Roma, al Parco del Colosseo la mostra che rievoca gli splendori dei Farnese


Quando i Farnese vollero ricostruire il Palatino: a Roma, al Parco Archeologico del Colosseo, la mostra “Splendori Farnesiani” porta il pubblico tra i fasti della famiglia che qui installò una fastosa residenza. Dal 12 dicembre 2023 al 7 aprile 2024.

Il Parco Archeologico del Colosseo conclude il percorso di valorizzazione del Ninfeo della Pioggia, riaperto al pubblico lo scorso ottobre, con una mostra che ripercorre il significato del ninfeo e la storia degli Orti Farnesiani. Intitolata Splendori Farnesiani. Il Ninfeo della Pioggia ritrovato, la rassegna si tiene dal 12 dicembre 2023 al 7 aprile 2024, è curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri e Alessio De Cristofaro, ed è stata ideata per offrire ai visitatori una ricostruzione di quelli che furono i valori, i significati e gli usi del Ninfeo e di tutti gli Orti Farnesiani nel momento di loro massimo splendore, tra la seconda metà del XVI e il XVII secolo: un viaggio ideale nell’effimero e nella cultura immateriale barocca che caratterizzarono i celebri giardini farnesiani, teatro di delizie, ricerca, cerimonie e di autorappresentazione politica di una delle più importanti famiglie italiane dell’epoca.

Attraverso quadri, disegni dall’antico, stampe, sculture in bronzo, oggetti d’arte e innovativi apparati digitali, la mostra intende consentire ai visitatori di immergersi nella vita e nelle atmosfere del tempo, accostandosi non solo alla storia degli Orti e dei Farnese, ma alla stessa mentalità e visione del mondo che caratterizzava l’aristocrazia romana e italiana tra il tardo rinascimento e il Seicento. Nel progettare la mostra, un particolare impegno è stato dedicato al recupero di documenti e opere che avessero un diretto rapporto con il Ninfeo, gli Orti e la famiglia Farnese. Allestendo direttamente le diverse sezioni della mostra dentro gli stessi edifici dei giardini palatini le opere scelte dialogano e si integrano con gli spazi.

“Ricostruire in modo filologico e raccontare l’effimero e il patrimonio immateriale di un’epoca conclusa non è mai semplice”, commenta Alfonsina Russo, direttrice del Parco Archeologico del Colosseo. “È sempre necessario un attento lavoro di ricerca che metta insieme i documenti, i testi, i monumenti e gli oggetti che di una data epoca costituiscono testimonianza storica. Poi bisogna affrontare la sfida del racconto, in forme che devono essere accessibili e comprensibili a tutti, senza però semplificare o banalizzare. In questo, il PArCo investe molto in innovazione, grazie alla sperimentazione e all’uso del multimediale e delle tecniche dello storytelling”.

“La scelta di allestire le opere nel Ninfeo della Pioggia e nelle Uccelliere”, afferma Roberta Alteri, “restituisce il senso e le funzioni originarie di questi spazi, oggi non facili da percepire per il visitatore. Il Ninfeo era un luogo per feste e diletti progettato dal Rainaldi come spazio multisensoriale, dove gli ospiti potevano appagarsi grazie a banchetti, musica, immagini e alla piacevole presenza dell’acqua in forma di pioggia simulata. Le Uccelliere una sorta di microcosmo dei mondi lontani ed allora da poco esplorati e conosciuti”.

Inoltre, Splendori farnesiani, nell’affrontare la sfida di avvicinare i visitatori alla mentalità di un’epoca, così diversa da quella attuale, intende rispondere con una installazione multimediale che mira a ricreare virtualmente l’effetto di una Wunderkammer. “La Wunderkammer, o Camera delle meraviglie, è la quintessenza della mentalità e della visione aristocratica del mondo nel XVI e XVII secolo”, spiega Alessio De Cristofaro. “In essa oggetti del mondo naturale, archeologici, strumenti scientifici, fossili e curiosità sono accostati per analogia e connessione metaforica a ricostruire una mappa mentale del cosmo. L’allestimento multimediale però non ne è una ricostruzione precisa, quanto uno strumento che vuole suscitare nel visitatore quei sentimenti di curiosità, stupore, meraviglia e attrazione per l’esotico e l’insolito che furono tipici dell’epoca”.

