Prestiti delle opere d'arte, far west Sicilia: non decidono i tecnici, ma i politici


Ha fatto scalpore (e probabilmente farà giurisprudenza) il caso dell'Uomo vitruviano prestato al Louvre per decisione politica. A decidere sui prestiti dovrebbero essere i tecnici. In Sicilia invece non è così: normativa statale e regionale a confronto.

Talvolta si può trattare di ragioni conservative, in altri casi della scarsa rilevanza culturale dell’evento, o entrambe le cose insieme. E in qualche altro caso ancora, come per il prestito dell’Uomo Vitruviano di Leonardo al Louvre, per lo stop al trasferimento sono sollevate questioni normative, oltre a quelle legate alla particolare condizione conservativa dell’opera. Per il Tar del Veneto, che ha sospeso il prestito (decisione rinviata al 16 ottobre) accogliendo il ricorso presentato da Italia Nostra, è stato violato “il principio dell’ordinamento giuridico per cui gli uffici pubblici si distinguono in organi di indirizzo e controllo da un lato, e di attuazione e gestione dall’altro”. Dall’Ufficio legislativo del Mibact ribattono che il Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini non ha fatto altro che riconoscere decisioni e atti presi dai competenti uffici tecnici del Mibact. “Di fronte alla valutazione scientifica, che possono fare soltanto gli esperti, io mi fermo”, ha commentato il Ministro. Ma la questione è che proprio i tecnici (quei pochi in grado ancora di agire indipendentemente dalle pressioni politiche) si sono pronunciati diversamente. Il disegno di Leonardo rientra nella lista di opere che appartengono al fondo principale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, per il quale, come recita il Codice dei beni culturali (D.lgs. 42/2004) all’art. 66, c. 2, l. b, non può essere “autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica”. Oltre a questa fondamentale considerazione, nel caso specifico c’è anche il parere negativo espresso, per ragioni di opportunità conservativa, dal funzionario responsabile del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie. Tant’è, Franceschini dice di arrestarsi davanti agli esperti. Che dove si è potuto li si è tenuti debitamente lontani: è quanto denuncia Tomaso Montanari quando sottolinea che il Comitato tecnico scientifico per le Belle Arti del Ministero, che preside dal giugno scorso, comitato competente in questo caso, “è stato tenuto accuratamente alla larga”. Eppure, nel parere espresso nella seduta del 24 luglio scorso sulla riorganizzazione del Mibact, il Consiglio Superiore dei Beni culturali e Paesaggistici ha proprio evidenziato come “in materia di prestiti dei beni culturali dei musei per mostre o esposizioni sul territorio nazionale o all’estero, sono auspicabili”, oltre a “un maggior coordinamento tra le Direzioni generali competenti”, proprio “riunioni congiunte dei Comitati tecnico-scientifici per le belle arti, per i musei e per l’archeologia”.

E’ vero, poi, che se ci si volesse appellare all’art. 67, c. 1., l. d del Codice, che prevede che i beni possano uscire temporaneamente dal territorio della Repubblica “in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, in regime di reciprocità e per la durata stabilita negli accordi medesimi”, in esso, appunto, si parla di accordi tra “istituzioni museali”, e quindi tra uffici tecnici, e non di accordi politici tra Stati.

Ora, se il provvedimento del Tribunale veneto, sottolineando l’interferenza della sfera politica in quella amministrativa, rileva la violazione di un principio giuridico in riferimento a un caso specifico, c’è, invece, una regione in Italia in cui questa interferenza non solo è la regola, ma è una regola stabilita proprio giuridicamente, contro il Codice e contro il richiamato principio dell’ordinamento giuridico. Stiamo parlando della Sicilia, che in virtù della sua autonomia non solo ha competenza esclusiva in materia di beni culturali, ma ha anche potestà legislativa primaria.

