Duchessa, mecenate, influencer: tutti i volti di Eleonora di Toledo in mostra a Firenze


Recensione della mostra “Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici”, a cura di Bruce Edelstein e Valentina Conticelli (Firenze, Palazzo Pitti, dal 7 febbraio al 14 maggio 2023).

La prima immagine che corre alla mente quando si pensa a Eleonora di Toledo non può che essere, inevitabilmente, il sontuoso ritratto del Bronzino in cui la splendida duchessa di Firenze, abbigliata con uno dei vestiti più materiali ed evocativi della storia dell’arte, è raffigurata assieme al figlio Giovanni, in una delle icone del potere più note del Rinascimento. Opulenza, ricchezza, raffinatezza, alterigia. Potrebbe essere riassunta più o meno così l’idea di Eleonora che s’è incuneata nell’immaginario collettivo, e non ci sarà dunque da sorprendersi se, ancora nel 2007, Bruce Edelstein scriveva, nella voce dedicata alla duchessa sulla Encyclopedia of Women in the Renaissance, che Eleonora “è quasi esclusivamente rinomata per la sua ricchezza e per le sue potenti connessioni familiari”. Oggi dobbiamo in buona parte proprio a Bruce Edelstein un’immagine più precisa e completa di Eleonora: lo storico dell’arte americano s’occupa di lei da più di vent’anni, e non c’è studioso che più e meglio di lui abbia prodotto ricerche sulla figura di Eleonora di Toledo. Ricerche che, a cinquecento anni esatti dalla nascita di Eleonora, hanno trovato coronamento nella grande mostra con cui le Gallerie degli Uffizi hanno inteso celebrare l’anniversario esatto: Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici, la rassegna curata dallo stesso Edelstein e da Valentina Conticelli, visitabile fino al 14 maggio negli spazi del Tesoro dei Granduchi, al pian terreno di Palazzo Pitti, arriva per ultima in un anno in cui molti son stati gl’istituti che hanno voluto omaggiare la duchessa, ma di sicuro è l’esposizione più grande e completa che le sia mai stata riservata.

A Palazzo Pitti, nella residenza che la stessa Eleonora acquistò nel 1550 dopo mesi di trattative cominciate nel 1549, giunge pertanto una mostra che riesce a compendiare gli studî più aggiornati sulla duchessa per presentare al pubblico una panoramica densa e completa sulla sua figura. L’immagine storica di Eleonora di Toledo ha sofferto per varie ragioni: anzitutto il fatto che la storiografia antica è piuttosto parca sul suo conto, benché nelle fonti coeve non manchino certo gli elogi dei contemporanei. Andranno poi aggiunte ulteriori circostanze, su tutte il fatto che Eleonora esercitò il suo ruolo politico sempre in disparte ed evitando accuratamente i riflettori, o ancora, parlando delle sue numerose committenze artistiche, il fatto che i pagamenti spesso fossero autorizzati dal marito Cosimo I de’ Medici e viceversa (e di conseguenza, rilevava già Edelstein nel 2000, nel suo primo articolo su Eleonora, non è sempre impresa facile risalire al reale committente di un’opera), oppure la poca simpatia di cui dovette godere presso i fiorentini. Di conseguenza, spiega il curatore, “solo di recente è stato avviato un percorso di ricerca volto a ridefinire i suoi meriti specifici, anche se resta ancora molta strada da percorrere”. I suoi meriti specifici: è soprattutto attorno alle opere di Eleonora che si concentra la mostra.

Gentildonna di vasta cultura, sovrana dal sommo talento politico (venne lodata dai contemporanei per la sua prudenza, e in più lo storico Bernardo Segni, ambasciatore di Cosimo I de’ Medici alla corte imperiale, ricordava come il duca stesso accettasse consigli sulla gestione dello Stato solo da sua moglie e dallo zio di lei, Francesco di Toledo, ambasciatore imperiale a Firenze), fondatrice del Giardino di Boboli, committente e collezionista di primissimo livello che amava intrattenere rapporti personali e alla pari con gli artisti della corte medicea, oculata amministratrice delle finanze dello Stato, capace di accorti investimenti, attentissima a forgiare l’immagine pubblica sua e della sua famiglia, oltre che a curare gl’interessi familiari (contribuì a determinare le carriere, e dunque il futuro, dei proprî figli e a combinare per loro le politiche matrimoniali), senza trascurare il suo peso come trend setter avanti lettera e infine, come scrive nel catalogo Chiara Franceschini, “fondatrice” di “nuove e moderne istituzioni religiose e monasteri nobiliari nel cuore della Firenze medicea”, nonché patrona “di un’arte devozionale da fruire nel contesto di una corte spesso in movimento tra Firenze, le residenze di campagna, Pisa e Siena”. Questo, per sommi capi, il ritratto di Eleonora ch’emerge con forza dalla mostra di Palazzo Pitti.

Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l'invenzione della corte dei Medici
Allestimenti della mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici. Foto: Gallerie degli Uffizi

Si comincia da una sezione introduttiva dedicata a quella che il curatore definisce “la più grande opera di mecenatismo in ambito artistico-architettonico ascrivibile a Eleonora di Toledo”, ovvero il Giardino di Boboli. Ad accogliere il pubblico è una variante del celeberrimo ritratto del Bronzino, eseguito postumo (nel 1584) da Lorenzo Vaiani, detto “lo Sciorina”, che ritrae Eleonora assieme al figlio Garzia per la “Serie Aulica” dei ritratti medicei commissionati nel 1584 da Francesco I al fine d’essere esposti nel corridoio di levante degli Uffizi. L’effigie della duchessa viene dunque legata alla sua impresa più significativa, evocata dalle statue di Valerio Cioli che un tempo ornavano il Giardino di Boboli, e soprattutto dalla tela del fiammingo Giusto Utens che raffigura il Belveder con Pitti, dipinta tra il 1599 e il 1604 con l’immagine del progetto originale del Giardino elaborato da Niccolò Tribolo dietro dirette indicazioni della duchessa. S’entra poi nel vivo della rassegna con la sezione che presenta la giovinezza e la formazione di Eleonora. La futura duchessa era figlia del viceré di Napoli, Pedro Álvarez de Toledo, e della marchesa di Villafranca, María Osorio Pimentel: il ritratto del padre, opera di Tiziano in prestito dalla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, così come il busto di Carlo V in marmo di Carrara, opera di Giovanni Angelo Montorsoli, sono funzionali a presentare il contesto familiare di Eleonora e le ambizioni del padre che, ottenuta nel 1532 la nomina di viceré di Napoli, promosse una politica di profondi rinnovamenti per la città, tesa a farne una capitale moderna (fu sotto Pedro, per esempio, che venne aperta l’attuale via Toledo), roccaforte dell’impero in chiave antifrancese, oltre che sede d’una corte culturalmente raffinata, che si fregiò d’ospitare personalità come il poeta Garcilaso de la Vega, il teologo Juan de Valdés, i pittori Giorgio Vasari e Pedro de Rubiales. Eleonora si formò in questo ambiente, educata fin da giovanissima alla gestione dello Stato (in casa aveva anche l’esempio della madre María Osorio Pimentel che sostituiva alla guida del vicereame don Pedro quando questi s’assentava per le campagne militari), con la conseguenza che nel suo sguardo si sovrapposero, scrive Carlos José Hernando Sánchez, “la ragione gentilizia e la sua strategia aristocratica, la ragione di governo che si preoccupa della gestione del potere territoriale e la ragione dell’impero, espressa da una geopolitica dinastica che corrispondeva sia agli interessi della monarchia spagnola sia a quelli meno effettivi ma giuridicamente vigenti del Sacro Romano Impero, concentrati nella figura unica di Carlo V d’Asburgo, dai quali dipendeva la sopravvivenza del giovane ducato fiorentino”. Per dar conto della finezza del gusto di Pedro, è esposta un’affascinante Lucrezia di Leonardo Grazia da Pistoia, pittore molto apprezzato dal viceré di Napoli, e allo stesso modo il suadente dio fluviale di Pierino da Vinci, regalo di Eleonora a suo padre per il giardino della villa di don Pedro a Pozzuoli, è testimone della passione per le arti che accomunava genitore e figlia. Spicca, nella stessa sezione, il ritratto di Eleonora del Bronzino, portato qui per l’occasione dagli Uffizi ed esposto vicino al ritratto di Cosimo, altra ben nota effigie bronzinesca, e ad alcuni tessuti che richiamano quello che la duchessa indossa nel quadro del pittore di corte.

