Oro abbiamo poi messo una serie di rimandi grafici alla mostra di Masaccio, che ha come sottotitolo proprio “Omaggio ad Alberto Crespi”, e abbiamo approfittato per spiegare con una serie di pannelli didattici le varie tecniche che vengono utilizzate sui fondi oro, che è una delle curiosità che sempre hanno i visitatori quando visitano quella sezione, quindi ci è sembrata la giusta occasione per approfondire anche questo aspetto che desta sempre curiosità e interesse nel pubblico. Viene inoltre proposta una serie di visite guidate di cui si occupano i nostri Servizi Educativi. Nel museo abbiamo in questo periodo la collaborazione anche con gli studenti dell’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio di Milano che fanno accoglienza ai visitatori e li accompagnano a vedere i fondi oro quando il pubblico finisce di vedere la mostra dedicata a Masaccio. E abbiamo anche una collaborazione con la scuola orafi Galdus di Milano, i cui studenti fanno dimostrazioni di doratura; invece sia per adulti che per bambini offriamo workshop sulla tecnica del fondo oro. Quindi spesso le visite guidate o visite narrate vengono completate da workshop o dimostrazioni che aiutano proprio a comprendere questa tecnica. Normalmente, sia noi che i nostri Servizi Educativi, pensiamo ai percorsi proprio cercando di intercettare quelle che ci sembrano le esigenze dei visitatori, ed essendoci accorti in questi anni che anche il tema della tecnica è un tema che la gente non conosce, per cui chiede informazioni, abbiamo deciso per questa volta di concentrarci anche su questo aspetto.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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