La mostra, che si avvale del prestito e della collaborazione di importanti istituzioni museali nazionali pubbliche e private, sarà aperta e visitabile tutti i giorni, ad esclusione delle domeniche gratuite, con orario 9.00-16.00 (ultimo ingresso 15.45). Accompagna la mostra un catalogo edito da Palombi Editori che racconta nel dettaglio le nuove ricerche sul Ninfeo della Pioggia e i più generali significati storici e culturali degli Orti Farnesiani.

Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone
Allestimenti della mostra. Foto: Simona Murrone

La mostra

Un giardino è “un’espressione della coscienza artistica di questa o quell’epoca, di questo o quel paese”, che può essere letto come un grande ipertesto fatto di natura, artifici, architetture, elementi primordiali, arte e creature viventi. Gli Horti Palatini Farnesiorum testimoniano, con la loro lunga storia e l’evolversi del proprio aspetto, la cultura e la visione del mondo dei Farnese tra il Cinquecento e il Seicento, rappresentandone ambizioni, interessi, idealità, vita quotidiana.

La mostra racconta i significati simbolici e gli usi degli Orti Farnesiani, ricostruendo attraverso opere d’arte, oggetti e apparati multimediali, tutto quello che di effimero e immateriale il Tempo ha cancellato.

Nel Ninfeo della Pioggia, spazio barocco per eccellenza dei giardini, sono evocate le feste e i diletti, accompagnati da banchetti, musica, danze e dall’illusione di trovarsi in una pergola rinfrescata dal melodioso scrosciare della pioggia.

Nell’Uccelliera di destra sono presenti i ritratti dei principali protagonisti della famiglia Farnese ed alcune opere che illustrano la cultura e le origini ideali degli Orti, mentre nell’Uccelliera di sinistra un’installazione multimediale propone, nelle forme di una moderna wunderkammer, i temi della scienza, dell’esotico e della meraviglia dell’età barocca, declinati nel mondo farnesiano. Completa l’esposizione la ricostruzione filologica del celebre Orto Botanico curato da Tobia Aldini, che, dopo quattrocento anni, torna così a rivivere sul Palatino.

La prima s’intitola Ninfeo della pioggia. Funzioni e significati ed è dedicata proprio a questo luogo, scavato nel fianco settentrionale del Palatino, in cima alla cordonata d’accesso. Il Ninfeo della Pioggia fu concepito ai primi del Seicento come “triclinio estivo” per il cardinale Odoardo Farnese: già rinfrescato allora da una più modesta fontana, era destinato ad accogliere gli ospiti in un ambiente suggestivo, arricchito da una raffinata collezione di sculture antiche ordinate secondo criteri di simmetria. Nella loggia erano collocate due statue femminili sedute, insieme ai due grandi Daci prigionieri, mentre all’interno trovavano posto otto statue di eroi e divinità su alti plinti e quattordici busti entro nicchie. Le statue simboleggiavano temi e discorsi tipici della cultura dell’epoca: l’amore, la buona salute, i valori eroici e le vite esemplari degli antichi. Nel 1630-33 il duca Odoardo, omonimo nipote del cardinale e quinto duca di Parma e Piacenza, completò fastosamente questo versante degli Orti Farnesiani, commissionando a Girolamo Rainaldi il Teatro del fontanone con le Uccelliere. Il triclinio estivo fu allora trasformato in ninfeo d’ingresso, installando una nuova, imponente fontana arricchita da stalattiti, tartari (frammenti spugnosi di travertino) e da sette tazze lapidee i cui zampilli, riversandosi nel bacino inferiore, simulavano la vista e il suono di un vivace rovescio di pioggia. Arricchito da una decorazione pittorica illusionistica eseguita dal Modanino, il Ninfeo divenne così uno spazio dal carattere tipicamente barocco, destinato a delizie, feste e svaghi.

La trasformazione del triclinio estivo in Ninfeo della Pioggia lasciò immutata la collezione scultorea, solo restaurata da Francesco Rondone, mentre comportò la realizzazione di un nuovo apparato pittorico. Giovan Battista Magni detto Il Modanino (1591/92-1674), già all’opera nelle decorazioni a graffito esterne, dipinse all’apice del soffitto una cornice con emblemi farnesiani, entro cui un ardito sfondato prospettico finge l’apertura, dalla terrazza superiore, di un ampio vano, circondato da balaustre e ombreggiato da una pergola ricca di grappoli e uccelli variopinti: da lì si affaccia un’ensemble di sei musicisti intenti a suonare. L’inganno visivo diventava così anche inganno acustico, suggerendo il suono di una musica umana mentre si godeva della musica naturale della fontana, in una coinvolgente esperienza multisensoriale.

