Van Dyck e i suoi amici a Genova: un genio e i suoi colleghi fiamminghi nella Liguria del Seicento


Recensione della mostra 'Van Dyck e i suoi amici' a Genova, Palazzo della Meridiana, dal 9 febbraio al 10 giugno 2018.

Malgrado il pubblico abbia assistito, negli ultimi anni, a un incremento delle mostre in cui veniva toccato il tema delle connessioni artistiche tra Genova e le Fiandre nel diciassettesimo secolo, l’argomento dei fiamminghi in Liguria ha una storia critica relativamente recente: al netto dei primi pionieristici studî che si sono susseguiti, ancorché con frequenza piuttosto sporadica, per gran parte del Novecento, e in certi casi anche prima, rimonta al 1997 il primo contributo che intendeva affrontare sistematicamente lo studio dei rapporti tra Liguria e Fiandre nell’arco di quattro secoli, dal Trecento al Seicento (si trattava del volume Pittura fiamminga in Liguria, curato da Piero Boccardo e Clario Di Fabio), e risalgono agli stessi anni le prime ricerche di Anna Orlando, studiosa che ha dedicato gran parte della sua carriera all’approfondimento di tali tematiche e che quest’anno è curatrice della mostra Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, che si tiene nelle sale di Palazzo della Meridiana, nel capoluogo ligure. Si tratta d’un nuovo, importante capitolo d’una storia espositiva che ha offerto molti spunti per illuminare tali rapporti: solo nell’ultimo anno si potrebbero citare la mostra su van Dyck tra Genova e Palermo, o la monografica su Sinibaldo Scorza, mentre andando ancor più indietro nel tempo impossibile non riferirsi a una rassegna come L’età di Rubens, tenutasi a Palazzo Ducale nel 2004.

La mostra di Palazzo della Meridiana è un capitolo importante per diversi motivi. Vera e accurata mostra di ricerca, che giunge dopo un ventennio abbondante di studî da parte della curatrice, Van Dyck e i suoi amici presenta una mole davvero ragguardevole d’inediti, scava negl’inventarî (pubblicando documenti anch’essi inediti) per scattare una fotografia quanto più precisa della presenza dei fiamminghi a Genova tra il 1600 e il 1640, offre spunti per meglio inquadrare questioni ancora aperte (giusto un paio d’esempî: i termini della collaborazione tra Jan Roos e Anton van Dyck, e il ruolo di Cornelis de Wael sul mercato artistico della Genova del tempo e nell’ambito delle relazioni tra gli artisti fiamminghi che arrivavano in città), e propone alcune scoperte e novità decisamente interessanti: tra queste, una Ninfa e satiro che Anna Orlando ritiene frutto del lavoro congiunto di Roos e van Dyck e che utilizza per avvalorare alcune tesi sui legami tra i due artisti di cui si dirà meglio più avanti, e una Natura morta di Stefano Camogli che rappresenta al momento l’unica opera firmata dell’artista, e quindi fondamentale punto di partenza per una più robusta ricostruzione della sua attività (si tratta invero d’un dipinto già citato in due saggi, uno di Anna Orlando e l’altro di Daniele Sanguineti, entrambi pubblicati nel 2017, ma è qui esposto per la prima volta). E come ogni mostra di ricerca, anche quella di Palazzo della Meridiana rappresenta una tappa, più che un traguardo: molto ancora è il lavoro da fare, anche alla luce del fatto che, come rimarca Roberto Santamaria nel suo saggio in catalogo, “rispetto alle centinaia di dipinti fiamminghi elencati negli inventari, pochi sono quelli giunti ai giorni nostri e, fra questi, solo alcuni si possono ricondurre con certezza assoluta ai documenti”.

