L'Ascensione di Ludovico Brea: il trionfo dorato del Rinascimento ligure


Ludovico Brea è stato uno dei più grandi artisti del Rinascimento in Liguria: la sua Ascensione, opera acquistata dallo Stato nel 2009 e oggi alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, è la sua opera più nota e affascinante.

Due metri e mezzo di tavola colmi e straripanti d’oro, di cromie raffinate, d’armonie sapientemente calcolate. L’Ascensione di Ludovico Brea richiamerà alla mente d’alcuni gli equilibrati bilanciamenti d’un Piero della Francesca, ai ricordi d’altri la precisione lenticolare dei fiamminghi, per tacer di quel fondo oro che ci riporta ai preziosismi del mondo gotico, aggiornati però su di una grammatica nuova, pienamente rinascimentale. Un capolavoro, in poche parole: un termine che ormai s’usa per qualsiasi opera d’arte, ma che nel caso della magnifica tavola di Ludovico Brea è possibile adoperare a ragion veduta. Intanto, è la testimonianza più alta che ci sia nota di questo pittore aggiornato e colto che nacque a Nizza ma che lavorò per gran parte della sua carriera a Genova. Ancora è la sua prima opera genovese sicura, ed è pertanto un punto fermo per ricostruire la sua attività. In terza battuta, è un’opera che sintetizza in maniera mirabile la cultura figurativa d’un artista che guardava non soltanto alla sua Liguria, ma anche alla Lombardia, alla Provenza, alle Fiandre. E dà pertanto una dimensione chiara di cosa sia stato il Rinascimento ligure. E poi, per l’appunto, è uno dei vertici del Rinascimento ligure, una terra che è poco nota ai più, anche perché sinora poco esplorata dalla critica.

Il senso del Rinascimento in Liguria è da trovare proprio in quel ben calibrato equilibrio tra linguaggi differenti e tra cultura diverse: un crogiolo tipico dei porti del Mediterraneo del XV secolo. Si potrebbe avanzare un ragionamento simile, ad esempio, per la pittura napoletana o per quella valenciana. Che sono argomenti più noti e percorsi rispetto alla pittura rinascimentale ligure. Non che manchino studî importanti ed estesi, ovviamente: ma è un campo d’indagine relativamente recente e sul quale gli storici dell’arte continuano a indagare. E poi, è tema che fatica a riscuotere successo presso il grande pubblico a causa della relativa scarsità di testimonianze e dell’assenza d’artisti celebri, di grandi mattatori che riescono a muover le folle solo con la forza evocativa del loro nome. Eppure, tutto si potrebbe dire dei pittori e degli scultori che resero grande l’arte rinascimentale ligure, meno che le loro opere manchino di fascino o che non riescano a sedurre chi se le trova davanti magari anche per caso, perché entrato in un museo per vedere altro. Succede anche con l’Ascensione di Ludovico Brea: tanti si recano a Palazzo Spinola per vedere l’Ecce Homo di Antonello da Messina o le sale affrescate della dimora nobile, e rimangono folgorati dal trionfo dorato del nizzardo senz’aspettarselo. E conta poco il fatto che l’opera sia frammentaria, poiché si tratta dello scomparto centrale d’un polittico di cui non conosciamo i pannelli laterali: il suo potente magnetismo riesce a catturare anche in queste condizioni.

Ludovico Brea, Ascensione (1483; tempera e olio su tavola di pioppo, 253 x 130 cm; Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, inv. SBAS 121489 / GNL 73/2010)
Ludovico Brea, Ascensione (1483; tempera e olio su tavola di pioppo, 253 x 130 cm; Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, inv. SBAS 121489 / GNL 73/2010)

E pensare che l’acquisto di questa tavola fondamentale era stato accompagnato da mille polemiche. Troppo alto il prezzo che lo Stato aveva corrisposto in asta per assicurarsela, si diceva: un milione e duecentomila euro nel 2009, in piena crisi economica, sembravano un’esagerazione per l’opera d’un pittore d’interesse locale e le cui quotazioni non avevano mai neanche sognato di sfiorare una cifra del genere. In realtà, è stato uno degli acquisti più importanti degli ultimi vent’anni, e non solo perché l’Ascensione è un’opera d’altissima qualità (del resto riconosciuta da tutti, anche da quanti hanno criticato in modo più veemente l’operazione). È un’opera d’eccezionale rarità, è un’opera di cui si conosce bene la storia, è un’opera che proviene da Genova e a Genova è tornata, è un’opera che consente di mostrare al pubblico di Palazzo Spinola un tassello fondamentale di quel coloratissimo mosaico che fu il Rinascimento ligure, è un’opera estremamente rappresentativa di un preciso periodo della storia dell’arte in Liguria, e pertanto ha col territorio un legame forte, che lo Stato aveva il dovere di ricostruire. Bene dunque ha fatto ad acquistarla, anche per una cifra simile. Anche perché, per un capolavoro di tale portata, a decidere il prezzo non è mai chi vende, ma chi compra.