Il gioco delle simulazioni si allargava anche alle pareti, dove altissimi tralci di vite, salendo dagli angoli, creavano un verde fondale alle statue, quasi fossero collocate all’aperto, mentre ricchi fogliami e uccelli popolavano anche le volte della loggia e delle scale d’accesso. Il Ninfeo offriva così agli ospiti una possibilità di immersione in uno spazio che suscitava meraviglia, curiosità e piacere.

La mostra, in questa sezione, espone anche opere dalla Camera delle meraviglie Farnese, in cui si custodivano naturalia e mirabilia, opere d’arte e di natura, con l’intento di suscitare stupore, sorpresa e ammirazione, erano conservati, in dieci credenzoni, oggetti rari e preziosi in cristallo, avorio, corno, pietre preziose, oggetti di oreficeria, bronzi, ambre. Alcune di queste opere, oggi nelle collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte, come detto sono esposte in mostra, a testimonianza della cultura effimera e immateriale dei Farnese: oggetti preziosi, come la Brocchetta in agata e la Coppa in cristallo di rocca, ottenuti lavorando un unico blocco di minerale con grande maestria e abilità tecniche, o i Piatti in maiolica di Urbino decorati a raffaellesche, realizzati con un impasto ceramico molto apprezzato e utilizzato nelle tavole regali perché si riteneva non alterasse il sapore dei cibi. O ancora, per concludere, due manufatti intagliati nella noce di cocco, come la tazza biansata da cioccolata, che testimoniano l’interesse collezionistico dei Farnese per oggetti di curiosità di provenienza esotica.

La seconda sezione, allestita nell’Uccelliera destra, è intitolata I protagonisti e l’ispirazione all’antico. Qui sono presenti i principali personaggi della famiglia Farnese, testimoniati da importanti opere pittoriche provenienti da collezioni museali pubbliche e private. Si comincia dal cardinale Alessandro Farnese, poi papa Paolo III (Canino, 1468 – Roma, 1549). Figlio di Pier Luigi Farnese e di Giovannella Caetani, umanista e mecenate, ascese al soglio pontificio nel 1534. Sebbene segnato dal nepotismo, il suo pontificato si distinse per il progetto di renovatio Urbis e per la diffusione delle humanae litterae. Approvò la creazione della Compagnia di Gesù e costituì la Congregazione del Sant’Uffizio. Sul piano politico e diplomatico si adoperò per la pace tra i principi cristiani e la riforma contro il protestantesimo. Nell’aprile del 1536 incontrò a Roma l’imperatore Carlo V e nel 1545 convocò il concilio di Trento. Fu sepolto nella Basilica di San Pietro in Vaticano, in un particolare monumento opera di Guglielmo della Porta. Il secondo personaggio è Ranuccio I Farnese (Parma, 1569 – 1622). Figlio di Alessandro Farnese (1545-1592) e Maria d’Aviz di Portogallo fu il IV duca di Parma e Piacenza. Umanista di formazione, tra i diversi incarichi fu capitano generale dell’esercito imperiale nella guerra dei Trent’anni. Prese in sposa Margherita Aldobrandini, pronipote di Papa Clemente VIII. Il 7 maggio 1600 il papa celebrò le nozze nella cappella Sistina. Annibale Carracci rievocò l’evento nel celebre Trionfo di Bacco e Arianna della Galleria di Palazzo Farnese a Roma. Contribuì al prestigio dei Farnese con il rinnovamento istituzionale del Ducato e attraverso opere di mecenatismo artistico e culturale. Si fa poi la conoscenza di Margherita Aldobrandini (Ducato di Castro, 1588 – Parma, 1646). Figlia di Gian Francesco e Olimpia Aldobrandini, nipote del cardinale Ippolito, poi Papa Clemente VIII. Dopo lunghe trattative per il matrimonio con il duca Ranuccio I Farnese, l’accordo fu siglato grazie a una dote elevatissima. Le nozze furono ricordate da artisti e poeti, anche in forma allegorica e in raccolte di madrigali, poesie, epitalami. Nelle città ducali si svolsero festeggiamenti emblematici dell’effimero barocco, tipico delle corti moderne. Alla morte di Ranuccio I l’erede designato, Odoardo, aveva solo dieci anni, così il governo fu attribuito al cardinale Odoardo e a Margherita, dal 1626 unica reggente del Ducato di Parma e Piacenza. Quarto personaggio è Odoardo I Farnese (Roma, 1573 – Parma, 1626). Pronipote del cardinale Alessandro Farnese il Giovane (1520-1589), fratello minore del duca Ranuccio I, divenne presto cadetto e membro del Santo Collegio. A Roma fu suo precettore l’antiquario Fulvio Orsini. Fu nominato cardinale nel 1591 da Papa Gregorio XIV. Dai Farnese ereditò non solo i possedimenti e le alterne fortune, ma anche il mecenatismo e la sensibilità artistica. Morto a cinquantatré anni fu seppellito a Roma, nella chiesa del Gesù accanto al prozio Alessandro, il “gran cardinale”. Nel testamento nominò erede universale il nipote duca Odoardo e dispose che restassero a Roma le collezioni artistiche e la biblioteca, con la sola eccezione della pinacoteca trasferibile a Parma. Quinto e ultimo personaggio è Odoardo Farnese (Parma 1612 – Piacenza 1646). Secondogenito di Ranuccio I Farnese e Margherita Aldobrandini fu il V duca di Parma e Piacenza e il VI duca di Castro. Nel 1628 acquisì i pieni poteri ducali e sposò Margherita de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici. La sua azione politica fu rovinosa: strinse un’intesa segreta con la Francia, perfezionata col trattato di Rivoli (1635), ma fu sconfitto dagli Spagnoli e salvato grazie alla mediazione di Urbano VIII e del cognato Ferdinando II de’ Medici, che la sorella Margherita aveva sposato nel 1628. Tentò invano di proporre l’invasione di Napoli al pontefice, il quale durante la guerra di Castro del 1642 lo scomunicò. Morì nel 1646 a soli trentaquattro anni.

