I lanzichenecchi, i temibili mercenari tedeschi, nell'arte del Rinascimento


Chi erano i lanzichenecchi, i temibili mercenari tedeschi del Cinquecento che ancor oggi godono di una brutta fama? E come furono rappresentati nell’arte del Rinascimento?

“Lanzichenecchi”: ogni volta che in un libro di storia del Rinascimento s’incontra questo termine, solitamente nelle pagine successive non ci si aspetta niente di buono. Chi erano questi famigerati soldati, associati nell’immaginario collettivo alle violente scorribande cui sottoposero l’Italia del Cinquecento durante le loro calate? Perché sono noti, in secondo ordine, anche per le loro vesti sgargianti e coloratissime? Come sono stati rappresentati nella storia dell’arte? La prima compagnia di Landsknecht (il sostantivo da cui deriva l’italiano “lanzichenecchi”) venne formata nel 1487 dall’imperatore Massimiliano I, benché il termine (che deriva da Land, “terra”, “patria”, “regione”, e da Knecht, “servitore”, quindi letteralmente “servitore della terra”) sia precedente e compaia per la prima volta attorno al 1470 per descrivere le truppe di Carlo il Temerario, duca di Borgogna. La storia narra che Massimiliano, prima di diventare imperatore, all’epoca in cui resse jure uxoris il ducato di Borgogna dopo la morte di Carlo il Temerario, ebbe modo di saggiare l’efficacia dei temuti mercenari svizzeri durante il conflitto che oppose la Borgogna alla Confederazione Elvetica tra il 1477 e il 1477 (con sconfitta della Borgogna). Lo stesso Carlo I perse la vita in battaglia contro gli svizzeri, durante l’assedio di Nancy. Massimiliano ritenne opportuno, al fine di proteggere le sue terre, formare un esercito che contasse su unità come quelle della Confederazione: si arriva così al 1487 e alla nascita della prima formazione di lanzichenecchi.

La maggior parte dei lanzichenecchi proveniva dalla Germania meridionale, ed erano solitamente di umile estrazione sociale: erano per lo più contadini o poveri artigiani, ma non mancavano neppure borghesi e aristocratici decaduti, attirati dalla possibilità di ottenere lauti compensi durante le scorrerie a cui sistematicamente sottoponevano le terre in cui combattevano (ma c’erano anche lanzichenecchi che combattevano per puro spirito d’avventura). Erano solitamente organizzati in reggimenti di circa quattromila uomini, reclutati da un committente con una lettera d’incarico in cui, come avveniva per le compagnie di ventura italiane del Quattrocento, venivano disposte le regole d’ingaggio, la struttura del reggimento e la paga, ed erano comandati da un Obrist, che a sua volta stabiliva la catena di comando. Spesso si formavano veri eserciti composti da più reggimenti di lanzichenecchi, che dunque rendevano necessaria la nomina di un Generalobrist, un comandante generale. Nei reggimenti erano presenti anche cappellani, scrivani, medici, tamburini, pifferai, addetti alle paghe e agli alloggi, alfieri incaricati di portare le bandiere, addetti al reclutamento. Le nuove reclute venivano opportunamente addestrate dai Feldweibel, supervisionati da un Oberster-Feldweibel, il sergente maggiore che era responsabile delle esercitazioni. Il loro modo di combattere era simile a quello dei picchieri svizzeri, che nel corso del Quattrocento avevano compiuto di fatto una vera rivoluzione in ambito militare: combattevano con lunghe picche (anche se più corte rispetto a quelle dei mercenari svizzeri: quelle dei lanzichenecchi erano lunghe circa quattro metri, uno in meno rispetto a quelle usati dai Reisläufer elvetici), schierandosi in formazioni quadrate (come i mercenari svizzeri, che a loro volta s’ispiravano alla falange macedone) che contavano una quarantina di uomini, e i più erano anche dotati di una spada chiamata Katzbalger (in italiano “lanzichenetta”) che serviva per il combattimento ravvicinato. I picchieri ricevevano il supporto degli alabardieri e dei soldati dotati di Zweihänder, ovvero gli spadoni a due mani: erano i più esperti e precedevano i quadrati di fanti, col doppio obiettivo di creare un varco tra le linee nemiche e proteggere la falange. Durante le loro prime apparizioni, i lanzichenecchi combattevano in linea retta, ma presto arrivarono a sviluppare anche tattiche di accerchiamento per attaccare gli avversari su più lati.