Chi erano dunque gli “amici” di van Dyck? Con una cinquantina di dipinti, otto dei quali realizzati dalla mano del grande pittore originario di Anversa, la mostra usa a pretesto il soggiorno genovese di Anton van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1640), arrivato in città appena ventiduenne nel 1621 e ripartito per le Fiandre nel 1627 dopo aver trascorso in Liguria almeno quattro anni dei sei di permanenza in Italia (l’artista infatti fece base a Genova per compiere frequenti viaggi nel resto della penisola), per ricostruire le vicende della colonia di fiamminghi attivi a Genova nel primo quarantennio del Seicento: quali erano i rapporti tra artisti e committenti, quali i generi più frequentati, che tipi di collaborazione s’erano instaurati tra gli artisti fiamminghi, quali i rapporti tra le botteghe, come il collezionismo del tempo s’interessò delle loro opere. Giova ricordare che, nell’epoca presa in esame dalla mostra, molto forti erano le relazioni commerciali e politiche tra Genova e le Fiandre: il territorio all’incirca corrispondente all’attuale Belgio, al tempo costituiva lo stato dei Paesi Bassi Spagnoli ed era alle dirette dipendenze dell’impero asburgico. La Spagna, la più grande potenza mondiale all’inizio del Seicento, aveva la necessità di controllare le Fiandre evitando di transitare dalla Francia o per mare: la via più sicura era pertanto quella che passava da Genova, risaliva per il ducato di Milano e attraversava la Franca Contea e il Lussemburgo. Genova divenne dunque non soltanto un fondamentale crocevia logistico, ma anche luogo di transazioni finanziarie, col risultato che in brevissimo tempo, nel corso del Cinquecento, la città diventò una delle più ricche del mondo. Per agevolare le operazioni bancarie e commerciali, una folta colonia genovese s’insediò nelle principali città delle Fiandre, su tutte Anversa: i dipinti, considerati beni rifugio (Roberto Santamaria ricorda come Genova fosse riuscita a diventare così potente anche perché fu in grado di diversificare e reinvestire costantemente le sue fortune), diventarono importante merce di scambio, con la conseguenza che diversi artisti fiamminghi desiderarono recarsi direttamente a Genova sia per soddisfare meglio le sempre crescenti richieste della committenza ligure, sia per aggiornarsi con continui viaggi di formazione in Italia. E molti finirono poi con l’installare il proprio atelier sulle rive del mar Ligure.

Una sala della mostra Van Dyck e i suoi amici
Una sala della mostra Van Dyck e i suoi amici

La rassegna, dopo aver mostrato una parte dell’Iconografia di van Dyck, ovvero la galleria di ritratti a stampa di suoi contemporanei che l’artista prese a comporre dopo il suo rientro ad Anversa nel 1627, s’apre presentando al pubblico uno di questi atelier, quello di Cornelis de Wael (Anversa, 1592 - Roma, 1667). Artista di rilevante statura, ricordato nelle Vite di Raffaele Soprani soprattutto per le sue scene di battaglia, alcune delle quali presenti in mostra, de Wael fu anche un sapientissimo manager e broker, tanto che presto diventò uno dei punti di riferimento per la comunità fiamminga di Genova. Ma soprattutto, fu un pittore che dimostrò una considerevole abilità nel soddisfare l’esigenze del mercato aggiornando di continuo il proprio repertorio figurativo e ricoprendo egli stesso un ruolo di primaria importanza per la diffusione d’alcuni generi. La mostra offre al pubblico un’analisi precisa e dettagliata di queste qualità di Cornelis de Wael: una Battaglia notturna in mare tra turchi e cristiani, inedita (se si eccettua il contributo, in corso di stampa nel momento della stesura del catalogo, di Alison Stoesser: si tratta della prima monografia sui fratelli Cornelis e Lucas de Wael), è opera che coniuga due delle tipologie preferite dai committenti del tempo (la marina e la scena di battaglia, due generi alla cui definizione molto giovò il ruolo di de Wael), mentre i Soldati presso una taverna dimostrano l’ingresso, nelle competenze padroneggiate dall’artista, della pittura di genere, approfondita con un soggiorno a Roma e con lo studio delle coeve opere dei bamboccianti, specializzati in tali popolareschi spaccati della vita quotidiana dell’epoca.