Nella stessa Uccelliera altre due sezioni testimoniano le radici e l’ispirazione all’Antico degli Orti e l’uso dei giardini come spazio per le performances artistiche e letterarie. L’origine ideale degli Orti Farnesiani nasce infatti dalla volontà dei Farnese di rifondare simbolicamente il Palatino, per riallacciarsi alle radici ideali ed esemplari dell’Antico. Il primo atto significativo in questo senso sono i grandi lavori voluti da Paolo III Farnese per la cerimonia del Trionfo di Carlo V nel 1536, che ridisegnano l’aspetto del Foro e del cuore dell’antica città. Ma tutti gli Orti sono concepiti sulla base di un’ispirazione dall’Antico. Anche il triclinio estivo-Ninfeo della Pioggia dipende da un tipo di edificio residenziale elaborato nel primo Rinascimento sulla base della rilettura delle fonti classiche e dello studio dei monumenti antichi, ed in particolare del celebre Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella. Proprio il Ninfeo di Egeria ospita il banchetto per Carlo V che precede il suo ingresso trionfale in città, venendo riadattato, su probabile progetto di Baldassarre Peruzzi, come una grotta aperta sul paesaggio e animata da giochi d’acqua. In mostra un disegno di Antonio da Sangallo il Giovane e una celebre stampa di Giambattista Piranesi testimoniano la fortuna di questo monumento per la storia dell’architettura rinascimentale e barocca.

Sin dalla loro istituzione nella seconda metà del Cinquecento come “giardino di delizie”, gli Orti Farnesiani ospitarono feste, passatempi ed attività culturali organizzate dai membri della famiglia Farnese e del loro entourage per un numero ristretto e controllato di ospiti. Col tempo, si venne così consolidando la sua vocazione di spazio culturale privato dove mettere in scena, al riparo da occhi indiscreti, performances fatte di musica, versi, balli, recitazione. Anche dopo il trasferimento della corte a Parma, gli Orti rimasero uno spazio culturale importante. Nel 1693, grazie all’autorizzazione del duca di Parma, si trasferì sul Palatino l’Accademia dell’Arcadia, da poco costituitasi su impulso di Giovanni Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni. L’Accademia si era data lo scopo di rifondare il gusto letterario dopo gli eccessi della cultura barocca, con un ritorno alla misura classica di cui la pretesa discendenza dai pastori dell’omonima regione agreste della Grecia, l’Arcadia, era il manifesto. Sul Palatino, i poeti-pastori ottennero di costruire un teatro in legno e terra, decorato con piante di alloro. La loro permanenza, però, fu breve, perché per l’irriverenza e la salacità di alcuni versi furono presto cacciati dal loro ospite. Il raro disegno di Pier Leone Ghezzi in mostra illustra questa breve permanenza degli Arcadi negli Orti Farnesiani.

