Gli animali di Albrecht Dürer: perché i suoi studi erano così realistici e innovativi


Il grande artista tedesco Albrecht Dürer è passato alla storia dell'arte anche per i suoi studi di animali, tra i più realistici del suo tempo: ecco perché furono così innovativi.

Uno dei filoni più noti dell’arte di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528) è la sua produzione di studi di piante e animali, che ancor oggi sorprendono per il loro elevato naturalismo: si tratta di disegni ma anche di opere realizzate ad acquerello (quelle più celebri). Dürer non ebbe tuttavia il primato degli studi sulla natura: l’artista tedesco cominciò a interessarsi a queste tematiche all’incirca verso i trent’anni d’età, tra la fine del Quattrocento e la partenza per il viaggio in Italia nel 1505, ma la natura era diventata fonte d’interesse per gli artisti già almeno dalla metà del XV secolo. Le aree in cui studi di piante e animali si diffusero furono l’Italia settentrionale (pasti pensare alle opere di Pisanello, ma si potrebbe anche andare indietro nel tempo fino al Trecento di Giovannino de’ Grassi), le Fiandre e la stessa Germania, dove operarono alcuni artisti della generazione che precedette quella di Dürer, ovvero Hans Pleydenwurff (Bamberga, 1420 circa - Norimberga, 1472), Martin Schongauer (Colmar, 1448 circa - Breisach am Rhein, 1491) e altri capaci di realistiche descrizioni naturali. Dürer si formò nel solco di questa tradizione, ma i suoi studi della natura si caratterizzano per la sua “ricerca condotta con un nuovo senso di ‘scientificità’”, ha scritto lo storico dell’arte Bernard Aikema nel catalogo della grande mostra su Dürer tenutasi a Milano, a Palazzo Reale, n2l 2018.

“Nella storiografia gli anni attorno al 1500 sono considerati il periodo delle scoperte”, afferma Aikema, “quando l’autorità della grande tradizione scritta (Aristotele, perfino la Bibbia) per la prima volta veniva messa in dubbio da alcune menti illuminate, che la contrapponevano all’evidenza dell’osservazione empirica. Invece di fidarsi ciecamente della verità (eterna, totale, assoluta, indiscutibile, una scatola chiusa) offerta dagli antichi testi canonici, questi innovatori cominciavano a esplorare l’universo con i propri sensi, scoprendo, per l’appunto, un mondo nuovo, che si rivelava basato su un sistema strutturato da regole, da numeri”. La personalità di Dürer, secondo lo studioso, è dunque da considerare grande protagonista di questo momento storico: l’artista tedesco non era un intellettuale, non conosceva il latino, e dalla sua aveva solitamente la propria tecnica, il proprio intuito e la propria curiosità, simile a quella che animò le ricerche di Leonardo da Vinci. L’atteggiamento di Dürer è paragonabile a quello del grande artista toscano: come per Leonardo, anche per Dürer l’arte è un mezzo per indagare la natura (“Grazie all’istruzione tramite la pittura”, affermava l’artista di Norimberga, “la misura della terra, dell’acqua e delle stelle è diventata comprensibile, e la pittura faciliterà questa comprensione per molte altre persone”).