Due basi per sedute in marmo bianco di Carrara, sulle quali è scolpita l’immagine di Palazzo Pitti, conducono a una sorta di coda della sezione introduttiva, per ampliare il discorso sul Gardino di Boboli: in questo passaggio il visitatore si sorprenderà dinnanzi al Villano che vuota un barile, opera di Giovanni di Paolo Fancelli presentata in mostra come il “primo esempio noto di scultura di genere dell’arte occidentale dall’antichità” (si tratta di una delle statue che Eleonora chiese per il giardino), entrerà nel vivo dei lavori con uno schizzo di Baccio Bandinelli recante alcune annotazioni sui blocchi da cavare a Carrara per la fontana del prato di Boboli, e si farà un’idea degl’intenti programmatici della duchessa ammirando gli arazzi della Primavera, opera della bottega di Jan Rost da idea del Bronzino, e dei mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio dalla serie dei quattro panni dedicati alle stagioni (botteghe di Jan Rost e Nicolas Karcher su cartoni di Francesco Bachiacca), tutti commissionati da Eleonora. L’abbondanza di frutti e l’operosità dei personaggi raffigurati negli arazzi alludono, in maniera neanche troppo velata, alle buone politiche del governo di Cosimo ed Eleonora: il visitatore ne ha un saggio concreto con il ritratto di Luca Martini, architetto di corte che s’occupò delle bonifiche delle campagne di Pisa, seconda città del ducato, per la quale la duchessa ebbe sempre significativi riguardi.

L’“invenzione della corte” che compare nel titolo della mostra è approfondita nella sezione successiva, che segue la duchessa dal momento dell’entrata trionfale a Firenze nell’estate del 1539, alcuni mesi dopo il matrimonio per procura in Castel Nuovo a Napoli stipulato il 29 marzo del 1539 (era il 29 giugno quando la coppia entrava nella capitale medicea). Cosimo ed Eleonora si stabilirono dapprima a Palazzo Medici ma l’anno seguente s’erano già trasferiti a Palazzo Vecchio, che sarebbe stato radicalmente trasformato dalla duchessa: ancor oggi l’itinerario nel suo appartamento è uno dei momenti fondamentali della visita a Palazzo Vecchio. Il capitolo della mostra dedicato alle trasformazioni della corte fiorentina è aperto da un eccellente confronto tra il cammeo di Giovanni Antonio de’ Rossi che raffigura Cosimo, Eleonora e cinque dei loro figli, capolavoro della glittica rinascimentale (seppur lasciato incompiuto) eseguito nel 1558-1562 per celebrare la coppia ducale, e il disegno che Giorgio Vasari fornì all’intagliatore milanese, in prestito dalla Christ Church Picture Gallery di Oxford, e prosegue con alcuni splendidi pezzi che offrono testimonianza dell’immagine che Cosimo ed Eleonora vollero e seppero dare della corte medicea, utilizzando l’arte come mezzo di promozione. Da Los Angeles giunge il San Giovanni Battista del pittore di corte, il Bronzino, che in antico decorava l’altare della cappella di Eleonora a Palazzo Vecchio, mentre poco più avanti l’Ecce Homo tessuto dalla bottega di Nicolas Karcher su disegno di Francesco Salviati s’impone come uno dei migliori prodotti dell’arazzeria fiorentina, e non distante il Libro d’ore di Eleonora di Toledo dà conto di come anche nella devozione privata i modelli di riferimento fossero i più alti (il libretto di preghiere, del 1541, è esemplato sul libro d’ore di Margherita d’Austria, di cinque anni precedente). Nella stessa sezione sono esposti anche due degli anelli di Eleonora, uno dei quali con una pietra d’epoca romana incastonata, indossato dalla duchessa in un famoso ritratto conservato a Praga (e purtroppo non presente in mostra): entrambi recano il simbolo della stretta delle mani destre, simbolo di fedeltà dei coniugi. Una piccola appendice sul collezionismo di Eleonora e, in particolare, sulla sua passione per gli oggetti esotici, offre al pubblico una tromba da richiamo del Congo, riposta in un rivestimento in cuoio con lo stemma Medici-Toledo (si tratta probabilmente di un dono del re di Tunisi, che soggiornò a Firenze nel 1543), e una maschera mixteca proveniente dal Messico preispanico, giunta con tutta probabilità a Firenze tramite i missionarî domenicani che operavano nelle Americhe.

