Uno splendido inedito di Louis Finson: la sua Maddalena convertita, esposta a Treviso


La mostra sulla Maddalena a Treviso espone uno splendido inedito di Louis Finson, una Conversione della Maddalena riscoperta dall’antiquario Giorgio Baratti e attribuita al pittore fiammingo da Gianni Papi. È un’opera preziosa, che ci aiuta a far luce sui rapporti tra Finson e Caravaggio.

Un splendido inedito di Louis Finson (Bruges, 1580 – Amsterdam, 1617), una bella Conversione della Maddalena che si mostra per la prima volta al pubblico in occasione d’una mostra dedicata proprio al tema della santa peccatrice, Maddalena e la croce. Amore sublime, in programma al Museo Civico di Santa Caterina di Treviso dal 5 aprile al 13 luglio 2025, a cura di Fabrizio Malachin e Manlio Leo Mezzacasa. È una novità importante, anche se l’opera non è del tutto nuova agli studiosi: era passata in asta da Dorotheum nel 2008, con attribuzione ad Angelo Caroselli e stima tra i 20 e i 30mila euro. Poi era sparita dai radar fino all’autunno dello scorso anno, quando l’antiquario milanese Giorgio Baratti l’ha esposta per la prima volta, nell’ambito della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze. E poi, a Treviso, il suo primo inserimento in una mostra.

La Conversione della Maddalena proveniente dalla Collezione Giorgio Baratti è un dipinto di rara intensità e sorprendente bellezza: a restituirla alla mano del maestro fiammingo è stato Gianni Papi, autore della scheda critica conservata nell’archivio del proprietario. Non si tratta solo di un importante tassello nella ricostruzione del percorso artistico di Finson, ma è anche una testimonianza pregnante del momento in cui il pittore, ancora avvolto dalle fascinazioni fiamminghe, si apre ai bagliori del naturalismo caravaggesco.

Ci troviamo davanti a una Maddalena sontuosa, ambientata non nel deserto né in una spelonca ma, fatto che potrebbe apparire insolito, in un camerino elegante, ricco di arredi raffinati, argenterie, tessuti preziosi. Lontana dall’immagine della santa penitente immersa nell’austerità, questa Maddalena è ancora una creatura mondana, opulenta, vestita di un abito di velluto rosso dai larghi panneggi, con una cintura in damasco dorato a cingerle i fianchi e una scollatura generosa che rivela, senza provocazione, parte del corpo nudo. Eppure, è proprio in questo contesto lussuoso che si consuma il dramma interiore della conversione, ed è la ragione per cui è forse più appropriato riferirsi al soggetto come a una Maddalena convertita invece che a una Maddalena penitente. Maria Maddalena è colta nell’atto di strapparsi le collane, di liberarsi dei monili che le adornano il capo, mentre con lo sguardo già rapito guarda verso l’alto. A terra, i primi gioielli giacciono come simboli abbandonati della vanitas, della caducità della vita, di una esistenza fondata sull’apparenza e sul piacere. Il gesto è risoluto, ma non teatrale: le mani raccontano il cambiamento, con una che strappa e l’altra che si posa sul petto, in un gesto di riconoscimento e riverenza.

Louis Finson, Conversione della Maddalena (1604-1605 circa; olio su tela, 151 x 124 cm; Milano, Collezione Giorgio Baratti)
Louis Finson, Conversione della Maddalena (1604-1605 circa; olio su tela, 151 x 124 cm; Milano, Collezione Giorgio Baratti)
Lo stand di Giorgio Baratti alla BIAF 2024 con la Maddalena di Finson sulla sinistra. Foto: Claudio Giusti
Lo stand di Giorgio Baratti alla BIAF 2024 con la Maddalena di Finson sulla sinistra. Foto: Claudio Giusti

