C’è una sezione, nel Dossier d’Art di Maurizio Calvesi su Caravaggio (Michelangelo Merisi; Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610), un testo del 1998 edito da Giunti, che non può non attirare l’attenzione: a pagina 13 della monografia infatti troviamo un paragrafo, che occupa ben una pagina e mezza, nel quale Calvesi decide di fare il punto sull’omosessualità di Caravaggio (o presunta tale, secondo lo storico dell’arte). Si parte subito male, fin dal titolo del paragrafo: Le pretese devianze sessuali. Ora, potremmo discutere ore sul concetto sociologico di devianza applicato all’omosessualità, ma siccome da più parti e molto spesso l’espressione devianza sessuale viene associata, a sproposito e senza cognizione di causa, al termine parafilia (termine usato in ambito medico, con cui si indicano dei ben precisi disturbi psichici), e talvolta la si usa anche come sinonimo di parafilia, Calvesi avrebbe potuto mostrare più delicatezza evitando di utilizzare l’espressione devianza sessuale. Anche perché, del resto, la sua monografia su Caravaggio non è un trattato di sociologia, dunque la maggior parte di coloro che la leggono non sono specialisti e potrebbero percepire fin dal titolo del paragrafo che l’omosessualità potrebbe essere vista come un disturbo della psiche (inutile discutere di quanto sia obsoleto e soprattutto offensivo nei riguardi degli omosessuali questo modo di pensare).
Nella sua bizzarra trattazione del tema, Calvesi cita diverse fonti che secondo lui potrebbero instillare in chi le legge l’idea che Caravaggio potesse essere omosessuale (e quale sarebbe il problema semmai?) per poi ovviamente confutarle, anche se nella totalità dei casi con argomentazioni non meno dubbie e vacillanti rispetto a quelle di un ipotetico sostenitore del Caravaggio gay. Come quella secondo cui “quanto al Caravaggio, abbiamo notizia di almeno due relazioni femminili, con una certa Menicuccia e una certa Lena”... non si capisce bene perché secondo Calvesi le relazioni con due persone del sesso opposto dovrebbero, a prescindere, escludere che Caravaggio fosse stato omosessuale, ma non importa, così come non importa analizzare le singole argomentazioni, visto che sono più o meno tutte dello stesso tenore e che non mi interessa discutere della sessualità di un artista (che senso avrebbe?). Quello che importa è arrivare alla conclusione, che non può essere che questa: “la presunta omosessualità del Caravaggio, utile ad aggiungere un tocco al quadro del suo maledettismo, è probabilmente solo un abbaglio”.
Abbaglio o no, se si nutre una passione per la storia dell’arte o qualora si studi la storia dell’arte, per quale motivo si dovrebbe essere interessati a conoscere quale fosse l’orientamento sessuale del Caravaggio? Da eterosessuale, i suoi dipinti diventerebbero tutt’a un tratto più belli e più rivoluzionari e viceversa il suo essere gay sminuirebbe l’importanza dell’artista? Credo che l’orientamento sessuale non tolga e non aggiunga alcunché al genio del pittore: dato questo assunto, davvero non comprendo per quale motivo Calvesi abbia dovuto lanciarsi in una così sperticata difesa dell’eterosessualità dell’artista (eterosessualità, beninteso, non meno presunta della sua omosessualità: e questo non per discutere della sessualità del Caravaggio ma per discutere delle argomentazioni di Calvesi).
Un paragrafo come quello di cui si è parlato non sembra mostrare rigore, né sostenere in modo serio, solido e documentato alcuna tesi, rischia di essere irriguardoso nei confronti degli omosessuali il cui orientamento è peraltro bollato come devianza (e sull’opportunità di evitare l’utilizzo di questo termine si è già discusso), e soprattutto, dato che l’opera è di carattere divulgativo, potrebbe far passare messaggi del tutto sbagliati. Sia ben chiaro: Maurizio Calvesi è un grande storico dell’arte e l’importanza dei suoi studi certo non può essere messa in discussione da una caduta di stile, probabilmente l’unica della sua carriera. Questo dimostra che, nonostante siano spesso considerati intoccabili, anche i grandi commettono qualche errore (tavolta anche pesante). Ma la lotta all’omofobia passa anche di qua, passa anche dall’arte, passa anche dalla divulgazione storico-artistica.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Federico Giannini
Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left. Seguimi su Twitter: Follow @fedegiannini1
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