La storia di quest’opera, s’è detto, è ben nota. Lo storiografo Raffaele Soprani, nelle sue Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, include l’Ascensione di Ludovico Brea tra le “molte degne opere, veraci testimoni della sua perizia”, e annota l’iscrizione che un tempo l’accompagnava (presumibilmente era incisa sulla carpenteria) nel luogo in cui era conservata, la chiesa di Santa Maria della Consolazione: “Ad laudem summi, scandentisque etera Christi, Petrus de Fatio divino munere fecit hoc opus impingi Ludovico Niciae natus 1483, die 17 Augusti”. Dunque sappiamo tutto: che l’opera fu dipinta nel 1483 e terminata in data 17 agosto, e che fu eseguita per decorare la cappella del notaio genovese Pietro di Fazio, nella chiesa che all’epoca si trovava in località Artoria, e che fu poi demolita nel Seicento per esser ricostruita in borgo San Vincenzo, dove si trova oggi (e con le modifiche urbanistiche che interessarono Genova nell’Ottocento la chiesa ha finito per ritrovarsi lungo via XX Settembre, in uno dei punti di passaggio più frequentati della città).

Prima del 1483 non ci sono altre attestazioni della presenza di Ludovico Brea a Genova, ma non sappiamo se l’Ascensione sia stata la sua prima opera genovese. Di sicuro fu la più importante e apprezzata, dacché l’artista, a seguito di questa mirabile prova, ebbe a lavorare per diversi altri committenti, segno che la sua tavola suscitò l’approvazione della clientela genovese e la venerazione dei fedeli, che pregarono davanti all’Ascensisone fino ai primi dell’Ottocento, quando l’opera uscì dalla chiesa della Consolazione a seguito delle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi e finì in mani private, per poi essere finalmente acquistata dallo Stato e destinata alla Galleria Nazionale della Liguria.

E qui, in queste sale che hanno poi continuato ad arricchirsi di testi fondanti del Rinascimento ligure, dal 2010 si può ammirare questo straordinario manifesto del cosmopolitismo che caratterizzò l’arte del tempo in regione: nell’Ascensione di Ludovico Brea convivono, nella più equilibrata armonia, la cultura figurativa fiamminga che s’apprezza specialmente nelle fisionomie degli apostoli, la tradizione italiana che innerva la monumentalità del Cristo e più in generale il plasticismo di tutte le figure, suggestioni francesi e provenzali, oltre alle finezze tipiche di Brea e la sua raffinata tavolozza che impreziosiscono non soltanto l’insieme (a cominciare da quell’oro così abbagliante), ma financo ogni singolo dettaglio. Ecco dunque un Cristo che si staglia serafico e trionfante, al centro della tavola, su di una singolare mandorla di cherubini fatti solo di contorno e ombreggiature, e affiancato ai lati da due angeli in simmetria, che recano un cartiglio in scrittura gotica libraria, dove leggiamo alcune parole degli atti degli Apostoli (“Viri Galilaei, quid admiramini aspicientes in caelum?”): peraltro, volendo aggiungere un ulteriore riferimento alla vasta cultura di Ludovico Brea, si potrebbe ricordare che la composizione, come ha notato Anna De Floriani (che insieme a Claire-Lisa Bionda ha riportato l’opera all’attenzione della critica negli anni Novanta), evidenzia un palese debito nei confronti di Jean Fouquet nella “puntuale derivazione dell’Ascensione dalla miniatura di analogo soggetto che decorava il Libro d’Ore di Étienne Chevalier”. Ai piedi di Cristo, la Vergine e gli angeli che si dispongono in cerchio: ognuno di loro è caratterizzato individualmente, com’era d’uso nella pittura fiamminga nel tempo, ma la morbidezza dei passaggi tonali (si guardino le vesti degli apostoli), l’eleganza dei cangiantismi, la vividezza degl’incarnati sono cifre tipiche dell’arte di Ludovico Brea. E se si dovesse proporre un grande nome per l’arte ligure del Rinascimento, forse la scelta cadrebbe proprio su di lui.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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