Spazio anche alle figure di Lucas de Wael (Anversa, 1591 - 1661), i cui contorni sono stati da Anna Orlando ridefiniti in modo più preciso (spesso considerato un artista minore, offuscato dall’ombra del fratello Cornelis, Lucas fu in realtà un pregevole paesaggista, come dimostra il Paesaggio con cacciatori in sosta, opera che, come spesso soleva accadere nella loro bottega, fu realizzata in collaborazione con Cornelis che s’occupava dell’inserimento delle figure) e di Jan Wildens (Anversa, 1585/1586 - Roma, 1653), altro pittore paesaggista, disinteressato “all’osservazione minuta del dato di natura definito nel dettaglio” e specializzato nei “paesaggi più ariosi, di grande valenza decorativa, spesso connotati da un episodio di vita quotidiana” (così Anna Orlando in catalogo). Rappresentatissimo nei musei genovesi, in mostra lo si ammira con un paio di suoi paesaggi eseguiti in collaborazione con Cornelis de Wael: un inedito Viale alberato con figure che riprende un motivo (quello, appunto, del viale alberato) tipico della produzione di Wildens, e una Primavera in un giardino all’italiana, che unendo elementi di fantasia a dettagli desunti dalla realtà, intende evocare la dolcezza d’un aprile genovese negli occhi del riguardante. Strettamente legate alle opere di Cornelis de Wael sono poi quelle di Vincent Malò (Cambrai, 1602/1606 circa - Roma, 1644) che, giunto a Genova negli anni Trenta (al contrario di de Wael che invece era forse già presente negli anni Dieci), e pur rimanendo indipendente rispetto al più anziano maestro, si rifece a sue composizioni precedenti nel dipingere le Prove di Mosè, altra tela inedita.

Cornelis de Wael e Andries van Eertvelt (?), Battaglia notturna in mare tra turchi e cristiani
Cornelis de Wael e Andries van Eertvelt (?), Battaglia notturna in mare tra turchi e cristiani (olio su tela, 95 x 136 cm; Collezione privata)


Cornelis de Wael, Soldati presso una taverna
Cornelis de Wael, Soldati presso una taverna (olio su tela, 90 x 58,5 cm; Collezione privata)


Lucas de Wael e Cornelis de Wael, Paesaggio con cacciatori in sosta
Lucas de Wael e Cornelis de Wael, Paesaggio con cacciatori in sosta (olio su tela, 98 x 140 cm; Collezione privata)


Jan Wildens e Cornelis de Wael, Viale alberato con figure
Jan Wildens e Cornelis de Wael, Viale alberato con figure (1613-1614 circa; olio su tela, 92 x 134 cm; Collezione Giuliana e Eugenio Tuillier)


Jan Wildens e Cornelis de Wael, Primavera in un giardino all'italiana o Aprile
Jan Wildens e Cornelis de Wael, Primavera in un giardino all’italiana o Aprile (1613-1614 circa; olio su tela, 123 x 191 cm; Collezione privata)


Vincent Malo, Trionfo di David
Vincent Malo, Trionfo di David (olio su tela, 69 x 109 cm; Collezione privata)

Nella sala successiva, la mostra continua a esplorare le dinamiche delle botteghe nella Genova dei primi decenni del Seicento (e, di conseguenza, l’ambiente che accolse Anton van Dyck al suo arrivo in città nel 1621). In particolare, si punta l’accento su come alcuni degl’artisti fiamminghi giunti in Liguria fossero diventati dei veri punti di riferimento, in grado anche di formare artisti più giovani, tra i quali financo molti locali. Uno dei primi “creati” dei fiamminghi fu il succitato Stefano Camogli (Genova, 1610 circa - 1690), noto anche come “il Camoglino”, per via della provenienza della sua famiglia. Come già ricordato sopra, in mostra è possibile ammirare quella che, allo stato attuale delle conoscenze, è la sua unica opera firmata, una Natura morta con vaso di fiori e bacile in rame con frutta. Camogli fu tra i più apprezzati naturamortisti della Genova del tempo, e quello della natura morta fu, a sua volta, un genere che ebbe una vastissima fortuna, tanto da essere declinato in alcune varianti: su tutte, quella della natura morta animata che, oltre alla presenza di fiori, frutta e oggetti disparati, vede la comparsa degli animali. Eccelsero in questo genere Pieter Boel (Anversa, 1622 - Parigi, 1674), presente con un paio di tele tra cui una sorprendente Natura morta con pappagallo e fiori come Vanitas, che colpisce l’osservatore per la veridicità del pennuto, e Anton Maria Vassallo (Genova, 1617/1618 - Milano, 1660), presente con un gustosissimo inedito raffigurante un’Allegoria con cagnolino, scimmia, pappagallo e brocca, rispettivamente simboli di fedeltà, lussuria, vanità e instabilità: probabile prova che doveva servire a Vassallo per disporre d’un repertorio di figure per ulteriori composizioni, è stata comunque letta da Anna Orlando come allegoria dell’amore che, se cede a lussuria e vanità, può minacciare la fedeltà.