Leonardo da Vinci, Uomo vitruviano
Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio - “Uomo vitruviano” (1490 circa; punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 34,4 x 24,5 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)

Procedure e modalità di prestito di opere d’arte e beni nel Mibact: parola ai direttori dei musei

Ma prima, vediamo come sono disciplinati i presti nello Stato. Riferimento normativo è l’art. 48 del Codice, rubricato “Autorizzazione per mostre ed esposizioni”, mentre l’art. 66, abbiamo detto, disciplina “l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica”. Per definire criteri, procedure e modalità, l’art. 48, c. 3, rinvia all’emanazione di un decreto ministeriale. E, dunque, il Decreto del 23 dicembre 2014 (cosiddetto “Decreto Musei”) distingue il caso in cui le autorizzazioni si intestino al direttore dei musei dei poli museali, al direttore dei musei o al direttore dei musei autonomi, rinviando per le procedure al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171. Questo stabilisce che nel caso dei musei autonomi è il direttore che autorizza il prestito sentite le Direzioni generali competenti, e per quello all’estero, anche la Direzione generale musei (art. 35). Il direttore dei musei non autonomi, invece, autorizza sentite le Direzioni generali competenti e, per i prestiti all’estero, anche la DG Musei (art. 35). Mentre per i poli museali è il direttore a autorizzare il prestito dei beni culturali delle collezioni di propria competenza per mostre o esposizioni sul territorio nazionale o all’estero, sentite le soprintendenze competenti e, per i prestiti all’estero, anche la DG musei (art. 34).

Tali procedure sono state in parte variate dalla riorganizzazione ministeriale targata Bonisoli (Dpcm 19 giugno 2019, n. 76), vigente dal 22 agosto scorso, ma di fatto “congelata” dal Franceschini-bis. Ma cosa stabilisce di nuovo? Che il direttore territoriale delle reti museali (ex direttore del polo museale) deve informare in via preventiva la Soprintendenza competente e, per i prestiti all’estero, anche il Segretario generale, sentita la DG Musei (art. 34). La soprintendenza, cioè, non è più “sentita” e quindi chiamata a esprimere parere, ma solo “informata”, come il Segretario generale, che entra in scena anche in quest’ambito a conferma della critica di eccessiva centralizzazione che si è inteso dare alla macchina amministrativa con il recente riassetto. Anche i direttori dei musei non autonomi devono solo “informare” in via preventiva la Direzione generale ABAP, per i prestiti all’estero, e il Segretario generale, mentre resta che debbano “sentire” la DG Musei (art. 35). Resta invariato l’iter per gli Istituti dotati di autonomia speciale.

In sintesi. Una cosa è chiara: in nessuna riforma o pseudo contro riforma è previsto che il Ministro si sostituisca agli uffici tecnici nell’autorizzare il prestito. E’ sempre il direttore a dare l’ok, sentiti o informati altri Uffici. Altrettanto chiaro è l’abuso che, invece, si attua in Sicilia, dove, non solo, come vedremo, è l’Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana ad autorizzare, ma addirittura è chiamata ad esprimersi persino l’intera Giunta di Governo.

Antonello da Messina, Annunciazione (1474; olio su tavola trasportata su tela, 180 x 180 cm; Siracusa, Palazzo Bellomo)
Antonello da Messina, Annunciazione (1474; olio su tavola trasportata su tela, 180 x 180 cm; Siracusa, Palazzo Bellomo)

Procedure e modalità di prestito di opere d’arte e beni nell’Assessorato BB.CC. e Identità Siciliana: parola alla politica

Stiamo parlando di scenari piuttosto recenti. La questione ha del sensazionale: fino al 29 gennaio scorso, infatti, la Sicilia non ha avuto una chiara e univoca disciplina per i prestiti delle opere d’arte. Una lacuna sotto il profilo normativo con conseguenti ripercussioni nella prassi amministrativa. Tant’è che ci sarebbe da chiedersi come siano stati autorizzati negli anni i prestiti dei gioielli di famiglia. Avevamo sollevato la questione per la prima volta nel 2016 su Il Giornale dell’Arte criticando una mostra siciliana sul Rinascimento, dove ad autorizzare il prestito era stato l’Assessore ai beni culturali pro tempore, che non aveva ritenuta necessaria la formalizzazione di un parere da parte del direttore del museo prestatore. L’occasione perché proprio un assessore al ramo si accorgesse di quello che denunciamo da anni era quindi, poi, arrivata nel gennaio scorso, con un decreto dello sfortunato Assessore Sebastiano Tusa, a monografica di Antonello da Messina in corso a Palermo e dietro il pungolo delle polemiche (e azioni legali) per i prestiti contestati.

Facciamo, però, un passo indietro. Il testo normativo di riferimento anche nella Regione autonoma resta il Codice, ma al decreto ministeriale in cui siano stabiliti “i criteri, le procedure e le modalità per il rilascio dell’autorizzazione”, previsto dall’art. 48, in Sicilia è corrisposta l’emanazione di una circolare (2005), pressoché disattesa. E’ invalsa, invece, una prassi che non trovava, appunto, appigli legislativi, per cui il prestito all’interno della Regione lo autorizzava il direttore del museo, mentre se era al di fuori del territorio regionale, l’assessore, su parere del direttore e sentito il Consiglio Regionale dei Beni culturali (omologo, ma con sostanziali differenze, del Consiglio Superiore del Mibact).