La novità degli studi di piante e animali di Dürer è proprio insita nell’attitudine dell’artista, ed è nei presupposti della sua ricerca che occorre trovare la principale differenza rispetto a un artista come Pisanello, che fu in grado di produrre studi parimenti molto verosimili di animali e fu animato da una curiositas che per certi versi fu simile a quella di Dürer, ma secondo un’ottica ancora legata a schemi precedenti. Per Pisanello, gli studi di animali erano soprattutto grandi repertori che dovevano poi servire a lui stesso e alla sua bottega per trarne motivi che avrebbero poi popolato i dipinti finiti. Diverso è anche il modo in cui Dürer si pone di fronte alla realtà rispetto alla maniera in cui lo facevano i bestiari medievali, raccolte di illustrazioni di animali volte soprattutto a fornire al lettore descrizioni delle caratteristiche simboliche e allegoriche degli animali, o anche rispetto ai trattati di zoologia che si diffusero già nel Duecento e nel Trecento (come il De animalibus di Alberto Magno). “Tali trattati”, ha scritto Annamaria Ducci, “sono in gran parte dipendenti da fonti classiche (Aristotele) o invero arabe (Avicenna), e testimoniano di un atteggiamento proto-scientifico, basato su un’analisi essenzialmente ‘autoptica’ dell’anatomoia, della fisiologia e soprattutto del comportamento delle varie bestie. È quanto si osserva negli esemplari tardivi dei bestiari, redatti in volgare, che indugiano sui dettagli naturalistici delle specie e su digressioni aneddotiche relative al comportamento, pur se spesso tratte dalla novellistica cortese del tempo”.

Albrecht Dürer, Cervo volante (1505; acquerello e guazzo su carta, 141 x 114 mm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)
Albrecht Dürer, Cervo volante (1505; acquerello e guazzo su carta, 141 x 114 mm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)


Albrecht Dürer, Civetta (1508; acquerello e guazzo, 192 x 141 mm; Vienna, Albertina)
Albrecht Dürer, Civetta (1508; acquerello e guazzo, 192 x 141 mm; Vienna, Albertina)


Albrecht Dürer, Ala di ghiandaia (1500 circa; acquerello e guazzo, 196 x 200 mm; Vienna, Albertina)
Albrecht Dürer, Ala di ghiandaia (1500 circa; acquerello e guazzo, 196 x 200 mm; Vienna, Albertina)

A muovere le figure di Dürer è dunque la volontà di trovare una raffigurazione scientifica basata sulla diretta osservazione della natura. L’arte sua e del suo contemporaneo Leonardo da Vinci (i due potrebbero essersi incontrati), ha scritto lo studioso Claudio Salsi, “si pone il compito di definire la realtà visiva delle cose; il disegno, dispiegato con estrema spontaneità in tutte le sue potenzialità segniche, consapevolmente adottate nel loro valore sematico, è il ‘mezzo precipuo che serve a mettere in pratica la vocazione conoscitiva della pittura‘, prima ancora della parola scritta; pur nella diversità di alcune sperimentazioni grafiche, comune è la predisposizione per l’osservazione scientifica della natura, del paesaggio del micro e del macrocosmo”.

Il più noto animale di Dürer è probabilmente il suo Leprotto, firmato e datato 1502, conservato all’Albertina di Vienna: è un acquerello che si distingue, come tante altre opere del tedesco appartenenti allo stesso filone, per il suo elevatissimo grado di realismo. Dürer si concentra soprattutto sulla pelliccia dell’animale, curandosi di rendere con estrema precisione anche il modo in cui il pelo cambia direzione o tonalità di colore e di luce. E, a proposito di luce, il modo in cui l’artista illumina il suo leprotto, con una fonte luminosa che proviene da sinistra, contribuisce anche a infondere una grande vitalità alla composizione, rendendola dunque non soltanto un accurato studio scientifico, ma anche una pregevole opera d’arte (si noti peraltro il riflesso di una finestra nell’occhio della lepre: secondo alcuni è segno che l’artista, nel suo atelier, doveva avere un esemplare vivo che poté studiare per la sua opera). Secondo lo studioso Fritz Koreny, opere come queste sono la prova che Dürer operasse come artista e come scienziato allo stesso tempo. Il Cinquecento è il secolo in cui la scienza inizia a maturare il proprio paradigma descrittivo, e poiché Dürer fece ricorso a osservazioni dirette, che poté approfondire peraltro nel corso dei suoi frequenti viaggi (all’epoca, viaggiare significava percorrere lunghi tragitti nella natura, e in queste occasioni l’artista ebbe sicuramente l’occasione di studiare dal vivo gli elementi naturali che includeva nelle sue opere), secondo Koreny può essere annoverato tra gli “scienziati descrittivi”. La grande fortuna del Leprotto è attestata dalla gran quantità di riproduzioni che già a partire dal XVI secolo l’opera conobbe.