Una delle prime opere in cui si può vedere la raffigurazione di un lanzichenecco è la Dama a cavallo con lanzichenecco, incisione di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528), del 1497 circa, in cui si assiste a una scena d’amore tra una nobildonna e un mercenario. Si tratta di una scena ironica in cui l’artista indugia sull’inusuale sovvertimento dei ruoli con la donna che, in questo caso, in forza del suo rango più elevato, esercita il suo dominio sull’uomo: lo dimostrano la sua posizione più alta, il fatto che stia indossando il cappello del lanzichenecco, l’imposizione della mano sulla spalla. Non manca inoltre un certo sarcasmo su alcuni elementi, come l’elsa della spada del soldato che, posta in quella posizione, allude in maniera inequivocabile ai suoi appetiti erotici. Molto più realistica è l’incisione del 1524 di Urs Graf (Solothurn, 1485 circa - Basilea, 1529 circa) nella quale due lanzichenecchi approcciano un’amante molto più alla loro portata e molto più tipica, ovvero una prostituta. Entrambe le opere sono tuttavia utili per osservare l’abbigliamento tipico dei lanzichenecchi che, è utile ricordare, non indossavano uniformi (almeno nella maggior parte dei casi) e non avevano segni distintivi per le gerarchie. Ogni soldato era libero di vestirsi come voleva, anche se alcuni indumenti erano molto ricorrenti: una braguette o “braghetta” (in tedesco Latz oppure Hosenlatz), ovvero una sorta di tasca per i genitali, di cuoio o di stoffa colorata, una camicia di lino che veniva coperta con un farsetto sgargiante dalle maniche tagliate a sbuffo (per far apparire più grande la corporatura di chi lo indossava), e poi ancora una calzamaglia molto aderente che poteva essere coperta (come si vede nell’incisione di Graf, mentre il lanzichenecco di Dürer non indossa niente sopra questo indumento) da un paio di pantaloni larghi e bicolori, chiamati Pluderhosen. Ai piedi, come si vede dalle incisioni, i lanzichenecchi portavano ghette di pelle, che andarono progressivamente a sostituire le calzature a punta tipiche della moda tardogotica, e che avevano una suola larga ed erano tagliate sul davanti, a ricordare la forma di una zampa di animale (da cui il nome Bärenklauen, ovvero “artigli d’orso”). Non mancavano comunque lanzichenecchi che indossavano alti stivali. I copricapi potevano avere le fogge più disparate, ma erano quasi sempre vistosi, stravaganti, e decorati con lunghe piume.

Albrecht Dürer, Dama e lanzichenecco (1497 circa; incisione; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Albrecht Dürer, Dama e lanzichenecco (1497 circa; incisione; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Urs Graf, Due lanzichenecchi con una donna e la morte sull'albero (1524; xilografia; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Urs Graf, Due lanzichenecchi con una donna e la morte sull’albero (1524; xilografia; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Daniel Hopfer, Cinque lanzichenecchi (1505-1536 circa; incisione, 202 x 377 mm; Chicago, Art Institute)
Daniel Hopfer, Cinque lanzichenecchi (1505-1536 circa; incisione, 202 x 377 mm; Chicago, Art Institute)

Talvolta, gli indumenti dei lanzichenecchi erano anche molto fantasioso, come si vede in un disegno di Hans Holbein il Giovane (Augusta, 1497/1498 - Londra, 1543) che raffigura il lanzichenecco Christoph von Eberstein, che si presenta con una giacca riccamente decorata, mentre posa con l’alabarda sulle spalle e la sua Katzbalger nella mano sinistra. Lo stesso dicasi per il Lanzichenecco di Lucas Cranach il Vecchio (Kronach, 1472 - Weimar, 1553), che sorprende per le vistose piume che porta sul copricapo e che gli formano una sorta di corona: si tratta, peraltro, di una delle prime incisioni che raffigurano un lanzichenecco da solo (un genere d’immagini che si diffuse agli inizi del Cinquecento).

