La lezione di Joseph Beuys: l'arte è scienza della libertà. Ecco perché è così importante


Che cosa voleva dire Joseph Beuys quando affermava che ogni essere umano è un artista? Un fondamentale brano per comprendere l'idea di arte secondo il grande artista tedesco.

Esattamente cento anni fa, il 12 maggio 1921, a Krefeld nasceva Joseph Beuys, uno dei più importanti e influenti artisti del XX secolo. Beuys è passato alla storia per il suo noto slogan secondo cui “ogni uomo è un artista” (oppure “tutti sono artisti”), spesso mal interpretato (intenzionalmente o meno): quello che Beuys voleva dire è che ogni persona può sfruttare la creatività propria dell’essere umano in ogni ambito della sua professione o della sua pratica quotidiana come affermazione della propria libertà. Secondo Beuys l’arte è infatti “scienza della libertà”. In occasione del compleanno del grande artista tedesco, pubblichiamo dunque un brano fondamentale per comprendere questa sua idea, tratto da Joseph Beuys. Cos’è l’arte, edito in Italia da Castelvecchi nel 2015: si tratta della conversazione, risalente al 1979, tra Beuys e l’allora giovanissimo critico Volker Harlan (Dresda, 1938). Ecco dunque perché l’arte è così importante secondo Beuys.

Joseph Beuys
Joseph Beuys (Krefeld, 1921 - Düsseldorf, 1986)

Per tutta la vita sono tornato a più riprese su una stessa domanda: qual è la necessità (ovvero, la costellazione di forze oggettive che agiscono in noi e nel mondo) che giustifica la creazione di qualcosa come l’arte? Questa domanda ha avuto senz’altro un peso determinante nella mia vita, spingendomi a riconsiderare il mio iniziale coinvolgimento nel settore scientifico. Prima del cambio di rotta provocato da questo dubbio, da questa riflessione, avevo infatti iniziato a studiare le scienze naturali, dove ho appreso delle cose sul predominio del paradigma scientifico che mi hanno fatto capire che lì non avrei trovato le mie risposte. Nel mettere in discussione il valore di questo tipo di ricerca quale mezzo per l’esplorazione del vasto campo delle forze in gioco (le forze vitali, della mente, ossia dell’anima, quelle psico-spirituali e le loro forme più nobili), sono giunto per ragioni puramente sperimentali a prendere in considerazione l’ipotesi d’indagare la sfera dell’arte, che nel tempo si era manifestata quale forma d’attività culturale.

Ma intuivo già che neppure lì il mio quesito fondamentale avrebbe trovato una risposta. Poi, durante i miei studi in Accademia, ho scoperto che tale domanda sulla scintilla e sulla fonte dell’arte, sull’esigenza del mondo di progredire ed evolvere tramite l’arte, doveva in definitiva rimanere irrisolta. Scoprii che l’arte aveva seguito una specie di sviluppo parallelo a quello della scienza, un accademismo, con una lunga tradizione risalente al Rinascimento; e che la gente non sapeva più cosa volesse fare esattamente. Da una parte, c’erano insegnanti che mi sembrava affrontassero il problema come anatomisti o chirurghi in sala operatoria: guardavano le cose in maniera mimetica, basandosi solo sull’osservazione di ciò che avevano davanti, riproducendolo nella stessa prospettiva su carta o in forme spaziali; in altre parole, copiando. Dall’altra, c’erano insegnanti che avevano un approccio stilistico radicale. Tuttavia, era molto difficile riconoscere la scintilla e la fonte delle loro intenzioni. Mostravano un indirizzo stilistico che, se vogliamo, derivava dall’«arte astratta», che è un concetto popolare secondo cui anche una forma astratta può essere arte.

Era chiaro che entrambe le posizioni avessero qualcosa a che fare con il mio interrogativo. In tal senso, gli insegnanti che avevo avuto si potevano definire veri artisti. Ma il punto è che le domande fondamentali, cioè, la ricerca fondamentale sull’arte e la sua funzione, non potevano trovare risposte in Accademia. Ciò rafforzò in me la determinazione d’indagare per conto mio. Per ora, basti dire questo. Da allora non ho fatto altro che ricercare, sebbene non possa negare di aver anche, in qualche modo, agitato un po’ le acque in questo campo. Comunque, una cosa mi sembra soprattutto chiara: se questa domanda non diventa centrale nella ricerca e non trova una risposta davvero radicale, che consideri effettivamente l’arte quale punto di partenza per la produzione d’ogni cosa, in qualsiasi ambito di lavoro, allora qualunque idea di ulteriore sviluppo è una perdita di tempo. Se vogliamo ridefinire e riformare la società, bisogna tenere a mente quest’idea (ossia, che ogni opera deriva dall’arte), perché inciderà anche sulle questioni economiche, toccando i diritti umani e legali. Sto usando il futuro perché nel frattempo mi è diventato chiaro, ed è sempre più ovvio, che si tratta di una strada percorribile per compensare gli errori della filosofia o della sociologia dell’ultimo secolo; ad esempio, riequilibrando le tendenze errate in Marx con qualcosa che, andando oltre la sua ortodossia analitica, possa portare a un vero sviluppo olistico del mondo.

Pertanto, siamo proprio dentro la questione della necessità dell’arte, che è senza dubbio anche la questione della libertà. Se vogliamo occuparci di tali cose, dei problemi dell’umanità, del potenziale insito in tali forze e perciò anche della domanda d’energia, inclusa l’energia tecnologica (oggigiorno così urgente e importante... ), se vogliamo rispondere a questa domanda, allora dobbiamo porla come questione di energia in senso lato).

