Genova riscopre l'Ottocento: un viaggio tra capolavori nascosti e la rivoluzione del vero


Nell’ambito delle celebrazioni per ’Genova e l’Ottocento 2025’, il progetto espositivo coordinato da Leo Lecci svela il patrimonio artistico del XIX secolo. Dai Musei di Nervi a Palazzo Rosso, cinque mostre riportano alla luce opere dai depositi e collezioni private, raccontando una città in trasformazione tra aristocrazia, borghesia e nuove istanze sociali.

Si intitola Ottocento svelato. Racconti di collezioni e musei nella Genova del XIX secolo l’articolato progetto espositivo che, a Genova, fino al 29 marzo 2026, mira a coniugare la ricerca scientifica con il rinnovamento museografico, restituendo centralità a un secolo spesso oscurato da altre epoche storiche ma fondamentale per la storia dell’arte italiana. L’iniziativa, promossa dal Comune in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova e la Soprintendenza, si dipana attraverso cinque mostre allestite in altrettante sedi civiche, coinvolgendo istituzioni pubbliche, gallerie e collezionisti privati in uno sforzo corale volto alla riscoperta consapevole di questo periodo.

Il cuore pulsante di questa rilettura storica si trova nei Musei di Nervi, dove la Galleria d’Arte Moderna situata a Villa Saluzzo Serra e le Raccolte Frugone di Villa Grimaldi Fassio ospitano due eventi curati da Leo Lecci e Francesca Serrati. Le mostre, intitolate rispettivamente Artisti, Mecenati e Collezionisti nella Genova dell’Ottocento e Le Raccolte Frugone: una collezione d’arte dell’Ottocento per Genova, offrono una visione sfaccettata del collezionismo ligure. Il percorso allestito alla Galleria d’Arte Moderna è strutturato per temi che indagano la genesi delle raccolte cittadine, i generi artistici prediletti nel XIX secolo e il ruolo fondamentale svolto dalla Società Promotrice di Belle Arti come crocevia nazionale. L’esposizione vanta oltre cento opere, metà delle quali provenienti da prestigiosi prestiti di musei come gli Uffizi di Firenze o la Ricci Oddi di Piacenza, mentre l’altra metà è stata recuperata dai depositi dello stesso museo genovese, riportando alla luce tesori rimasti celati per anni e presentando pezzi pressoché inediti di proprietà della Camera di Commercio e della Prefettura.

L’operazione culturale si inserisce in un più vasto programma di riallestimento delle sale museali, pensato per integrare capolavori noti con opere raramente visibili, creando un dialogo che rivela il ruolo nevralgico di Genova nel contesto artistico internazionale dell’epoca. Anche le Raccolte Frugone partecipano a questa narrazione: pur mantenendo sostanzialmente inalterato il loro allestimento storico, accolgono temporaneamente due capolavori “ospiti”, opere che furono esposte in città nella seconda metà dell’Ottocento e che ora tornano a dialogare con i dipinti della collezione permanente.

Mosè Bianchi, La pittrice (1874; Genova, Musei di Nervi, Raccolte Frugone)
Mosè Bianchi, La pittrice (1874; Genova, Musei di Nervi, Raccolte Frugone)
Giuseppe Pennasilico, La Giardiniera (1892, Genova Musei di Nervi, GAM Gallera d’Arte Moderna)
Giuseppe Pennasilico, La Giardiniera (1892, Genova Musei di Nervi, GAM Gallera d’Arte Moderna)
Giulio Monteverde, Ritratto di Olimpia De Filippi Sella (Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giulio Monteverde, Ritratto di Olimpia De Filippi Sella (Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giulio Monteverde, Primi giochi. Bambini che giocano con un gatto (1874; Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giulio Monteverde, Primi giochi. Bambini che giocano con un gatto (1874; Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giovanni Boldini, Il paggio. Giochi col levriero (1866; Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giovanni Boldini, Il paggio. Giochi col levriero (1866; Genova, Musei di Nervi, GAM Galleria d’Arte Moderna)
Giuseppe Bertini, Fanciulle fra colombi in un giardino (ante 1869; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
Giuseppe Bertini, Fanciulle fra colombi in un giardino (ante 1869; Milano, Galleria d’Arte Moderna)