Quali erano le origini di un modo di vestire apparentemente così strano per soldati feroci quali erano i lanzichenecchi? Intanto, l’abbigliamento era per loro un segno distintivo: più era vistoso, più il soldato si distingueva dagli altri (in aggiunta a ciò, alcuni hanno pensato che i lanzichenecchi, solitamente di umile estrazione sociale, volessero imitare l’abbigliamento sgargiante tipico dei nobili). Inoltre, i lanzichenecchi erano esentati dalle leggi suntuarie che, nella Germania di fine Quattrocento e inizio Cinquecento, obbligavano i cittadini a indossare capi d’abbigliamento che evitassero l’ostentazione: i mercenari erano dispensati dall’obbligo perché la loro vita era solitamente corta e difficile, e si voleva evitare di demotivarli. Potrebbe poi esserci una motivazione d’origine storica: durante le guerre di Borgogna, gli svizzeri erano soliti sistemare le vesti lacerate durante la battaglia con le ricche sete sottratte ai borgognoni (terra nota per i suoi tessuti), e di conseguenza i lanzichenecchi, con le loro vesti colorate, potrebbero aver imitato questa pratica. Tuttavia l’ipotesi più plausibile, ha spiegato lo storico Peter H. Wilson, è quella della moda come elemento distintivo: “è più probabile che lo stile [dei lanzichenecchi] emerse come una forma esagerata di tendenze più generali, stimolate dalla cultura competitiva e appariscente dei soldati”.

È difficile trovare lanzichenecchi nei dipinti (in ragione del fatto che il disegno e l’incisione erano, all’epoca, i mezzi privilegiati per illustrare argomenti di stretta attualità, mentre i dipinti venivano riservati ai generi ritenuti più nobili), ma non impossibile: un esempio è il dipinto della Battaglia di Pavia eseguito da Ruprecht Heller, pittore tedesco attivo verso il 1529, dove si possono vedere lanzichenecchi intenti a combattere con le loro coloratissime vesti. E a proposito della battaglia di Pavia, si possono vedere lanzichenecchi anche nella famosa serie di arazzi fiamminghi dedicata a questo importante scontro avvenuto nell’ambito delle guerre d’Italia: si tratta della battaglia combattuta a Pavia il 24 febbraio 1525 tra l’esercito francese di Francesco I e l’armata imperiale di Carlo V composta da 12.000 lanzichenecchi e 5.000 soldati dei tercios spagnoli, formazioni temutissime perché capaci di combattere in modo moderno utilizzando sia le armi bianche sia le armi da fuoco, e perché composte da soldati professionisti, disciplinati e motivati (erano ritenuti pressoché invincibili). La battaglia venne vinta dagli imperiali che, a fronte di poche perdite, inflissero perdite devastanti ai francesi (che al contrario persero quasi metà delle loro forze). Gli arazzi, oggi conservati al Museo Nazionale di Capodimonte, furono commissionati dagli Stati Generali dei Paesi Bassi come dono da inviare a Carlo V (oppure alla sorella Maria d’Ungheria). Gli arazzi, il cui disegno si deve all’estro del pittore fiammingo Bernard van Orley (Bruxelles, 1491 circa - 1542), mentre la tessitura spettò a Jan e William Dermoyen, forniscono quella che è forse la miglior descrizione a colori dei lanzichenecchi nel primo scorcio del Cinquecento, con una gran varietà di pose e di abiti, con armi e vestiti raffigurati in maniera decisamente fedele alla realtà, e con i soldati in primo piano che vengono connotati individualmente. Si tratta inoltre di un’opera unica, per il fatto che gli arazzi della battaglia di Pavia rappresentarono il primo ciclo di arazzi dedicato a un fatto contemporaneo.