Se Boel fu allievo diretto di Cornelis de Wael, e Vassallo lo fu invece di Vincent Malò, Camogli, al contrario, studiò con Jan Roos (Anversa, 1591 - Genova, 1638), noto anche come “Giovanni Rosa”, artista d’alta levatura, giunto a Genova nel 1614. Definito da Anna Orlando come “la personalità più significativa tra i fiamminghi di Genova dal punto di vista della portata strettamente pittorica e dei suoi rapporti con van Dyck” (tanto da esser l’unico artista cui in catalogo è dedicato un apposito saggio), si fece notare in città per la capacità con la quale era in grado d’affrontare generi diversi (dalla natura morta al tema sacro, dalla scena d’animali all’episodio mitologico), per la sapienza con cui sapeva impaginare le proprie composizioni, per il suo alto grado di raffinatezza, per l’abilità nel gestire gl’inserti narrativi in certi suoi dipinti. Nella Natura morta di frutta, ortaggi e fiori, alto esempio del genere in cui forse meglio Jan Roos si distinse, il pittore restituisce “un vero e proprio ’trionfo’ di fiori e frutti - uva nera, ambrata e verdina, arance, castagne, fichi, melograni, ovari di papavero da oppio, cocomero, zucche, mandorle e meloni - ritratti all’interno di una ambientazione connotata aulicamente dalla presenza di una base di colonna e di un drappo rosso sullo sfondo” (così Raffaella Besta in catalogo). Di riguardevole interesse è il summenzionato dipinto con Ninfa e satiro, inedito, secondo la curatrice frutto della collaborazione tra Roos e van Dyck, e quindi particolarmente significativo per provare ad approfondire i rapporti tra i due artisti. Nello specifico, Roos si sarebbe occupato dell’incredibile brano di natura morta (la verosimigliante e meticolosissima cesta d’uva) e della ninfa, d’un tipo femminile del tutto simile ad altri che si riscontrano nei suoi dipinti, mentre a van Dyck sarebbe toccato il compito di dipingere il satiro. Quali dunque i termini del legame che unì i due pittori, anche in considerazione del fatto che conosciamo altre opere da loro realizzate a quattro mani? L’ipotesi di Anna Orlando vuole il giovane van Dyck in un primo momento ospite nell’atelier del più esperto collega, presente in città da sette anni prima del suo arrivo. I ruoli si sarebbero poi invertiti, con Jan Roos che, da pittore abile, ben introdotto ed esperto qual era, sarebbe stato chiamato da van Dyck a supportarlo nella realizzazione dei suoi dipinti nei momenti in cui il più giovane artista era oberato di lavoro. E ciò anche in ragione del fatto che l’aiuto di Roos poteva anche estendersi oltre i brani di natura morta, data la padronanza dell’artista coi generi più svariati.

Stefano Camogli, Natura morta con vaso di fiori e bacile in rame con frutta, particolare della firma dell'artista
Stefano Camogli, Natura morta con vaso di fiori e bacile in rame con frutta (dopo il 1638; olio su tela, 94 x 120 cm; Collezione privata), particolare della firma dell’artista


Pieter Boel, Natura morta con pappagallo e fiori come Vanitas
Pieter Boel, Natura morta con pappagallo e fiori come Vanitas (1650-1668 circa; olio su tela, 90 x 123 cm; Pietra Ligure, Collezione privata)


Anton Maria Vassallo, Allegoria con cagnolino, scimmia, pappagallo e brocca
Anton Maria Vassallo, Allegoria con cagnolino, scimmia, pappagallo e brocca (olio su tela, 37,5 x 49 cm; Collezione privata)


Jan Roos, Natura morta di frutta, ortaggi e fiori
Jan Roos, Natura morta di frutta, ortaggi e fiori (olio su tela, 100 x 138 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco)


Anton van Dyck e Jan Roos, Ninfa e satiro con cesto d'uva o Allegoria della Lussuria, particolare
Anton van Dyck e Jan Roos, Ninfa e satiro con cesto d’uva o Allegoria della Lussuria (1622-1623 circa; olio su tela, 102 x 126 cm; Collezione privata), particolare

