Una spiaggia che si colora di suoni. La “Mareggiata” di Moses Levy


Moses Levy (Tunisi, 1885 - Viareggio, 1968) è stato un pittore versatile ed eclettico, ed è noto per esser stato l'artista della Versilia: le sue spiagge, come quella di “Mareggiata”, sono immagini iconiche delle estati al mare.

Ci son quadri da ascoltare, oltre che da vedere: quadri che hanno una potenza evocativa così forte da portarci a immaginare le voci e i rumori di quel che il pittore ha deciso di farci vedere sulla tela. La forza sinestetica dei quadri di Moses Levy forse non è la prima qualità che gli s’associa, ma quando s’ammira uno dei suoi dipinti, specie quelli eseguiti nella prima felice stagione della Versilia, tra il 1918 e il 1924, pare quasi di sentire i suoni di ciò che vediamo. Un lungomare affollato la sera. Una conversazione in un caffè. Il tram che corre lungo le strade della Viareggio amata e cantata dall’artista. E le spiagge, naturalmente: quando s’ammira la Mareggiata del 1920, ch’è uno dei quadri balneari più noti del grande artista che ha legato il suo nome a quello di Viareggio, è come esser sulla spiaggia. Certo: Moses Levy è stato un pittore eclettico, versatile, capace di cimentarsi sui soggetti più disparati riuscendo sempre a trasformare tutto in poesia. Tunisino per nascita, inglese per nome, italiano per cultura, ebreo per religione e cosmopolita per mentalità: un artista simile, che per giunta viaggiò a lungo e per tutta la vita s’aggiornò di continuo sulle novità della pittura europea, non poteva rimanere inchiodato a un unico genere. Ma è indubbio che le spiagge siano i suoi soggetti più famosi, e che la sua arte abbia contribuito in maniera rilevante a formare nel nostro sentire una ben precisa immagine della Versilia.

Riccardo Mazzoni di recente ha parlato di “mitopoiesi della spiaggia e della vita viareggina”, ripercorrendo le tappe dell’elaborazione dell’epopea di quella Versilia in cui Moses Levy scoprì il suo mondo: le giornate sotto gli ombrelloni, i bagni in mare, i luoghi di ritrovo dell’alta borghesia in vacanza, le serate ai giardini del Kursaal, le feste in maschera, le orchestrine che intrattengono gli avventori dei ristoranti, le folle che passeggiano sui viali a mare. L’estate in Versilia è un rito e Moses Levy è il suo officiante. “È quando l’estate nuda conduce in ritmo la danza delle sue ore d’ambra sotto i pini o armonizza la spiaggia, con i carichi verdazzurri dell’acqua”, scriveva Elpidio Jenco nel 1923, “che Moses si libera ai suoi inni pieni di gola. Allora l’artista è nella sua plenitudine, e ferve insieme di tutte le possibilità emotive e rappresentative che differenziano la sua opera fra mille”.

Moses Levy, La mareggiata (1920; olio su tela, 60 x 120 cm; Collezione privata)
Moses Levy, La mareggiata (1920; olio su tela, 60 x 120 cm; Collezione privata)

E le possibilità emotive e rappresentative di Moses Levy sono davvero infinite. La sua arte è una “laus vitae spontanea e melica elevata al cielo sereno e azzurro dalle lunate spiagge del Tirreno”, avrebbe scritto Carlo Ludovico Ragghianti nella sua monografia del 1975. Nella fase della sua carriera dove questa lode alla vita tocca il proprio culmine, le spiagge di Levy celebrano la Viareggio che viveva un frangente forse irripetibile, l’apice del suo splendore mondano, il momento in cui era indiscussa capitale del turismo estivo, capace d’attirare vacanzieri anche illustri da ogni angolo d’Europa. Ma al contempo questi quadri sono anche istantanee di giornate sulla spiaggia che si susseguono ogni giorno identiche, in un continuo e felice ripetersi a cui Levy ha inneggiato con dipinti che anch’essi ci appaiono spesso simili e ripetitivi, ma che ci avvolgono con una sfrenata festa di colori freschi e cristallini, coi loro guizzi rapidi e improvvisi, con le loro costruzioni spaziali semplici. Sono gli elementi che caratterizzano anche la Mareggiata del 1920.

