Artissima: vendere in fiera non è necessariamente una buona notizia


Vendere in una fiera d’arte è una buona notizia? Non necessariamente: l’arte non dovrebbe essere solo decorazione per il caminetto, ma testimone di modalità e attitudini di valore che si possano applicare concretamente nella nostra vita. Avviene sempre così? L’opinione di Luca Rossi.

Non ci crede nessuno, ma l’arte contemporanea potrebbe essere un modo per allenare nuovi occhi. Il problema è che in mostre, fiere e biennali vediamo sempre le stesse opere, omologate, intercambiabili ammiccanti, cosine strane, pittura surreale, oggetti insoliti elaborati dal mercatino dell’antiquariato sotto casa. Questo avviene perché non ci sono mai tempi e luoghi di semina ma solo luoghi di raccolta esasperata e perché nella fase formativa, in cui tentano di infilare forzatamente anche la semina, non esiste un confronto critico aperto che dovrebbe alimentare la formazione degli artisti e la divulgazione come spazio di opportunità per interessarsi e appassionarsi all’opera.

Il fatto di vendere le ultime generazioni in fiera (gli artisti emersi negli ultimi 25 anni), non è necessariamente una buona notizia. È come se in un supermercato i prezzi venissero moltiplicati per 15 o per 20, e ci fossero persone che li comprassero ugualmente. Se l’arte è solo il decoro del caminetto, oggi, con l’intelligenza artificiale e migliaia di contenuti a disposizione di ognuno di noi, possiamo divertirci autonomamente e fare noi le opere. D’altronde fotografiamo, riprendiamo, pensiamo come creare l’ennesimo contenuto sui social, abbiamo un’attitudine da autori e allora facciamolo fino in fondo anche per il caminetto.

Lo stand di Galleria Zero ad Artissima 2025 con le sculture di Michael E. Smith e Francesco GennariFoto: Perottino-Piva-Castellano-Bergadano / Artissima
Lo stand di Galleria Zero ad Artissima 2025 con le sculture di Michael E. Smith e Francesco Gennari. Foto: Perottino-Piva-Castellano-Bergadano / Artissima

Bisogna comprare opere che siano testimoni di modalità e attitudini di valore che possiamo portare fuori dal museo e applicare concretamente nella nostra vita. Ormai intorno alla fiera si crea una “biennale diffusa” con migliaia di opere da vedere in poco tempo e in poco spazio. Ad Artissima mi è piaciuto lo stand di Galleria Zero con due sole opere e due artisti a fuoco: Francesco Gennari e Michael E. Smith. Solo due opere, proprio perché qualsiasi cosa buttiamo nel caos della fiera rischia di essere travolta e di non essere vista, quindi ci vuole coraggio e intelligenza per fare una scelta di questo tipo. Ma se il gallerista è veramente convinto dei valori la scelta paga perché in questo modo conferisce respiro alle due opere.

Ma siamo sempre al limite perché la pretesa, anche nel migliore dei casi, è quella di seminare e raccogliere allo stesso tempo in un luogo, la fiera, che sarebbe utile solo alla raccolta. Non possiamo pretendere un buon raccolto se prima non ci sono tempi di semina, ma prima della fiera c’è sempre un’altra fiera.

Pochi giorni fa ha inaugurato la Quadriennale di Roma e sembrava di stare in una fiera malcelata, dove troviamo le stesse cose che troviamo in una fiera. Ma questo avviene anche a livello internazionale con le biennali, le manifesta e le documenta. Non solo non esiste un confronto critico che possa allenare attitudini modalità per gli artisti, ma non esistono mai luoghi dove l’artista possa sperimentare senza le pressioni del mercato. Questa necessaria assenza di qualità viene poi pagata durante le fiere dove i galleristi, anche per sopportare i costi di partecipazione, devono poi gonfiare le opere di valore in modo arbitrario: il fatto di venderle non è necessariamente una buona notizia. Per capire come vanno le cose basta fare un giro in fiera con un occhio sincero e onesto. La situazione da molti anni è sotto gli occhi di tutti, il “re è nudo”, ma nessuno ha il coraggio di guardarlo negli occhi e dirgli che bisogna cambiare qualcosa.


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