Attorno alla personalità di Anton van Dyck si concentra tutta la seconda parte della mostra, che parte dalla terza sala, in cui s’affronta il genere della ritrattistica. Troviamo subito un paio d’opere ben note di Anton van Dyck, mirabili esempî della sua produzione per l’alta società genovese: il ritratto del piccolo Ansaldo Pallavicino della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, “uno dei più efficaci ritratti di fanciullo dei tanti realizzati dal pittore” (Farida Simonetti) e Il gioielliere Giacomo Pucci con il figlio Alberto, una delle ultime opere eseguite dal pittore a Genova, che ci dà anche modo di riflettere sul ruolo del ritratto come status symbol, dacché Giacomo Pucci non era un nobile, ma era comunque un ricco mercante e teneva a dar di sé un’immagine confacente alla condizione sociale che aveva raggiunto col proprio lavoro e che intendeva trasmettere al figlio (da leggersi probabilmente in questo senso la presenza del bambino). Accanto a queste opere, in mostra trova posto un ritratto poco noto, quello di Ambrogio Spinola, capitano generale dell’armata delle Fiandre per l’impero asburgico, uno degli uomini più potenti del suo tempo e, in virtù di ciò, ritratto da alcuni dei più grandi artisti dell’epoca (Rubens e Velázquez su tutti). Reso noto da Maria Grazia Bernardini nel 2014, il ritratto dimostra una qualità eccelsa, che lo accomuna ad altri ritratti dello stesso soggetto eseguiti da van Dyck, e dunque ci lascia escludere l’idea che si tratti d’una copia: viceversa, si tratta di un’opera eccellente, eseguita probabilmente “a memoria”, ovvero senza che il pittore avesse di fronte a sé il soggetto in posa, ma utilizzando repertorî (ipotesi, quest’ultima, formulata per ragioni di compatibilità cronologiche sugli spostamenti di van Dyck e di Ambrogio Spinola). Strettamente legato ai capolavori di van Dyck è un inedito di Jan Roos, un ritratto di Agostino Spinola, attribuito all’artista su base stilistica ed eseguito attorno al 1617, poco prima della scomparsa dell’effigiato: si tratta d’una scoperta importante perché dello stesso soggetto esiste un identico ritratto postumo di van Dyck, conservato attualmente a Cincinnati, e l’opera di Roos ha consentito dunque d’individuare il diretto precedente del ritratto vandyckiano garantendo la risoluzione d’un problema nell’ambito degli studî sul pittore.

La quarta e ultima sala, dedicata al sacro, ma anche alle suggestioni che van Dyck esercitò sui pittori genovesi del Seicento, è meno “rivoluzionaria” dacché non presenta eclatanti scoperte, ma è capace d’esercitare un forte fascino perché presenta un paio di meravigliosi, suggestivi confronti. Il primo ruota attorno a una delle più celebri opere di van Dyck, il Cristo spirante di Palazzo Reale, straordinaria tela famosa per la scelta d’esporre la croce in scorcio, sulla sinistra, stagliata contro un paesaggio cupo e sul quale si sta per abbattere un temporale. Un dipinto pregno d’incanto barocco, che “sottolinea la solitudine desolata e il dramma del sacrificio di Cristo” e dove “la dolente emotività del Cristo è rimarcata dal paesaggio roccioso e spoglio che circonda la croce perdendosi nell’oscurità del fondo” (Luca Leoncini). La Crocifissione di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto (Genova, 1609 - 1664) rivisita il precedente vandyckiano col suo potente carico di pathos (che però è differente: non più dramma solitario, ma dramma partecipato) e con la sua pennellata sfibrata che in certa misura anticipa e preannuncia Alessandro Magnasco. Allo stesso modo, la Sacra famiglia con un angelo di Valerio Castello (Genova, 1624 - 1659), coi suoi giochi di sguardi e di gesti rimanda a un modo di trattare gli affetti che trova ampio riscontro nelle due Sacre famiglie di van Dyck esposte a Palazzo della Meridiana: quella delle collezioni di Banca Carige, per la quale in mostra viene formulata l’ipotesi d’una committenza da far risalire alla potente famiglia Di Negro, e dove l’artista fiammingo si prodiga in un brano di notevole tenerezza qual è quello del Gesù bambino che si slancia per toccare il volto di san Giuseppe con la manina, e quella della Galleria Sabauda di Torino, anch’essa opera di struggente lirismo, soprattutto nel brano del Bambino che s’avvicina sorridente a un più perplesso san Giovannino.