Uno dei focus più affascinanti della mostra riguarda la figura del principe Odone di Savoia, quarto figlio di Vittorio Emanuele II. Trasferitosi a Genova nel 1861 per alleviare le sofferenze di una grave malattia degenerativa, il duca del Monferrato trasformò la sua condizione in un motore di ricerca intellettuale. La sua disabilità fisica non frenò la sua sete di conoscenza, che lo portò a viaggiare e a circondarsi di intellettuali e artisti del calibro dell’archeologo Giuseppe Fiorelli o dello scultore Santo Varni. La collezione di Odone, eterogenea e ricca, spaziava dalla numismatica ai reperti naturalistici, fino all’arte contemporanea acquistata in gran parte presso le mostre delle Società Promotrici. Alla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1866, il padre donò alla città ligure l’intera raccolta, rispettando le volontà del figlio e costituendo così il primo nucleo delle moderne collezioni civiche genovesi. Nella sala a lui dedicata, i visitatori possono ammirare opere che testimoniano il gusto eclettico del principe, come i paesaggi romantici di Pasquale Domenico Cambiaso o le sculture di Santo Varni, tra cui spicca L’amore che doma la forza, commissionata dallo stesso Odone. Di particolare interesse è anche il gesso recentemente rinvenuto de L’educazione materna, sempre di Varni, che ritrae la nobile Teresa Pallavicini Durazzo, opera che unisce l’adesione al vero alla compostezza formale. Il mecenatismo di Odone è ulteriormente celebrato dal monumento in bronzo realizzato da Antonio Orazio Quinzio, fuso nel 1891, che ritrae il principe seduto in poltrona circondato dai suoi amati oggetti da collezione, come una tanagrina e un’anfora a figure rosse, reperti che sono stati eccezionalmente esposti accanto alla statua per l’occasione.

Parallelamente alla figura reale di Odone, la mostra indaga altri profili di collezionisti che hanno plasmato il gusto dell’epoca, come Filippo Ala Ponzone. Aristocratico lombardo e patriota, giunse a Genova come esule politico dopo i moti della Repubblica Romana. La sua presenza in città fu segnata da un mecenatismo a tratti ondivago ma imponente: fu socio della Promotrice con una quota azionaria superiore persino a quella del re e commissionò numerose opere a Santo Varni, con il quale ebbe un rapporto professionale tormentato. La sua figura, malinconica e soggetta a repentini cambi di umore, ben rappresenta l’inquietudine di una classe dirigente in transizione. Sebbene il suo progetto di stabilirsi definitivamente a Villa Durazzo di Cornigliano e ivi radunare la sua collezione sia naufragato con la vendita della proprietà ai Savoia, un piccolo nucleo delle sue opere è giunto comunque alle collezioni civiche, tra cui dipinti di significato patriottico come Il profeta Geremia di Carlo Arienti.

Non meno rilevante fu il ruolo della duchessa di Galliera, Maria Brignole-Sale, figura centrale della filantropia genovese e internazionale. La mostra evidenzia il legame della duchessa con lo scultore Giulio Monteverde, autore del monumento a lei dedicato e posto davanti all’ospedale da lei fondato. È curioso notare come l’artista, non avendo potuto far posare la duchessa in vita, si sia basato su una fotografia scattata da Nadar a Parigi nel 1888 per realizzarne l’effigie postuma. I duchi di Galliera, nella loro lussuosa dimora parigina di rue de Varenne, collezionarono opere di rilievo che spaziano dal romanticismo francese alla scultura contemporanea, molte delle quali sono poi confluite nel patrimonio genovese, come il “Jenner” di Monteverde o i dipinti storici di Camillo Pucci.

L’esposizione offre poi uno spaccato sull’evoluzione dei generi pittorici, con particolare attenzione alla pittura di paesaggio, che a Genova visse una stagione di profondo rinnovamento grazie alla “Scuola grigia”. Artisti come Tammar Luxoro, Alfredo D’Andrade ed Ernesto Rayper abbandonarono la retorica accademica per abbracciare lo studio dal vero, prediligendo toni argentei e atmosfere liriche. Questo cambiamento fu favorito anche dal confronto con i Macchiaioli toscani, le cui opere iniziarono a circolare nelle mostre della Promotrice, influenzando il gusto locale verso una maggiore attenzione alla luce e al colore. Accanto al paesaggio, la pittura di genere documenta la vita quotidiana con un nuovo realismo aneddotico, visibile in opere che ritraggono interni domestici o scene popolari, conferendo dignità artistica anche ai soggetti più umili.

