Patrimonio in affitto. Sicilia, templi antichi per mega dj set e pubblicità: l'arte è sempre meno un bene di tutti


Dalle aree archeologiche trasformate in mega dj set agli improbabili bohémien di Gucci fra le rovine dei templi in Sicilia, in l’arte è sempre meno un bene di tutti.

In uno dei più importanti parchi archeologici d’Italia, quello di Siracusa, ma non nel più noto teatro greco della Neapolis, bensì in quello di Akrai, a 40 km, a Palazzolo Acreide, il 12 settembre è andato in scena un evento che rispetta il carattere storico-artistico del monumento ed è compatibile con la sua destinazione culturale. Non è la regola. E non solo in Sicilia. A due passi dal Bouleuterion, edificio in cui si riuniva il Senato per amministrare la giustizia, gli attori David Coco, Simone Luglio e Liborio Natali hanno interpretato il testo drammaturgico di Claudio Fava, basato sulla Relazione conclusiva dell’Inchiesta sul “Sistema Montante” approvata il 19 marzo 2019 dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta e Vigilanza sul Fenomeno della Mafia e della Corruzione in Sicilia.  

L’argomento è un evergreen. “Intendiamo la valorizzazione come esigenza di accogliere manifestazioni di dubbio gusto, dalle sfilate di moda alle cene esclusive nei musei o nei luoghi della cultura in genere? Bene, questa non è valorizzazione culturale, così come prevedono il Codice dei Beni culturali e l’art. 9 della Costituzione”, intesa cioè come“pubblica fruizione a fini culturali”, ma “una valorizzazione becera in termini di mero utilitarismo economico”. In un’intervista su Il Giornale dell’Arte non usa mezzi termini Gino Famiglietti, direttore generale di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, in pensione dallo scorso primo agosto, che nel Mibact è stato anche vicecapo dell’Ufficio Legislativo.

Patrimonio in affitto: non è sempre un delitto. Al Castello Sforzesco di Milano, per esempio si può organizzare una cena al lume di candela nello splendido Cortile della Rocchetta, altri eventi possono essere ospitati nel Portico dell’Elefante, nelle Sale panoramiche o nella Torre Falconiera. Niente tavoli e posateria, invece, tra le opere d’arte nelle sale dei musei all’interno del castello. Che sia possibile che i luoghi del patrimonio ospitino eventi rispettosi dei loro valori monumentali e paesaggistici lo dimostrano pure le produzioni messe in scena in un unico circuito, nella stagione estiva, nei teatri di pietra della Sicilia. Il progetto, grazie a un accordo tra l’Assessorato dei Beni culturali e quello al Turismo (in Sicilia, diversamente dal Mibact, sono separati), si chiama Anfiteatro di Sicilia, un cartellone di eventi, dalla lirica alla prosa, dal dramma antico alla musica classica, dall’opera all’operetta, tra Taormina, Catania, Tindari, Segesta e Siracusa.

Ma il più delle volte si tratta di eventi che si fa fatica a conciliare col dettato dall’art. 106 del Codice (D.Lgs. 42/2004) che disciplina l’uso individuale dei beni culturali. Anche se è stata garantita, secondo legge, “la conservazione del bene”, un matrimonio, come quello indiano dalle mille e una notte nel Cortile dell’Ammannati a Palazzo Pitti qualche anno fa lo si può ritenere compatibile “con il carattere storico-artistico del bene”? Un matrimonio è un evento culturale? Nel dicembre 2014, invece, proprio sul fronte conservativo non mancarono i problemi: una cena di gala ha causato danni al selciato di pietra serena dello stesso Cortile. Altro matrimonio, era il gennaio 2018, e stavolta con potenziale danno per l’incauto addobbatore salito su uno dei leoni monumentali della Reggia di Caserta.

Fruizione pubblica o elitaria?