Hans Holbein il Giovane, Disegno per una vetrata per Christoph von Eberstein (1522; penna, inchiostro e pennello, acquerelli grigi, verdi e rossi, su disegno preliminare a matita nera, 291 x 332 mm; Oxford, Ashmolean Museum)
Hans Holbein il Giovane, Disegno per una vetrata per Christoph von Eberstein (1522; penna, inchiostro e pennello, acquerelli grigi, verdi e rossi, su disegno preliminare a matita nera, 291 x 332 mm; Oxford, Ashmolean Museum)
Lucas Cranach il Vecchio, Lanzichenecco (1505; xilografia, 244 x 92 mm; Dresda, Kupferstichkabinett)
Lucas Cranach il Vecchio, Lanzichenecco (1505; xilografia, 244 x 92 mm; Dresda, Kupferstichkabinett)
Rupert Heller, Battaglia di Pavia (1525; olio su tavola, 115 x 128 cm; Stoccolma, Nationalmuseum)
Rupert Heller, Battaglia di Pavia (1525; olio su tavola, 115 x 128 cm; Stoccolma, Nationalmuseum)
Rupert Heller, Battaglia di Pavia, dettaglio con formazioni di lanzichenecchi
Rupert Heller, Battaglia di Pavia, dettaglio con formazioni di lanzichenecchi
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Sconfitta della cavalleria francese. Le fanterie imperiali si impadroniscono delle artiglierie nemiche, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Sconfitta della cavalleria francese. Le fanterie imperiali si impadroniscono delle artiglierie nemiche, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Invasione del campo francese e fuga delle dame e dei civili al seguito di Francesco I, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Invasione del campo francese e fuga delle dame e dei civili al seguito di Francesco I, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Fuga dei civili dal campo francese. Gli Svizzeri si rifiutano di avanzare nonostante gli incitamenti dei loro comandanti, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)
Jan e William Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, Fuga dei civili dal campo francese. Gli Svizzeri si rifiutano di avanzare nonostante gli incitamenti dei loro comandanti, dagli arazzi della Battaglia di Pavia (1528-1531; lana, seta, argento e oro, 440 x 870 cm; Napoli, Museo Nazonale di Capodimonte)

Un episodio particolarmente curioso della storia dell’Italia rinascimentale è quello dei “lanzi della Loggia”, ovvero il corpo di guardia di soldati tedeschi che nel 1541 venne formato da Cosimo I de’ Medici a Firenze: ancor oggi la loggia in piazza della Signoria dove questi soldati si erano acquartierati porta il nome di “Loggia dei Lanzi”. Nel giugno del 1541, il duca di Toscana licenziò la guarnigione di soldati italiani comandata da Pirro Colonna (secondo le cronache, il pretesto fu una partita a briscola persa dall’iracondo comandante, che per la stizza picchiò un nano di corte) e formò la sua nuova guardia, che dev’esser vista anche come una mossa nell’ambito delle operazioni di avvicinamento di Firenze all’impero. Anche se per i fiorentini i soldati che proteggevano Cosimo I e consorte erano nient’altro che i “lanzi”, il manipolo mediceo non era composto soltanto da lanzichenecchi, per quanto tra le loro fila vi fossero militari che avevano prestato servizio come Landsknecht per Carlo V: si trattava perlopiù di Trabanten (“trabanti” in italiano), ovvero soldati di guardia. Il vestiario però era del tutto simile a quello dei lanzichenecchi.

Nei primi cinquant’anni della sua storia, i “lanzi” medicei furono comandati da un capitano (Hauptmann) imperiale, di diretta nomina ducale (o granducale a partire dalla data in cui la Toscana divenne un granducato). Fu a partire dal granducato di Ferdinando I che il capitano cominciò a essere reclutato anche tra le famiglie nobili italiane (il primo, nel 1591, fu l’emiliano Ferrante Rossi di San Secondo), anche se il resto della truppa, per i due secoli in cui la guarnigione dei lanzi rimase in servizio, era composto da soldati tedeschi. Rispetto alla storia negativa che contraddistingue i lanzichenecchi, i lanzi di Firenze ebbero invece una storia pacifica: “dopo la fine delle Guerre d’Italia”, ha spiegato lo storico Maurizio Arfaioli nel catalogo della mostra che gli Uffizi dedicarono nel 2009 ai lanzi, “Firenze riuscì sempre a evitare la minaccia militare diretta” e “sul fronte interno, la solidità del progetto politico e la professionalità della Guardia tedesca fecero sì che, per proteggere la sicurezza e la quiete della famiglia granducale e della corte da minacce e turbolenze sia esterne che interne, all’atto pratico i lanzi potessero limitarsi ad usare le aste o il piatto delle lame delle loro alabarde”. Si trattava di una presenza costante nella Firenze medicea, anche perché la Guardia tedesca, essendo parte del cerimoniale di corte, partecipava a tutti gli eventi pubblici, tanto che il “lanzo” diventò una sorta di figura del folklore fiorentino: “un soldato fedele ma stolido”, spiega Arfaioli, “e, soprattutto, dotato di una prodigiosa sete di vino”. I lanzi di Firenze furono poi dimenticati dopo il Risorgimento, epoca in cui erano visti come gli scherani di un potere tirannico, e la loro memoria sopravvive però nella loggia che ancor oggi porta il loro nome. E, naturalmente, nelle opere d’arte: li si possono vedere, per esempio, in una serie di lunette dipinte all’incirca tra il 1620 e il 1640 da un anonimo fiorentino che dipinse alcuni scorci della città davanti ai quali si tengono alcune cerimonie ufficiali, con i lanzi che scortano i membri della corte (le opere oggi sono nei depositi di Palazzo Pitti), oppure in alcune biccherne conservate presso l’Archivio di Stato di Siena (in una di queste, raffigurante il solenne ingresso di Cosimo I a Siena, avvenuto il 28 ottobre 1560, si assiste a quella che è forse la prima raffigurazione nota della Guardia tedesca, dal momento che la tavoletta fu eseguita in quello stesso anno).