Un capitolo fondamentale della rassegna è dedicato alla scultura e al Cimitero di Staglieno, vero museo a cielo aperto che nel secondo Ottocento divenne la principale attrazione turistica della città, ammirata da intellettuali di tutta Europa. Staglieno, specchio della “città dei vivi”, vide il trionfo del realismo borghese, con monumenti che celebravano i valori della famiglia, del lavoro e del successo economico. Artisti come Augusto Rivalta e Giovanni Scanzi tradussero nel marmo e nel bronzo le sembianze di una classe imprenditoriale in ascesa, talvolta con un verismo quasi fotografico. La mostra evoca questa stagione attraverso bozzetti e opere correlate, ricordando anche la figura di Vincenzo Vela e il suo monumento a Cavour, distrutto dai bombardamenti del 1942, di cui rimane esposta la testa in marmo: un’opera che all’epoca suscitò dibattito per il suo antiaccademico realismo, ritraendo lo statista in una posa informale.

Proseguendo nel percorso cronologico, la mostra ci conduce verso la fine del secolo, un periodo segnato dall’Esposizione Italo-Americana del 1892, organizzata per il quarto centenario della scoperta dell’America. Quell’evento, che trasformò la spianata del Bisagno in una celebrazione del progresso industriale e culturale, vide una massiccia partecipazione di artisti al Palazzo delle Belle Arti. In questo contesto di fine secolo, l’arte ligure si aprì alle istanze del Simbolismo e del Divisionismo, ben rappresentate in mostra dalle grandiose tele di Plinio Nomellini, come Il cantiere e Nuova gente, esempi di simbolismo sociale. La sezione documenta anche l’influenza mitteleuropea, con opere ispirate a Böcklin e Von Stuck, e la scultura di Leonardo Bistolfi, i cui monumenti funebri per Staglieno segnarono il passaggio verso una concezione più misteriosa e spirituale della morte, superando il descrittivismo realista.

Il percorso espositivo non trascura il dinamismo del mercato dell’arte, analizzando il funzionamento della Società Promotrice di Belle Arti. Fondata nel 1849, questa istituzione divenne il motore economico e culturale del settore, permettendo l’acquisto di opere tramite sottoscrizioni e lotterie e favorendo l’incontro tra l’aristocrazia tradizionale e la nuova borghesia imprenditoriale. Le mostre annuali della Promotrice garantirono una costante circolazione di opere e artisti extra-regionali, rompendo l’isolamento culturale e favorendo un proficuo interscambio con le scuole pittoriche toscane, piemontesi e lombarde.

Giacomo Grosso, La Femme (1895; Asti, Palazzo Mazzetti)
Giacomo Grosso, La Femme (1895; Asti, Palazzo Mazzetti)
Tranquillo Cremona, Ritratto del cavalier Giuseppe Bianchi (1872; Piacenza, Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi)
Tranquillo Cremona, Ritratto del cavalier Giuseppe Bianchi (1872; Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi)
Gaetano Ferri, La preghiera a tre età della donna (1866; Genova, Camera di Commercio)
Gaetano Ferri, La preghiera a tre età della donna (1866; Genova, Camera di Commercio)
Giuseppe Sciuti, L’educazione (1870; Collezione privata)
Giuseppe Sciuti, L’educazione (1870; Collezione privata)

Infine, un approfondimento specifico merita la sezione delle Raccolte Frugone, che documenta episodi significativi di collezionismo privato, come la vicenda del ritratto del banchiere Giuseppe Bianchi eseguito da Tranquillo Cremona nel 1872. L’opera, nata in un contesto di relazioni commerciali milanesi, testimonia il passaggio dell’artista scapigliato a Genova e le dinamiche spesso complesse tra committente e pittore. Allo stesso modo, la presenza di opere di Giacomo Grosso, come la scandalosa La femme, acquistata dal conte Ottolenghi, illustra come il mercato genovese di fine secolo fosse ricettivo verso le novità, grazie anche all’attività di gallerie private come quella del fotografo Ernesto Rossi.

Ottocento svelato si configura dunque non solo come una serie di mostre, ma come un’operazione culturale di ampio respiro che, attraverso il recupero di opere dimenticate e la rilettura di quelle note, restituisce a Genova il ruolo di protagonista che ebbe nel panorama artistico del XIX secolo. Dalla ritrattistica aristocratica al verismo sociale, dal mecenatismo principesco a quello borghese, il progetto offre al visitatore contemporaneo la chiave per comprendere le radici della modernità in una città che fu crocevia di culture, capitali e talenti. Le esposizioni rimarranno aperte al pubblico fino alla primavera del 2026, accompagnate da un ricco catalogo scientifico e da attività didattiche volte a coinvolgere l’intera cittadinanza nella riscoperta della propria storia.


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