Altro celebre foglio è quello con il granchio marino (della specie Eriphia spinifrons, molto diffusa nel Mediterraneo) conservato al Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam: “un autentico ritratto”, secondo Andrew John Martin. È un’altra raffigurazione veristica: l’artista indugia soprattutto sul carapace dell’animale e sulle sue chele, lasciando invece non visibile la parte laterale di alcune delle zampe. “L’animale, con quegli occhi molto distaccati l’uno dall’altro e le chele”, ha scritto Susanne Christine Martin, “sicuramente deve avere affascinato gli spettatori di allora, che non avevano mai visto un granchio, ma sarà anche apparso loro piuttosto inquietante”. Si tratta per certo di un animale che Dürer studiò dal vero, e non basandosi su opere precedenti (che esistevano: si pensi al celebre Studio di granchio di Leonardo conservato al Wallraf-Richartz Museum di Colonia), e osservando un animale vivo: forse l’artista ebbe modo di vedere un granchio (e di raffigurarlo in azione: il fatto che abbia una delle zampe destre alzate lascia immaginare che si stia muovendo da sinistra verso destra) durante il suo probabile soggiorno a Venezia del 1494-1495. Nella produzione di Dürer non mancano poi studi eseguiti su animali morti, come l’Anitra morta del Museo Gulbenkian di Lisbona, opera probabilmente incompiuta, che raffigura un germano descritto con grande cura da Dürer, soprattutto se si osserva il piumaggio dell’animale. Martin ha messo in relazione l’anatra di Dürer con un’opera del 1504 di Jacopo de’ Barbari (Venezia, 1450 - Mechelen, 1516), una Natura morta con pernice, guanti e freccia di balestra, definita dalla studiosa come un “incunabolo del genere della natura morta”, anche se non è chiaro se si trattasse di un dipinto compiuto oppure di parte di un progetto più ampio: è probabile che Dürer abbia osservato questa (o altre opere simili) di Jacopo de’ Barbari a Venezia e avesse “importato” a Norimberga questo singolare trompe-l’oeil.

Tra gli studi di Dürer figurano anche animali esotici: è famoso per esempio il disegno con lo Studio di due leoni conservato al Kupferstichkabinett di Berlino. Si tratta, anche in questo caso, di animali che l’artista tedesco poté osservare e studiare dal vivo: in tutta l’Europa del tempo esistevano infatti collezioni di animali esotici che venivano tenuti in cattività. Nel diario del viaggio compiuto nei Paesi Bassi (del 1520-1521, anno a cui risale lo studio berlinese), l’artista raccontò di aver visto alcuni leoni a Gent, e di aver visitato uno zoo a Bruxelles dove ebbe modo di ammirare leoni, una lince, alcune scimmie, una capra (furono però soprattutto i grandi felini gli animali che più catturarono la sua attenzione). Non ebbe invece modo di vedere un rinoceronte indiano, malgrado la sua stampa che raffigura questo animale sia una delle sue opere più famose: in questo caso, l’artista si basò sulle testimonianze di chi aveva visto l’animale di persona.