Ma cosa diceva, invece, quella circolare emanata a ridosso dell’entrata in vigore del Codice? Che nel caso dei prestiti infra regionali ad autorizzare era il dirigente generale, previa acquisizione del parere favorevole del direttore del museo e, “ove necessario”, della soprintendenza. Nel caso dei prestiti in ambito nazionale o all’estero era obbligatorio acquisire anche il parere del Consiglio Regionale. Senonché, dal 2009 al 2017 la Sicilia non ha più ricomposto quest’organo consultivo. Niente parere, dunque. Il punto è che è stato proprio il tecnico Tusa a stabilire che si potesse fare a meno dell’autorevole parere proprio dei tecnici, quelli del massimo organo consultivo del Presidente della Regione (e non dell’assessore=ministro, come nel Mibact) in materia di beni culturali.

Il Decreto Tusa non distingue tra “interno” e verso l’ “esterno”, il prestito “è disposto con provvedimento del Dirigente Generale del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’I.S., previo apprezzamento dell’Assessore dei Beni Culturali e dell’I.S., sentito il parere del direttore dell’Istituto prestatore e, ove necessario ai soli fini della salvaguardia dello stato di conservazione del bene, del direttore del Centro regionale per la Progettazione e il Restauro”. Tradotto, l’organo tecnico (DG) può avviare la procedura solo dopo che l’organo politico si è espresso favorevolmente. Di fatto, l’autorizzazione è stata rimessa in capo all’Assessore, quando, invece, la discrezionalità politica non dovrebbe interferire con le decisioni tecniche. Insieme a quello del Consiglio Regionale, sparisce anche il parere dell’organo preposto alla tutela, la soprintendenza, rimpiazzata da un organismo tecnico-scientifico dell’Assessorato, il CRPR.

Ma non è tutto. Il Decreto Tusa disciplina anche i beni del cosiddetto “decreto blinda prestiti” (D.A. n. 1771 del 27 giugno 2013). Fu scritto in occasione del contenzioso sorto tra la Regione siciliana e alcuni musei statunitensi, per chiudere i rubinetti del prestito facile per una ristretta lista di 23 beni, riconosciuti come “risorsa essenziale delle azioni di valorizzazione del patrimonio culturale in Sicilia”. O almeno così si disse allora. In realtà, è tutt’altro che una norma “blinda prestiti”, non facendo altro che allentare le maglie proprio per quella ristretta lista di beni identificativi della Regione. Grazie, infatti, a una deroga (art. 4) sposta la valutazione di questioni specialistiche dai tecnici alla Giunta di Governo, consentendo a quest’ultima piena libertà di movimento, a prescindere dalle questioni di opportunità sollevate dai primi. È già avvenuto di recente. Nel 2016, in tempi insolitamente rapidissimi, la Giunta fornì parere positivo al prestito dell’Annunciata di Antonello da Messina, della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Contro il parere negativo dell’allora direttore del museo, fu dato l’ok al prestito alla volta di una dubbia mostra (Mater) di una dubbia Fondazione milanese, tanto che i Musei Vaticani avevano ritirato le opere in un primo momento concesse in prestito alla prima tappa dell’evento espositivo a Parma, come ci disse l’allora direttore Antonio Paolucci. La seconda tappa della mostra a Torino alla fine saltò, ma dalla Sicilia, intanto, il via libera lo si era dato senza batter ciglio. Grazie alla deroga prevista dal decreto che rimette alla discrezionalità di assessori come quelli alla Salute, alla Famiglia o dell’Agricoltura, di stabilire se una fragile pellicola pittorica possa affrontare un viaggio.

Certo, anche in Sicilia si applica il Codice, e competenza legislativa primaria non significa non poter rivedere o modificare norme contraddittorie come questo decreto del 2013, già di per sé altamente discutibile (oltre che scritto male: laddove indica l’articolo 67, in luogo del 66), rimasto per ben sei anni senza che fossero disciplinate le procedure. Quello che appare evidente, però, è che l’autonomia così intesa ha consentito alla Sicilia di stabilire il primato della politica sulle questioni tecniche. Se l’autonomia partorisce un mostro, genera il far west.


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Silvia Mazza

L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).



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