Per la pittura del tempo, non si tratta di un soggetto così insolito, sebbene decisamente meno frequente rispetto alle raffigurazioni della santa in penitenza dentro alla grotta, nuda o con abiti logori. Per rendersene conto è sufficiente constatare la selezione della stessa mostra di Treviso che ha esposto la Maddalena di Finson: si può notare la sproporzione tra i dipinti dedicati al tema della santa penitente e quelli in cui invece è raffigurato il momento della conversione (quello di Finson è l’unico dipinto con questo soggetto). Ci sono comunque altri casi invero anche famosi di Maddalene convertite: basti pensare al celebre dipinto di Caravaggio, Marta e Maria Maddalena, conservato a Detroit, oppure, per trovare un’immagine di Caravaggio forse ancor più vicina al dipinto di Finson, la Maddalena della Galleria Doria Pamphilj di Roma, dipinto in cui la santa appare inginocchiata su di un pavimento, dentro una camera immersa nella penombra e illuminata soltanto da un raggio di luce che taglia l’angolo superiore della scena (espediente simile a quello della Vocazione di san Matteo), mentre attorno a lei collane di perle, bracciali e monili d’oro sono gettati a terra come segno di disprezzo per le cose mondane. Ancora, altro dipinto famoso è quello di Artemisia Gentileschi conservato a Palazzo Pitti.

Tra i dettagli più intensi dell’opera di Finson, ha notato Fabrizio Malachin che ha compilato la scheda nel catalogo della mostra trevigiana, c’è quel piede che emerge dalla veste, appena visibile ma carico di significato: è il simbolo di un passo, di un movimento verso una nuova vita. L’iconografia è classica, ma Finson la carica di umanità e sensualità, senza cadere mai nel compiacimento. Il volto della Maddalena, incorniciato da morbidi boccoli castani e rigato dalle lacrime, è assorto, mesto, quasi già oltre la scena. È il volto di una donna che ha compreso, che ha scelto, che è in cammino. Il gesto della santa, colta mentre tira via dalla sua chioma il prezioso diadema che le orna il capo, è quanto di più eloquente il pittore potesse immaginare per trasmettere l’idea della rinuncia alle cose terrene. “La santa”, scrive Malachin, “ha l’aspetto di una donna avvenente, elegante come poteva essere una dama di alto rango, con un sontuoso abito di velluto rosso e un pregiato drappo damascato dorato a cingerle i fianchi; un abito dagli amplissimi panneggi, con una generosa scollatura che, con noncuranza, mostra parte del corpo nudo (si rinvia al saggio di apertura sull’argomento del nudo in relazione allo stato del processo di redenzione raggiunto). Non c’è nulla di provocatorio, tanto più che dalla veste lussuosa spunta un piede, simbolo di un proposito di movimento, di cammino, di rinuncia; proposito che viene confermato dalla postura delle mani, l’una sul petto, come in atto di riconoscere i propri peccati e di atteggiamento riverente, e l’altra a strappare le collane”.

Caravaggio, Marta e Maddalena (1598-1599 circa; olio su tela, 100 x 134,5 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts, dono Kresge Foundation e Mrs. Edsel B. Ford, inv. 73.268)
Caravaggio, Marta e Maddalena (1598-1599 circa; olio su tela, 100 x 134,5 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts, dono Kresge Foundation e Mrs. Edsel B. Ford, inv. 73.268)
Caravaggio, Maddalena penitente (1597; olio su tela, 122,5 x 98,5 cm; Roma, Galleria Doria Pamphilj)
Caravaggio, Maddalena penitente (1597; olio su tela, 122,5 x 98,5 cm; Roma, Galleria Doria Pamphilj)
Artemisia Gentileschi, Conversione della Maddalena (1620 circa; olio su tela, 146,5 x 108 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, inv. 1914 n. 142)
Artemisia Gentileschi, Conversione della Maddalena (1620 circa; olio su tela, 146,5 x 108 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, inv. 1914 n. 142)