Lorenzo Vaiani detto lo Sciorina, Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Garzia (olio su tavola, 146 × 116 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n. 2239)
Lorenzo Vaiani detto lo Sciorina, Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Garzia (olio su tavola, 146 × 116 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n. 2239)
Giusto Utens, Belveder con Pitti (1599-1604; olio -e tempera?- su tela, 143 × 247 cm; Firenze, Villa Medicea della Petraia, inv. 1890, n. 6314)
Giusto Utens, Belveder con Pitti (1599-1604; olio -e tempera?- su tela, 143 × 247 cm; Firenze, Villa Medicea della Petraia, inv. 1890, n. 6314)
Valerio Cioli, Il nano Barbino (1564-1568 circa; marmo, 98 × 43 × 39 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Giardino di Boboli, Stanzonaccio, inv. Sculture Bargello, n. 29)
Valerio Cioli, Il nano Barbino (1564-1568 circa; marmo, 98 × 43 × 39 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Giardino di Boboli, Stanzonaccio, inv. Sculture Bargello, n. 29)
Tiziano Vecellio, Ritratto di Pedro de Toledo come cavaliere dell’ordine di Santiago (1530-1535 circa; olio su tela, 139,2 × 117 cm; Monaco, Alte Pinakothek, inv. n. WAF 1085)
Tiziano Vecellio, Ritratto di Pedro de Toledo come cavaliere dell’ordine di Santiago (1530-1535 circa; olio su tela, 139,2 × 117 cm; Monaco, Alte Pinakothek, inv. n. WAF 1085)
Fra’ Giovan Angelo Montorsoli, L’imperatore Carlo V (1535-1536/1540-1543 circa; marmo apuano, 67,5 × 59 × 26 cm; Napoli, Certosa e Museo di San Martino, inv. AM 10824, Dep. 421)
Fra’ Giovan Angelo Montorsoli, L’imperatore Carlo V (1535-1536/1540-1543 circa; marmo apuano, 67,5 × 59 × 26 cm; Napoli, Certosa e Museo di San Martino, inv. AM 10824, Dep. 421)
Leonardo Grazia, Lucrezia (1535 circa; olio su lavagna, 55 x 43 cm; Roma, Galleria Borghese)
Leonardo Grazia, Lucrezia (1535 circa; olio su lavagna, 55 x 43 cm; Roma, Galleria Borghese)
Pierino da Vinci, Giovane divinità fluviale accompagnata da tre putti (1548-1549; marmo apuano, 136 × 55 × 41 cm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures, legs du baron Basile de Schlichting, 1915, inv. RF 1623)
Pierino da Vinci, Giovane divinità fluviale accompagnata da tre putti (1548-1549; marmo apuano, 136 × 55 × 41 cm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures, legs du baron Basile de Schlichting, 1915, inv. RF 1623)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni (1545; olio su tavola, 115 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni (1545; olio su tavola, 115 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n. 748)
Bronzino, Ritratto di Cosimo I in armatura (1545; olio su tavola, 74 x 58 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Cosimo I in armatura (1545; olio su tavola, 74 x 58 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. Depositi, n. 28)
Bottega di Jan Rost da Agnolo Bronzino, La Primavera (disegno, cartone, arazzo: ante 15 maggio 1546; trama: lana, seta, oro e argento dorato; ordito: lana; 7-9 fili per cm, 235 × 168 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, inv. Arazzi, n. 541)
Bottega di Jan Rost da Agnolo Bronzino, La Primavera (disegno, cartone, arazzo: ante 15 maggio 1546; trama: lana, seta, oro e argento dorato; ordito: lana; 7-9 fili per cm, 235 × 168 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, inv. Arazzi, n. 541)
Botteghe di Jan Rost e Nicolas Karcher su cartoni di Francesco Bachiacca, Dicembre, Gennaio, Febbraio (1550-1553; arazzo, 263 × 425 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. Arazzi, nn. 526, 524, 527, 525)
Botteghe di Jan Rost e Nicolas Karcher su cartoni di Francesco Bachiacca, Dicembre, Gennaio, Febbraio (1550-1553; arazzo, 263 × 425 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. Arazzi, nn. 526, 524, 527, 525)
Baccio Bandinelli, Schizzo con annotazioni dei blocchi da cavare a Carrara per la fontana del “prato” di Boboli (1551 circa; penna e inchiostro su carta, 301 × 440 mm; Firenze, Archivio di Stato, MM 93/3, n. 32)
Baccio Bandinelli, Schizzo con annotazioni dei blocchi da cavare a Carrara per la fontana del “prato” di Boboli (1551 circa; penna e inchiostro su carta, 301 × 440 mm; Firenze, Archivio di Stato, MM 93/3, n. 32)
Giovanni Antonio de’ Rossi, Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e cinque figli (1558-1562; agata, 188 × 170 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Tesoro dei Granduchi, inv. Bargello 1917 (VII), n. 1)
Giovanni Antonio de’ Rossi, Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e cinque figli (1558-1562; agata, 188 × 170 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Tesoro dei Granduchi, inv. Bargello 1917 (VII), n. 1)
Giorgio Vasari, Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e cinque figli (1557-1558; penna e inchiostro bruno, pennello e acquerellatura bruna, su tracce di pietra nera, 283 × 210 mm; Oxford, Christ Church Picture Gallery, inv. n. 0183)
Giorgio Vasari, Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e cinque figli (1557-1558; penna e inchiostro bruno, pennello e acquerellatura bruna, su tracce di pietra nera, 283 × 210 mm; Oxford, Christ Church Picture Gallery, inv. n. 0183)
Agnolo Bronzino, San Giovanni Battista (1543-1545 circa; olio su tavola, 154 × 53 cm; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, inv. 73.PB.70)
Agnolo Bronzino, San Giovanni Battista (1543-1545 circa; olio su tavola, 154 × 53 cm; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, inv. 73.PB.70)
Bottega di Nicolas Karcher da Francesco Salviati, Ecce Homo (disegno, cartone?: ante 12 ottobre 1547; arazzo: ante 28 aprile 1549; trama: seta; ordito: lana; 9-11 fili per cm, 226 × 218 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. Arazzi, n. 60)
Bottega di Nicolas Karcher da Francesco Salviati, Ecce Homo (disegno, cartone?: ante 12 ottobre 1547; arazzo: ante 28 aprile 1549; trama: seta; ordito: lana; 9-11 fili per cm, 226 × 218 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. Arazzi, n. 60)
Arte mixteca, Maschera di divinità (Messico, periodo postclassico tardo - XV-inizi XVI secolo; legno, resina, turchese, spondylus princeps, spondylus calcifer, madreperla, 24 × 14,5 × 1,35 cm; Roma, Museo delle Civiltà, inv. n. 4213)
Arte mixteca, Maschera di divinità (Messico, periodo postclassico tardo - XV-inizi XVI secolo; legno, resina, turchese, spondylus princeps, spondylus calcifer, madreperla, 24 × 14,5 × 1,35 cm; Roma, Museo delle Civiltà, inv. n. 4213)