Pertanto bisogna fare immediatamente il punto della situazione, redigere un inventario di tutte le energie presenti che rispecchi davvero ciò che è disponibile. Oggi si trascura molto spesso il fatto che gli esseri umani dispongono di un tipo differente d’energia da quella che avevano duecento o cinquecento o mille anni fa; che oggi stanno emergendo in noi le energie della libertà e che è proprio questo il momento in cui si può parlare d’arte – che è, per così dire, una specie di scienza della libertà. Una volta fatto il bilancio delle riserve mondiali, tutto deve orientarsi verso questa nuova situazione energetica. Ciò implica il riconoscimento di una nuova espressione d’energia esistente nel mondo, rappresentata dall’essere umano, il che costituisce una novità anche per l’essere umano stesso – tralasciando per il momento i legami spirituali che tale energia intesse con altre reti di forze individualizzate nel mondo. E sebbene ciò sia un dato di fatto, in effetti è ancora da assimilare, nonché praticare, insegnare e studiare. Così, prima di tutto, c’è l’arte come scienza della libertà, quindi, di conseguenza, c’è l’arte in ogni cosa come produzione primaria o come produzione originale.

Ora, a molti l’idea sembra troppo elevata; tanti obiettano che non tutti possono essere artisti. Ma è proprio questo il punto: far sì che l’idea riaffermi l’essenza dell’essere umano, cioè l’essere umano quale espressione di libertà che incarna l’impulso evolutivo del mondo, lo perpetua e lo sviluppa ulteriormente. Siamo allora di fronte a un concetto antropologico, piuttosto che al tradizionale concetto piccolo-borghese dell’arte oggi vigente. Questo complica la discussione, dal momento che bisogna parlare su due livelli: da una parte, bisogna parlare di quello che ci è stato tramandato dal passato, di quello che i nostri avi hanno prodotto e che adesso, se non lo superiamo, rischia di diventare un peso morto; e dall’altra, bisogna proiettarsi in modo preliminare, anticipatorio, nel futuro. Il che è spesso problematico, dovendo parlare simultaneamente su entrambi i livelli nello stesso modo in cui, si potrebbe dire, il nuovo cresce in seno al vecchio.

[...]

C’è un punto critico particolare che è dove le cose si guastano: questo nodo è la nostra idea del lavoro. Quest’idea è legata a quella di arte, ma non ne è più permeata, così come non la permeano i concetti di creatività e responsabilità: ciò è impossibile nel genere di sistema in cui viviamo. Anche volendo, non ci si può assumere la responsabilità reale delle proprie azioni, dal momento che tutto avviene, potremmo dire, dall’alto verso il basso. Si può cambiare, ma bisogna lavorare per farlo, maturando un interesse sincero per rimettere a posto le cose – cose talmente degenerate e caotiche da far affondare il mondo. Perciò il fatto che queste pietre siano così importanti per noi è in pratica collegato al problema delle centrali atomiche.

Sì, la penso così. Esiste una specie di connessione profonda: un difetto di riflessione autentica, un desiderio compulsivo di smerciare e vendere cose. Qualcuno è stato senz’altro molto ansioso di vendere queste pietre; ma non si è riflettuto sul fatto che dovesse trattarsi proprio di queste pietre o che dovessero avere proprio questa forma. È un processo automatico, per cui i costruttori assumono gli operai, i piastrellisti reclutano qualcun altro e così via. Tutto questo potrebbe essere interrotto, guadagnandone in efficienza e produttività sul lavoro.

Il concetto di crescita economica, assieme al concetto di capitale e ciò che ne consegue, non rendono davvero il mondo più produttivo. No. Il concetto di arte deve rimpiazzare il concetto degenerato di capitale: l’arte è il vero capitale e la gente deve prenderne coscienza. Denaro e capitale non possono rappresentare un valore economico; dignità e creatività umana sono il capitale. E di conseguenza dobbiamo sviluppare un’idea di denaro che sostenga la creatività o di arte che sia, per così dire, capitale. L’arte è il capitale. Non è un’utopia; è la realtà. In altre parole, il capitale corrisponde all’arte. Il capitale è la capacità umana e ciò che da essa deriva. Allora, qui sono in gioco solo due organi o due relazioni polari, da cui nasce il prodotto: creatività e intenzione umana. Questi e non altri sono i veri valori economici. Non il denaro. Tuttavia, il nostro concetto di capitale implica l’intromissione di un valore economico che rovina tutto, perché fa dipendere l’economia dal profitto, dallo sfruttamento, ecc.

Esiste solo la capacità umana e ciò che ne scaturisce; e questa può sempre essere discussa e analizzata in un dialogo costante tra le persone e condotta verso una produttività sconfinata che costruisca e ricostruisca il mondo; e che in certe circostanze costruisca un intero nuovo universo, anziché distruggerlo. Il sistema attuale non riguarda la crescita; «crescita» è solo il nome che le danno. In effetti, si tratta di un processo di diminuzione e contrazione. Perché la crescita apparente progredisce in realtà come un tumore; si tratta infatti di un processo letale. Per questa ragione non è assolutamente un processo produttivo, né tantomeno si può parlare di crescita. Non c’è crescita; solo proliferazione additiva, cancerosa, di alcuni interessi che la gente non controlla più. Ma noi possiamo controllarli. Dipende da noi. Non sta ai politici; è inutile prendersela con loro. Magari non hanno sempre le migliori intenzioni, ma ce ne sono di veramente motivati. Tuttavia è consentito loro di fare come gli pare, non vengono mai ripresi, né spinti a prendere parte a un dialogo. In altre parole, se le cose vanno male bisogna accusare solo se stessi e nessun altro.


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