In ogni caso, eventi esclusivi, per pochi, mentre la legge chiede che sia garantita la “fruizione pubblica”, e quindi l’orario di visita non dovrebbe subire variazioni, men che meno arrivare alla vera e propria interdizione, anche se circoscritta nel tempo (poche ore o una serata). In Sicilia ha fatto da apripista il buffet del 2013 al tempio di Segesta, poi fu la volta, nel 2016, dello Spritz presso lo stesso tempio, con logo e altre scritte pubblicitarie sparate da fasci di luce multicolor sul frontone. Questa estate è stata la volta del “Google Camp” a Selinunte, ovvero dell’elitaria inibizione della fruizione pubblica di un patrimonio che è di tutti. Ancora peggio quando lo stesso evento che riunisce il jet set internazionale è stato ospitato alla Valle dei Templi, trasformando il sito patrimonio Unesco in un patrimonio dell’umanità… ad orologeria. Che cessa, cioè, di esserlo per la tale occasione, dalla tale ora alla tal altra e a seconda di chi è il richiedente e di quanto è disposto a spendere. La concessione al privato del tempio della Concordia, in altre parole, non dovrebbe sempre essere subordinata alla garanzia che sia preservato il valore simbolico del monumento quale patrimonio dell’umanità tutta, senza distinzioni di censo? Un discorso estendibile, naturalmente, a tutti i siti della World Heritage List, per cui poco importa se si tratti di un banchetto o una sfilata di alta moda. Insomma, non basta che venga assicurata la protezione del bene culturale. La legge parla chiaro.

Tra i “puristi” che la considerano un’inaccettabile forma di privatizzazione dei beni culturali in ossequio a una visione mercantilistica del patrimonio e i direttori-manager per i quali la scarsa disponibilità finanziaria rende necessario accedere a un variegato ventaglio di possibilità di fundraising, resta sempre la possibilità di trovare una via di mezzo tra la valorizzazione del patrimonio e la sua commercializzazione, per valutare, all’interno di una griglia condivisa di regole e procedure, caso per caso, la validità della concessione in oggetto. 

Il teatro greco di Akrai e il Bouleuterion
Il teatro greco di Akrai e il Bouleuterion

Concessioni d’uso: modello Selinunte vs modello Akrai

E torniamo, quindi, all’argomento di apertura. Proprio la Sicilia offre due esempi accostabili, per tematica (legalità) e per location (siti archeologici), che rendono più chiaro come possa essere ben diverso l’approccio all’uso dei monumenti. Sottendono, anche, due visioni in materia di politica culturale che a fatica si riesce a ricondurre a una medesimo indirizzo di governo. A due anni dall’insediamento, il Governo guidato dal leader di un movimento che si chiama #diventeràbellissima (Nello Musumeci, tra l’altro, è ancora Assessore ad interim a sei mesi dalla tragica scomparsa di Sebastiano Tusa) cosa intende fare da grande? Il modello di valorizzazione attraverso la concessione d’uso dei beni culturali è quello di Selinunte o quello di Akrai? La tradizionale instabilità del comparto che vede da più legislature una girandola di assessori (sei sotto il governo Crocetta, tre in questa, Musumeci compreso) non favorisce di certo un indirizzo politico coerente.

Di una valorizzazione da intendersi come pubblica fruizione a fini culturali non parlano solo il Codice 2004 e le leggi degli inizi del Novecento, ma anche la normativa della regione autonoma. La lontana l.r. 80/1977 individua nell’“uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana”, una delle sue finalità, insieme alla tutela e alla valorizzazione, con ciò rimarcando che il valore culturale, e quindi sociale, del bene è sovraordinato a qualsiasi altro valore, compreso quello economico. Che non vuol dire demonizzare il binomio politica culturale - politica economica, che non solo è possibile invece, ma auspicabile, dal momento che “ogni politica culturale comporta una politica economica” (Carlo Tosco, 2014).