L’impaginazione dell’opera rivela un debito chiaro con Caravaggio, che proprio in quegli anni Finson conobbe a Napoli. L’uscita della figura dal buio dello sfondo, l’illuminazione che modella il volto e i panneggi, tutto parla di un naturalismo ancora in divenire, più suggestione che imitazione. Rispetto alla Maddalena del Merisi oggi alla Galleria Doria Pamphilj, che ritrae una prostituta pentita in un ambiente spoglio e dimesso, Finson resta ancorato a un’estetica più sontuosa, di carattere fiammingo, uno stile che deve ancora sciogliersi del tutto nell’urgenza drammatica del realismo caravaggesco, per quanto sia possibile immaginare già un contatto col pittore lombardo, perché nell’opera di Finson la tensione verso la verità è già presente, ed è proprio in questo equilibrio tra mondanità e redenzione, tra sensualità e spiritualità, che l’opera trova la sua forza. La Maddalena di Finson non è ancora la figura scarnificata dalla penitenza, ma è una donna al culmine del suo percorso interiore, nel momento cruciale della scelta.

Attribuita con sicurezza, come detto, da Gianni Papi, la tela precede, secondo lo studioso, l’incontro diretto tra Finson e Caravaggio a Napoli, ponendosi così come uno snodo fondamentale nella comprensione dell’evoluzione stilistica dell’artista fiammingo. Finson, noto a molti come copista del Merisi, è in realtà ben più di un imitatore, o persino di un epigono: nella Maddalena convertita, il suo linguaggio personale si manifesta attraverso la raffinatezza dei panneggi, la cura per l’acconciatura, la compostezza delle pose, che trovano corrispondenze con opere certe come l’Allegoria dei cinque sensi di Braunschweig o la Venere e Amore conservata in una collezione privata francese.

Louis Finson, Allegoria dei cinque sensi (olio su tela, 141 x 189 cm; Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum)
Louis Finson, Allegoria dei cinque sensi (olio su tela, 141 x 189 cm; Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum)
Louis Finson, Venere e amore (olio su tela, 106 x 117,5 cm; Collezione privata)
Louis Finson, Venere e amore (olio su tela, 106 x 117,5 cm; Collezione privata)
Louis Finson, San Sebastiano (olio su tela, 133 x 91,5 cm; At Whitfield Fine Art)
Louis Finson, San Sebastiano (olio su tela, 133 x 91,5 cm; At Whitfield Fine Art)
Louis Finson, Giuditta e Oloferne (1606-1607; olio su tela, 144 x 173,5 cm; Tolosa, Collezione privata)
Louis Finson, Giuditta e Oloferne (1606-1607; olio su tela, 144 x 173,5 cm; Tolosa, Collezione privata)

Il dipinto per Malachin “è pregno di quel gusto neerlandese per una pittura mondana e sensuale, con un certo primo contatto con il naturalismo del Merisi che Finson incontrò a Napoli intorno al 1604: quel naturalismo che emerge lampante in opere come San Sebastiano di Whitfield o il Caino e Abele” conservato a Magonza. Non è un caso che Papi colleghi questa Maddalena al periodo immediatamente precedente alla realizzazione, in collaborazione con Caravaggio, della discussa Giuditta e Oloferne di Tolosa: un’opera che rappresenterebbe il frutto più diretto dei contatti tra Finson e Merisi che peraltro per qualche periodo ebbero a condividere lo studio, se non addirittura l’abitazione.

In questa Maddalena, dunque, possiamo leggere l’avvio d’un percorso di penitenza per la donna raffigurata dall’artista, mentre dal punto di vista di quest’ultimo ecco che si palesa la soglia che separa l’artista copista dall’artista interprete, capace di fondere mondanità e spiritualità, sensualità e redenzione, con una cifra stilistica autonoma. È un affresco psicologico, un manifesto di transizione, un’opera che risuona di tensione morale, ancora abbracciata alle forme eleganti del Nord, ma già pronta ad accogliere le ombre rivelatrici della Roma che aveva assistito alla rivoluzione di Caravaggio.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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