S’è detto in apertura di come Eleonora avesse dimostrato gran cura nel pensare alle carriere dei figli: una sezione, intitolata “La fecundissima e iocundissima signora duchessa” (com’ebbe a chiamarla Paolo Giovio in una lettera inviata a Cosimo), è dedicata proprio al rapporto tra Eleonora e la prole, anche se si risolve unicamente nell’esposizione del ritratto suo (opera di Alessandro Allori risalente al 1560, che riporta l’immagine di un’Eleonora sicuramente più provata rispetto a come appariva una quindicina d’anni prima nel celebre ritratto del Bronzino) e di sette dei suoi figlioli (Maria, Garzia, Ferdinando, Lucrezia, Francesco, Giovanni e Pietro), opere di Bronzino, Alessandro Allori e rispettive botteghe. Per i figli, Eleonora scelse i nomi, pescando soprattutto tra quelli della sua sua famiglia, seguì l’educazione pretendendo, contro le consuetudini del tempo, che maschi e femmine venissero istruiti allo stesso modo, programmò le loro carriere e combinò i loro matrimoni. Sono storie che si celano dietro questi piccoli ritratti su stagno, e anche se la sezione è un poco più povera delle altre, si tratta tuttavia di opere fondamentali per comprendere l’immagine pubblica che Eleonora intendeva dare della sua famiglia: “le effigi di bambini rappresentati individualmente erano alquanto rare prima della fine del Quattrocento e furono commissionate per la prima volta presso la corte degli Asburgo”, scrive Edelstein, ricordando come la duchessa avesse avuto “un ruolo decisivo nell’introdurre questa pratica a Firenze, dove Agnolo Bronzino stabilì prototipi innovativi che divennero un modello per le successive generazioni della dinastia medicea. Questi ritratti, destinati a essere elargiti per cementare i legami con le corti straniere, avevano dunque una natura prettamente politica”.