Da una parte, dunque, la drammaturgia sugli atti della commissione antimafia messa in scena al teatro greco grazie alla collaborazione fra il Parco archeologico di Siracusa guidato da Calogero Rizzuto e il Comune di Palazzolo Acreide retto dal sindaco Salvatore Gallo, con ingresso libero e gratuito (come l’altro evento culturalmente “sostenibile” dell’11 giugno scorso con esibizione del tenore Dave Monaco in omaggio alla sua terra); dall’altra un colossale palco da cui il 18 agosto scorso il dj Carlo Cox ha trasformato l’acropoli di Selinunte in una mega discoteca col tempio di Hera relegato a fondale-cartolina, col risultato di uno svilente rimpicciolimento. Se questo è l’effetto sui valori monumentali ci sarebbe anche da chiedersi se i rocchi delle colonne siano rimasti “insensibili” alle emissioni a tutto volume. Che, infatti, la musica inquini (anche in termini di CO), lo documenta un progetto dell’Edison (Edison Change the Music) col fine di ridurre l’impatto ambientale degli eventi musicali. Mentre antropico si chiama quello prodotto dalle diecimila persone che si sono riversate ai piedi del palco, al cui confronto le tremila a serata nel 2017 per lo spettacolo kolossal su Nerone al Palatino, a Roma, sono bazzecole. Di “necessità di valutare l’impatto organizzativo di eventi come questo” per “un sito di rara bellezza per posizione, silenzio, paesaggio”, ci parla Rita Paris, Presidente Fondazione Bianchi Bandinelli, già direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica. E sia ben chiaro, il progetto alla base della performance è uno di quelli importanti e serî: Musica & Legalità, ideato otto anni fa dalla testimone di giustizia Valeria Grasso, quest’anno patrocinato dal Ministero della Salute. Cultura della legalità in continuità con la destinazione culturale del sito, dunque. Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha ricordato il valore simbolico dell’iniziativa svoltasi nei pressi di Castelvetrano, feudo del boss latitante Matteo Messina Denaro. È estremamente importante, ma è anche sufficiente? Ancora una volta, è la specialissima condizione, materiale e in quanto a valori intangibili, del sito, non uno stadio o una piazza o un velodromo come quello che ha ospitato la precedente edizione a Palermo, a richiedere che siano soddisfatti tutti i profili – protezione del bene, rispetto del suo carattere storico-artistico, fruizione pubblica e destinazione culturale - e non una volta uno e l’altra un altro, indicati dall’art. 106 del Codice.

E se contare i soldi in cassa non dovrebbe mai essere il metro, possiamo ad ogni modo considerare congrui, a fronte di incassi che si aggirano intorno ai 320mila euro (costo del biglietto 32 euro per diecimila persone), i 30mila euro versati al parco, più il 5% sulla bigliettazione, occhio e croce altri 16mila euro? Accordi al ribasso come fu per l’esibizione di un altro dj, Martin Garrix: 40mila contro 400mila. Benché, infatti, Bernardo Agrò, direttore del Parco Archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria, abbia detto che l’evento “ha permesso ai ragazzi di fruire di un luogo che prima d’ora non avevano mai goduto così”, in realtà, non solo è già accaduto (era il 29 luglio 2017) che i templi di Selinunte siano stati trasformati in un mega dj set, ma si è riusciti allora anche a superare decisamente il limite alla sostenibilità della fruizione del patrimonio culturale concesso in uso ai privati: difficile, infatti, poter trovare compatibile con il carattere storico-artistico del sito l’esibizione di Garrix. Musica elettronica allo stato puro, dietro nessun progetto educativo o altro.

Un momento di Musica & Legalità
Un momento di Musica & Legalità

Promozione o mistificazione? Gucci a Selinunte

E sempre a Selinunte, stavolta non per una sfilata, ma per una pubblicità, sono state aperte le porte alla casa di moda Gucci a cui nel febbraio 2017 la Grecia, soffocata dai debiti, ha detto no: proponeva 2 milioni in lavori di restauro in cambio di un quarto d’ora di sfilata all’Acropoli. Il diniego perché la Nazione riconosce nel Partenone un monumento simbolo della democrazia. Non uno spazio fisico e un bene materico quello che i greci hanno negato, ma ciò che sopravvive all’usura delle pietre: il potere semioforo dell’arte. E un evento fortemente elitario come una sfilata di moda si combina a fatica col concetto di democrazia.