È un dipinto conservato in una collezione privata di Viareggio, ma ha una lunga storia espositiva: difficile che una mostra su Moses Levy ne faccia a meno, perché è una delle tele che meglio rappresentano la produzione del periodo più noto e familiare del pittore della Versilia, e anche perché è uno dei massimi risultati dell’artista sulle opere di grande formato. Raffigura, con quella semplicità estrema ma non banale che caratterizza i dipinti di questi anni, una giornata di mare mosso sulla spiaggia di Viareggio. Il taglio, coi piani perfettamente orizzontali e la linea dell’orizzonte che supera del doppio le figure in piedi sulla battigia, è irrealistico, ma quel che conta non è presentare una fotografia agli occhi dell’osservatore: ciò che importa davvero a Moses Levy è restituirgli il senso, la spensieratezza, l’emozione d’una giornata al mare. E per facilitarci il compito, Levy studia un dipinto che appare ai nostri occhi come una specie di palcoscenico della realtà, un teatro schietto e genuino dove i figuranti non sanno d’esser tali.

Il mare è reso con diverse gradazioni d’azzurro, com’è quando il vento lo agita: un blu cobalto in lontananza che diventa un celeste sporco vicino alla spiaggia. Lo spumeggiare delle onde si dispone lungo linee orizzontali con tocchi di colore bianchi e soffici che si perdono in minuscoli filamenti lungo le increspature del mare. Nel mezzo, i bagnanti. Sono un colorato mosaico: è l’impressione che si ricava da pressoché tutti i dipinti di spiaggia di Moses Levy, prodotto d’un periodo in cui l’artista elaborava una personale maniera neodivisionista aggiornata sul sintetismo di Matisse e dei fauves.

Levy dispone i bagnanti a gruppi che seguono lo sciabordio, mentre si divertono a tuffarsi, a nuotare, a gettarsi sotto i cavalloni. Ce n’è qualcuno che sembra si stia preparando a prendere le onde, come si dice da queste parti: si osserva il mare in attesa dell’onda buona, si aspetta il momento in cui la cresta ha raggiunto la sua massima altezza, stando però attenti a far sì che non sia troppo elevata da impedire lo slancio con le gambe, e poi ci si tuffa rivolti verso la riva, lasciandosi trasportare dalla corsa del maroso. Solitamente tra amici si fa a gara a chi arriva più vicino alla spiaggia. E tra i bagnanti spuntano poi anche alcuni pattini: ce n’è uno che sta prendendo il largo, un altro che invece fa ritorno sulla riva, con un uomo già sceso che lo sta spingendo. Poi, i bambini, le mamme sulla battigia che li guardano a vista, le amiche che chiacchierano, tutte con la cuffia da bagno come era d’uso consueto al tempo. C’è tutto il campionario tipico d’un pomeriggio d’agosto al mare.

E, si diceva, sembra di ricavare sensazioni uditive dalle pennellate di Levy. Lo scrosciare incessante delle onde, le grida di gioia dei bambini, i richiami delle mamme che cercano di farli uscir dall’acqua, il vociare della variopinta schiera dei bagnanti e il tonfo sordo dei loro tuffi, le sferzate dei flutti sul pattino. Le vedute balneari di Moses Levy si colorano di suoni. È la forza d’una pittura sprigionata da una tavolozza immersa nella piena realtà, e la realtà si percepisce anche attraverso voci e rumori. Ma è una realtà mediata, propria d’un artista moderno che esalta “l’autonomia della resa della forma e del colore”, come ha giustamente fatto notare Alessandra Belluomini Pucci. Levy disegna e dipinge dal vero, e si considerava, per sua stessa ammissione, un uomo nato con la tavolozza in mano. Levy opera una sintesi libera, festante, radiosa e felice tra realtà e avanguardia. Levy, scriveva Alessandro Parronchi, “non sacrifica mai completamente all’istinto”, ma “compone, equilibra, in una misurata e penetrante osservazione del vero”. Aggiungendo così alla pittura di quel tempo “alcune pagine da cui non si mancherà di trarre felici derivazioni”.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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