Con un balzo all’indietro nel tempo, la mostra di Palazzo Pitti torna al 1539 e al matrimonio tra Cosimo ed Eleonora, ripercorrendo le ragioni che portarono le rispettive famiglie a combinare l’unione tra i due (nonostante si trattasse di un matrimonio d’interesse, fu comunque felice): all’epoca dello sposalizio, marito e moglie avevano rispettivamente venti e diciassette anni. Leggenda vuole che Cosimo si fosse innamorato di Eleonora dopo averla vista durante una festa a Napoli, all’epoca del primo soggiorno in città di Cosimo, recatosi a Napoli sedicenne al seguito di suo cugino Alessandro, primo duca di Firenze, che andava a suggellare il fidanzamento con Margherita d’Austria, figlia illegittima di Carlo V. Quella del subitaneo innamoramento è tuttavia nient’altro che una bella leggenda: è semmai ben più plausibile che Cosimo ed Eleonora non si fossero mai visti prima delle nozze. E a rievocare l’anno della loro unione giunge in prestito dal Louvre un disegno del Tribolo, unica testimonianza delle scenografie che l’architetto immaginò per l’ingresso di Eleonora a Firenze: foglio raro, anche perché spesso, in occasioni simili, tutti gli apparati scenici venivano buttati via. Viene esposta poi una copia dell’Apparato et feste nelle noze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et della Duchessa sua Consorte, racconto dell’umanista Pierfrancesco Giambullari che in quasi duecento pagine forniva un minuziosissimo resoconto del ricevimento nuziale, e dato alle stampe appena un mese dopo l’arrivo di Eleonora a Firenze. Chiaro l’intento politico: la rapida diffusione dell’Apparato, scrive Edelstein, “mirava a far sì che i membri della corte spagnola e imperiale venissero ben informati dello splendore di quella fiorentina e della sua sofisticata cultura artistica, letteraria e musicale”. Probabilmente per la stessa ragione, sempre nel 1539, furono stampate a Venezia tutte le musiche eseguite per le nozze: esposta una copia prestata dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Ecco poi, nella stessa sala, l’arazzo con la Giustizia che libera l’innocenza, altra allegoria delle qualità del governo mediceo, prodotto della bottega di Jan Rost su cartone del Bronzino, esposto a fianco di un disegno sullo stesso soggetto di Francesco Salviati.

I disegni del Bronzino per varie imprese di Eleonora e le deliziose tempere su pergamena di Giulio Clovio, miniatore croato (il vero nome era Juraj Klović) che la coppia ducale volle portare a tutti i costi a Firenze (e ci riuscì: alcuni sui delicati lavori come la Crocifissione con la Maddalena o il Ratto di Ganimede, splendide tempere dal sapore michelangiolesco, sono anch’essi frutto della committenza diretta di Eleonora), accompagnano il visitatore verso la sala finale, che si concentra soprattutto su due temi: la trasformazione della moda a Firenze (venne abbandonata in via definitiva la sobrietà che aveva caratterizzato i gusti della Firenze repubblicana e s’aprì l’epoca della fastosa e colorata moda che guardava alla Spagna) e il mecenatismo di Eleonora. Al centro, il ritratto di Eleonora col figlio Francesco, altra variante dell’immagine del Bronzino, e attorno vestiti e monili per il capitolo sulla moda (svetta un abito femminile proveniente dalla bottega di Agostino da Gubbio, sarto di corte), e alcune opere rilevanti per sottolineare il ruolo di Eleonora come protettrice delle arti. Singolari le Rime di Tullia d’Aragona, forse la prima opera della storia della letteratura italiana scritta da una donna e dedicata a una donna, ed ecco poi il ritratto di Laura Battiferri, celebrata poetessa che offrì parimenti le sue rime a Eleonora (con la particolarità che nel suo omaggio la duchessa compare per prima e Cosimo per secondo), per arrivare fino alla magniloquente coppia di ritratti in porfido rosso di Eleonora e Toledo, la durissima pietra in antico riservata ai ritratti regali. La chiusura è affidata a una pala di Alessandro Allori, Gesù e la cananea, commissionata da Laura Battiferri e da suo marito Bartolomeo Ammannati per la chiesa dei Gesuiti di Firenze, San Giovannino degli Scolopi: fu Eleonora a volere fortemente che la Compagnia di Gesù arrivasse a Firenze, con un’insistenza forse dovuta soprattutto a ragioni di carattere pratico (“per assicurarsi confessori di madrelingua spagnola”, scrive in catalogo Lucia Meoni riprendendo l’ipotesi di Edelstein).