La scorsa primavera la campagna Gucci Pre-Fall 2019 ha messo in scena “il simposio di Selinunte” ritraendo, come da descrizione dello spot, “un gruppo di eclettici bohémien fra le rovine dei templi del parco archeologico”. Un simposio in cui si aggirano hardcore punk, rollerblader, bodybuilder e surfisti, “in cui”, citiamo ancora, “amici e amanti si incontrano per discutere di filosofia e politica, leggere poesie, fare musica, fare sport e ballare”. Ma si tratta davvero di una reinterpretazione in chiave moderna di ciò che avveniva nel sito? Per verificare se sia stato trasmesso al vasto pubblico di non specialisti un messaggio culturale corretto abbiamo preferito sentire non il direttore del parco archeologico Agrò, che è un architetto, ma appunto un archeologo, Massimo Cultraro, primo ricercatore dell’Istituto per i Beni archeologici e Monumentali (IBAM), CNR di Catania. “Nel mondo greco”, spiega, “il simposio avveniva all’interno delle residenze private. Ci sono poi luoghi pubblici, come gli hestiatoria, all’interno dei santuari, dove avvenivano pratiche simposiache. Nelle colonie greche d’Occidente questi luoghi di consumazione di spazi comuni coincidevano con una stoà, dentro la quale c’erano stanze apposite dotate di triclinî. In Sicilia conosciamo molti casi, ma a Selinunte l’edificio per i banchetti simposiaci, l’unico per il quale possiamo parlare di ’luogo del simposio’, si trova all’interno di una residenza privata sul lato orientale dell’agorà, abitazione datata al VI sec. a.C. Recenti studi hanno permesso di assegnare a questa residenza un ruolo pubblico, trovandosi vicina ad un’area sacra. Sull’Acropoli, la stoà ad L sul margine orientale del terrazzo ad est del Tempio C è stata indicata come un’area di banchetti comuni, ma non ci sono elementi archeologici probanti. Per questa ragione di recente qualche studioso ha pensato che il piccolo Oikos A, sul margine meridionale dello stesso terrazzo, fosse la vera sala da banchetto”.

La campagna di Gucci a Selinunte
La campagna di Gucci a Selinunte


La campagna di Gucci a Selinunte
La campagna di Gucci a Selinunte


La campagna di Gucci a Selinunte
La campagna di Gucci a Selinunte

In sintesi, “a Selinunte non abbiamo elementi certi di dove avvenissero i banchetti religiosi, ma in analogia con altri casi dalla Sicilia e Magna Grecia, è verosimile che si svolgessero all’interno dell’area sacra dominata dai grandiosi templi C e D”.

Dunque, banchetti rituali e luoghi ad essi deputati probabilmente esistevano anche a Selinunte. Quello che ci interessa, quindi, capire ai fini del nostro discorso è se le pratiche che in essi si tenevano si trovino rappresentate, o meglio rievocate con licenza poetica, nella pubblicità di Gucci. Perché sport, balli, conversazioni che vediamo lì, nell’immaginario collettivo richiamano invece pratiche in uso presso i simposi domestici. L’archeologo conferma: “sono attività diverse e diversificate nel tempo. Il simposio è una cosa (sfera privata, canti, balli e recitazione), le feste dionisiache, come altre cerimonie religiose, altra cosa. Il primo è privato, gli altri sono pubblici”. E conclude: “Quindi, se Gucci intende mettere tutto insieme, è una mistificazione”.

Insomma, non è una questione di gusto o di provocazione, ma di rispetto dei valori della monumentalità ospitante e di verifica, sotto il profilo scientifico, dei legami corretti con la Grecia antica. Anche Gucci, persino più forte e provocatorio: abiti macchiati di sangue per un “efferato” banchetto rituale nell’area del Santuario, piuttosto che l’inverosimile convito domestico. “Quel simposio non fa impazzire”, commenta ancora Rita Paris. “Complimenti a Gucci, meno a noi che sappiamo far parlare questi luoghi attraverso queste iniziative piuttosto che con altro”.

Concludendo, se in cima ai motivi per cui vale la pena affittare uno spazio James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, pone quello di “rafforzare la missione del museo e creare legami con la città”, al Parco di Selinunte si è cercato di promuovere il patrimonio e creare legami col resto del mondo comunicando un messaggio superficiale, anzi “una mistificazione”. Che di certo non rientra nella mission di un Istituto pubblico. Senza voler ingessare il patrimonio, crediamo, però, che la contemporaneità abbia infiniti “templi pagani” utili ad ospitare eventi come questi, dignitosissimi in sé, e che la sacralità di luoghi come Selinunte vada preservata non solo nelle sue pietre, ma in quel potere semioforo che i greci moderni hanno dimostrato di saper proteggere, in ciò degni eredi dei loro avi.

Saper operare delle scelte, educare e non assecondare il gusto dei visitatori a una fruizione smart, sommaria, quando non scorretta, come nel caso di Gucci a Selinunte, può davvero essere (fra)intesa come un freno alla fruizione del patrimonio culturale? Noi crediamo di no, confortati dal buon esempio che viene da un altro Parco archeologico, quello di Siracusa.


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Silvia Mazza

L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).



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