Anton van Dyck, Ritratto di Ansaldo Pallavicino
Anton van Dyck, Ritratto di Ansaldo Pallavicino (1625 circa; olio su tela, 108 x 64 cm; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)


Anton van Dyck, Il gioielliere Giacomo Pucci con il figlio Alberto
Anton van Dyck, Il gioielliere Giacomo Pucci con il figlio Alberto (1627 circa; olio su tela, 125 x 100 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso)


Anton van Dyck e aiuti, Ritratto di Ambrogio Spinola
Anton van Dyck e aiuti, Ritratto di Ambrogio Spinola (1628 circa; olio su tela, 104 x 84,5 cm; Collezione privata)


Jan Roos, Ritratto di Agostino Spinola
Jan Roos, Ritratto di Agostino Spinola (1616 circa; olio su tela, 90 x 70 cm; Collezione privata)


Anton van Dyck, Cristo spirante
Anton van Dyck, Cristo spirante (1627 circa; olio su tela, 124 x 93 cm; Genova, Palazzo Reale)


Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Crocifissione
Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Crocifissione (olio su carta applicata su tavola, 55 x 41 cm; Genova, Collezione privata)


Anton van Dyck, Sacra famiglia con san Giovannino
Anton van Dyck, Sacra famiglia con san Giovannino (1624 circa; olio su tela, 123 x 94 cm; Genova, Collezioni Banca Carige)


Anton van Dyck, Sacra famiglia con san Giovannino e sant'Elisabetta
Anton van Dyck, Sacra famiglia con san Giovannino e sant’Elisabetta (1624 circa; olio su tela, 155 x 142 cm; Torino, Galleria Sabauda)


Valerio Castello, Sacra famiglia con un angelo
Valerio Castello, Sacra famiglia con un angelo (anni ’50 del Seicento; olio su tela, 74,5 x 62,5 cm; Collezione privata)

Van Dyck e i suoi amici (plauso, peraltro, per il titolo che riesce a instaurare un rapporto cordiale col pubblico) si configura come una mostra d’alto livello, che poggia su un solido progetto scientifico e ch’è capace di parlare con grande efficacia tanto agli studiosi (elevatissima la quantità d’inediti, notevoli le nuove scoperte, molte le ipotesi aperte poste all’attenzione della critica) quanto al grande pubblico. Anzi, si può tranquillamente affermare che, nonostante si tratti d’una mostra di ricerca, Van Dyck e i suoi amici è in grado di dialogare bene anche con un pubblico di non esperti: al suo mestiere di studiosa, Anna Orlando affianca da tempo una costante attività da divulgatrice, e il taglio conferito al percorso espositivo, forte di didascalie puntuali (anche per le singole opere, nel caso dei dipinti di van Dyck) e d’una scansione chiara che sfrutta in maniera egregia gli angusti spazî di Palazzo della Meridiana, si rivela del tutto adatto a un pubblico eterogeneo. Inoltre giova sottolineare come la mostra abbia tutte le specifiche per ottenere un buon successo di pubblico: ci sono i capolavori d’un grande artista d’importanza europea, dipinti che si configurano come veri saggi di virtuosismo capaci d’esercitare una notevole attrazione sui visitatori, confronti strabilianti. In definitiva, un’esposizione di qualità, dedicata più alle relazioni tra gli artisti che non agli artisti, capace di porsi su più registri e di coniugare felicemente ricerca e divulgazione.

Il catalogo, oltre a dar conto di quanto emerso dalle ricerche alla base della rassegna, è anche un utile strumento per ragguagliare il lettore sulle dinamiche che mossero gli artisti fiamminghi nella Genova d’inizio Seicento. Si segnalano in particolare il saggio introduttivo, utile per tracciare i profili dei pittori in mostra e non solo, il lavoro di Agnese Marengo, che ha compilato una serie di biografie degl’artisti fiamminghi focalizzate sui loro rapporti con Genova, e il contributo di Roberto Santamaria, che s’avvale degl’inventarî secenteschi (pubblicando peraltro anche documenti inediti) per delineare una traccia della presenza fiamminga in città.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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