La terza sezione, nell’Uccelliera sinistra, è intitolata La Wunderkammer. Come tutte le grandi casate d’Europa, anche i Farnese avevano formato una “camera delle meraviglie” che, raccogliendo naturalia, mirabilia e artificialia, illustrava i propri interessi collezionistici e scientifici, nell’ottica di rappresentare una sorta di storia naturale e umana del cosmo allora conosciuto. Alcuni settori degli Orti Farnesiani possono considerarsi, in un certo senso, un’estensione spaziale della collezione raccolta a Palazzo Farnese. L’Orto Botanico, con la sua raccolta di rarità e piante esotiche, si presentava come una sorta di microcosmo che evocava il Nuovo Mondo. Le Uccelliere ospitavano volatili dai quattro continenti (quali, ad esempio, pavoni, pappagalli, tacchini) che con il loro canto allietavano e sorprendevano i visitatori. Nella stessa corte dei Farnese i monstra, da intendersi come creature che per qualche aspetto derogavano dalla norma suscitando meraviglia e curiosità, erano espressione di questo anelito verso il sapere e l’insolito, come ben illustra il celebre quadro di Agostino Carracci oggi a Capodimonte, Triplo ritratto di Arrigo peloso, Pietro Matto e Amon nano.

L’installazione multimediale in questa Uccelliera vuole evocare, con linguaggio contemporaneo, alcuni dei temi della Wunderkammer farnesiana, mentre la presenza di due degli uccelli in bronzo realizzati dal Giambologna per il Ninfeo Medici di Castello testimonia le radici di una moda, quella della Voliere, che rimonta idealmente a Varrone e all’antichità.

Infine, la quarta e ultima sezione è l’Orto Botanico: la mostra è stata infatti un’importante occasione per la ricostruzione filologica del celebre Orto botanico istituito dai Farnese sul Palatino. Si tratta di uno dei più antichi Orti di questo tipo in Europa, destinato al trapianto e alla coltivazione di piante e fiori esotici, provenienti soprattutto dalle Indie e dal Nuovo Mondo. La ricostruzione è stata resa possibile grazie all’esistenza di un prezioso catalogo dell’Orto stesso, Tobia Aldini (con Pietro Castelli), Exactissima descriptio rariorum quarundam plantarum, quæ continentur Romae in horto Farnesiano, edito a Roma nel 1625 ed esposto fisicamente nell’Uccelliera di destra. Curata da Gabriella Strano, la ricostruzione costituirà da ora in poi un’importante sezione del patrimonio del verde storico del Parco.

Tobia Aldini fu medico del Cardinale Odoardo Farnese (1573-1626) e prefetto degli Horti Palatini Farnesiorum sul Palatino, celebri “giardini di meraviglie” della Roma moderna. I giardini ospitavano uno dei più antichi orti botanici d’Europa, destinato alla coltivazione e allo studio di piante esotiche e rare. Il volume dell’Aldini, pubblicato dal tipografo romano Mascardi, è un catalogo delle piante rare, provenienti soprattutto dai territori americani, coltivate negli Orti Farnesiani al tempo del Cardinale Odoardo, il quale grazie al suo legame con i Gesuiti aveva la possibilità di acquisire particolari essenze esotiche. Sin dal Seicento si avanza l’ipotesi che il vero autore del volume fosse Pietro Castelli, anch’egli medico e botanico messinese, e molte sono le ipotesi sul perché il Castelli fosse rimasto celato. Tuttavia, è probabile che il volume sia il frutto del lavoro di entrambi gli autori, nello spirito di collaborazione e scambio di saperi che caratterizza l’epoca.

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraSplendori Farnesiani. Il Ninfeo della Pioggia ritrovato
CittàRoma
SedeParco archeologico del Colosseo
DateDal 12/12/2023 al 07/04/2024
CuratoriAlfonsina Russo, Roberta Alteri, Alessio De Cristofaro
TemiArte antica

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