I ritratti di Eleonora e dei figli, della bottega del Bronzino e di Alessandro Allori
I ritratti di Eleonora e dei figli, della bottega del Bronzino e di Alessandro Allori
Niccolò Tribolo, Disegno per il monumento effimero a Giovanni delle Bande Nere (1539; penna, inchiostro e matita rossa su carta, 265 × 152 mm; Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, inv. 50, verso)
Niccolò Tribolo, Disegno per il monumento effimero a Giovanni delle Bande Nere (1539; penna, inchiostro e matita rossa su carta, 265 × 152 mm; Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, inv. 50, verso)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Francesco (1549; olio su tavola, 114 x 95 cm; Pisa, Palazzo Reale)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Francesco (1549; olio su tavola, 114 x 95 cm; Pisa, Palazzo Reale)
Agnolo Bronzino, Ritratto di Laura Battiferri (1560 circa; olio su tavola, 83 × 60 cm; Firenze, Musei Civici Fiorentini, Museo di Palazzo Vecchio, Donazione Loeser, inv. MCF LOE 1933-17)
Agnolo Bronzino, Ritratto di Laura Battiferri (1560 circa; olio su tavola, 83 × 60 cm; Firenze, Musei Civici Fiorentini, Museo di Palazzo Vecchio, Donazione Loeser, inv. MCF LOE 1933-17)
Alessandro Allori, Gesù e la Cananea (1587 circa; olio su tela, 316 × 200 cm; Firenze, Chiesa di San Giovannino detta degli Scolopi)
Alessandro Allori, Gesù e la Cananea (1587 circa; olio su tela, 316 × 200 cm; Firenze, Chiesa di San Giovannino detta degli Scolopi)

Obiettivo della mostra è quello di trasmettere l’idea che Eleonora non fosse solo la “moglie di Cosimo I”, ma la sua “più importante collaboratrice”, modello ideale di nobildonna, mecenate raffinata, amministratrice attenta, politica di eccezionale abilità, reggente dello Stato quando il duca era assente, trasformatrice della moda fiorentina. Scorre più in sordina uno dei tratti più singolari della sua figura, ovvero la sua indipendenza economica e la sua propensione agl’investimenti finanziarî, fatto peraltro inusuale in un’epoca in cui le attività delle donne avevano limitazioni (tanto più se si pensa che Eleonora amministrava le proprietà sue e del marito), ma nel complesso il percorso ideato dai curatori è convincente, e l’idea di Eleonora che la rassegna vuol far passare s’afferma con efficacia sia attraverso le immagini della duchessa e della famiglia, eloquenti testimoni della direzione che Eleonora e Cosimo seppero imprimere al loro governo, sia per tramite delle opere che, scrive giustamente Edelstein, “continuano a testimoniare il suo straordinario ruolo nell’invenzione della corte medicea, che avrebbe continuato a governare Firenze per quasi due secoli dopo la sua morte”.

Meritano infine un cenno il buon allestimento messo a punto da Elena Pozzi, Annalisa Orsi, Giuseppe Russo e Paola Scortichini, e il voluminoso catalogo di oltre quattrocento pagine che raduna i contributi di una trentina di specialisti e intende configurarsi non soltanto come uno strumento che condensa tutti gli studî più aggiornati su Eleonora di Toledo, ma anche come un punto di partenza per nuove ricerche sulla sua figura, attorno alla quale molti aspetti restano da scoprire, su tutti il primo periodo della sua vita, per il quale possiamo solo fare ipotesi nella totale mancanza di documenti e attestazioni. Una mostra di grande qualità per fare il punto su una donna alla quale, per merito del suo gusto, della sua cultura e delle sue intuizioni, si deve ancor oggi parte dell’immagine della stessa Firenze agli occhi del mondo.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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