Anonimo pittore fiorentino, Processione in piazza della Signoria (1620-1640 circa; olio su tela, 131 x 311 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore fiorentino, Processione in piazza della Signoria (1620-1640 circa; olio su tela, 131 x 311 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore fiorentino, Processione delle fanciulle giuggioline piazza del Duomo (1620-1640 circa; olio su tela, 132 x 309 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore fiorentino, Processione delle fanciulle giuggioline piazza del Duomo (1620-1640 circa; olio su tela, 132 x 309 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore fiorentino, Processione delle fanciulle turchine in via de' Servi (1620-1640 circa; olio su tela, 145 x 340 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore fiorentino, Processione delle fanciulle turchine in via de’ Servi (1620-1640 circa; olio su tela, 145 x 340 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Depositi delle Gallerie)
Anonimo pittore, Solenne ingresso di Cosimo I in Siena (1560; tempera e oro su tavola, 69 x 78,8 cm; Siena, Archivio di Stato, Biccherna 64)
Anonimo pittore, Solenne ingresso di Cosimo I in Siena (1560; tempera e oro su tavola, 69 x 78,8 cm; Siena, Archivio di Stato, Biccherna 64)

I lanzichenecchi furono protagonisti di alcune delle più importanti battaglie del Rinascimento. In Italia furono impiegati, per esempio, in quella della Bicocca del 1522 e nella già citata battaglia di Pavia del 1525, tutte occasioni nelle quali il loro apporto fu determinante. In Italia divennero tristemente celebri nel 1527, quando calarono di nuovo nel paese e misero a ferro e fuoco Roma, commettendo violenze, uccisioni, stupri, saccheggi (il terribile episodio è passato alla storia come il Sacco di Roma: 14.000 lanzichenecchi, comandati da Georg von Frundsberg, entrarono in città il 6 maggio e, delusi per una campagna militare che fino a quel momento non aveva dato loro i risultati sperati, sfogarono la loro brutalità contro la popolazione inerme, contro i palazzi, contro le chiese). Così, nella sua Storia d’Italia, Francesco Guicciardini descrisse l’inizio del Sacco di Roma: “Entrati dentro, cominciò ciascuno a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all’autoritá e degnitá de’ prelati, ma eziandio a’ templi a’ monasteri alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre. Però sarebbe impossibile non solo narrare ma quasi immaginarsi le calamitá di quella cittá, destinata per ordine de’ cieli a somma grandezza ma eziandio a spesse direzioni; perché era l’anno che era stata saccheggiata da’ goti. Impossibile a narrare la grandezza della preda, essendovi accumulate tante ricchezze e tante cose preziose e rare, di cortigiani e di mercatanti; ma la fece ancora maggiore la qualitá e numero grande de’ prigioni che si ebbeno a ricomperare con grossissime taglie: accumulando ancora la miseria e la infamia, che molti prelati presi da’ soldati, massime da’ fanti tedeschi, che per odio del nome della Chiesa romana erano crudeli e insolenti, erano in su bestie vili, con gli abiti e con le insegne delle loro dignitá, menati a torno con grandissimo vilipendio per tutta Roma”.

Fu soprattutto a seguito di questo episodio che il termine “lanzichenecco” assunse un’accezione negativa: i soldati tedeschi erano altrimenti noti per la loro disciplina, e le scorribande degli anni Venti del Cinquecento furono dovute soprattutto a una serie di ammutinamenti (dovuti a mancati pagamenti) che colpirono l’esercito imperiale tra il 1526 e il 1527. Fino ad allora, i lanzichenecchi non si erano rivelati più sanguinari o più violenti di altri soldati mercenari. E proprio a partire dal disastroso episodio del sacco di Roma, il termine “lanzichenecco” ha assunto una connotazione spregiativa.


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