Albrecht Dürer, Leprotto (1502; acquerello e guazzo su carta, 251 x 226 mm; Vienna, Albertina)
Albrecht Dürer, Leprotto (1502; acquerello e guazzo su carta, 251 x 226 mm; Vienna, Albertina)


Albrecht Dürer, Granchio marino (1495 circa; acquerello, 263 x 365 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen)
Albrecht Dürer, Granchio marino (1495 circa; acquerello, 263 x 365 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen)


Albrecht Dürer, Anatra morta (1502-1504 circa; acquerello coprente su pergamena, 224 x 226 mm; Lisbona, Museu Calouste Gulbenkian)
Albrecht Dürer, Anatra morta (1502-1504 circa; acquerello coprente su pergamena, 224 x 226 mm; Lisbona, Museu Calouste Gulbenkian)


Albrecht Dürer, Studio di due leoni (1521; punta d'argento su carta, 121 x 171 mm; Berlino, Kupferstichkabinett)
Albrecht Dürer, Studio di due leoni (1521; punta d’argento su carta, 121 x 171 mm; Berlino, Kupferstichkabinett)


Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1497-1498 circa; bulino, 191 x 124 mm; Collezione privata)
Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1497-1498 circa; bulino, 191 x 124 mm; Collezione privata)

Gli studi di Dürer ebbero un notevole impatto, certificato anche dalle numerose copie e riproduzioni, come detto a proposito del Leprotto. Le sue opere, ha scritto la studiosa Andrea Bubenik, in campo artistico hanno aperto la strada allo sviluppo del genere della natura morta, mentre sul piano scientifico le sue descrizioni animalistiche possono essere viste come precorritrici della zoologia del Cinquecento avanzato. E per tali ragioni, Dürer già all’epoca veniva visto sia come un artista sia come uno scienziato, secondo Bubenik. Sono molti gli artisti che guardarono a lui: si pensi a Lucas Cranach il Vecchio, Albrecht Altdorfer, Lorenzo Lotto, Tiziano, Giulio Campagnola.

Andrew John Smith ha rilevato che Dürer, tuttavia, esercitò la sua influenza non attraverso acquerelli e disegni, o comunque questi fogli giocarono una parte di minor rilievo: venivano infatti mostrati solo a pochi amici, colleghi e visitatori, dunque soltanto un pubblico ristretto poté osservarli e ammirarli. Furono soprattutto i suoi ritratti, i dipinti devozionali, le pale d’altare e soprattutto le incisioni (diffusissime già nel XVI secolo) a diffondere le idee dell’artista (si potrebbe menzionarne una, giusto a titolo d’esempio: la Madonna della scimmia, tipica opera di Dürer in cui il soggetto devozionale è abbinato alla presenza di uno o più animali). Per Dürer, conclude Smith, fu fondamentale “l’abitudine a concentrarsi costantemente sul macrocosmo e sul microcosmo, sui panorami più ampi e sui particolari della natura, sulle cose importanti e su quelle apparentemente insignificanti. Questa percezione sempre cangiante, questo ‘sguardo oscillante’ che Dürer infonde nella sua arte, contraddistingue soprattutto i suoi studi della natura, ma si manifesta anche nei dettagli naturalistici che egli inserisce nelle sue composizioni maggiori. Forse proprio in questo consiste l’arcano che rende questi dipinti particolarmente affini agli spettatori di oggi, fortemente sensibili ai temi della distruzione dell’ambiente e del cambiamento climatico”.

Bibliografia essenziale

  • Bernard Aikema, Andrew John Martin (a cura di), Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, dal 21 febbraio al 24 giugno 2018), 24 Ore Cultura, 2018
  • Andrea Bubenik, Reframing Albrecht Dürer. The appropriation of Art, 1528-1700, Routledge, 2016
  • Annamaria Ducci, Feri leones, immundae simiae, monstruosi centauri. Natura e figura dell’animale nel Medioevo, un profilo, in Alberto Cottino, Andreina D’Agliano (a cura di), Bestie. Animali reali e fantastici nell’arte europea dal Medioevo al primo Novecento, catalogo della mostra (Filatoio di Caraglio, Caraglio, dal 26 febbraio al 5 giugno 2011), Silvana Editoriale, 2011, p. 11-16
  • Katherine Crawford Luber, Albrecht Dürer and the Venetian Renaissance, Cambridge University Press, 2005


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