Teste grottesche e moti dell'animo, Leonardo da Vinci disegnato da Wenceslaus Hollar alla Fondazione Pedretti


Recensione della mostra “Leonardo disegnato da Hollar” a Vinci, Fondazione Rossana e Carlo Pedretti, dal 16 dicembre 2018 al 5 maggio 2019.

Aveva ventinove anni l’incisore boemo Wenceslaus Hollar (Václav Hollar; Praga, 1607 - Londra, 1677) quando, nel 1636 a Colonia, ebbe l’occasione d’incontrare uno degli uomini più ricchi e influenti d’Inghilterra, il diplomatico Thomas Howard, XXI conte di Arundel (Finchingfield, 1585 - Padova, 1646): il nobile era in Germania in missione per conto di re Carlo I, e l’obiettivo del viaggio era convincere l’imperatore Ferdinando II a concedere l’Elettorato del Palatinato a Carlo Luigi Wittelsbach, nipote del sovrano d’Inghilterra (era figlio di sua sorella Elisabetta Stuart e di Federico V del Palatinato, che era stato esiliato dal 1622, e dopo la sua scomparsa nel 1632 la diplomazia inglese aveva cercato in tutti i modi di far sì che la famiglia tornasse a governare l’Elettorato). Si trattava d’una missione ritenuta fallimentare ancor prima che potesse cominciare: ciò nondimeno, Lord Arundel accettò l’incarico, consapevole che viaggiando tra Olanda e Germania avrebbe avuto molte occasioni per accrescere la sua già vasta collezione d’arte. Fu proprio durante questo viaggio che Lord Arundel conobbe Hollar: il diplomatico, infatti, non aveva solo l’esigenza di compiere nuove acquisizioni, ma da qualche tempo progettava di pubblicare la sua raccolta, e aveva necessità di trovare validi incisori che potessero cimentarsi con l’impresa di riprodurre gli oggetti della sua collezione. Tra questi figurava, stando a quanto apprendiamo da un racconto dell’ambiasciatore papale Gregorio Panzani, ospite di Lord Arundel a Londra nel 1637 (si festeggiava proprio il ritorno del conte dalla missione in Germania), un grosso libro contenente un numero imprecisato di disegni di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519). Non abbiamo idea di come i disegni di Leonardo fossero entrati nelle disponibilità di Lord Arundel: probabilmente giunsero in Inghilterra attraverso la Spagna, dove arrivarono nel Cinquecento, quando lo scultore Pompeo Leoni (Milano, 1533 - Madrid, 1608) acquistò molti disegni leonardiani dal figlio di Francesco Melzi, l’allievo di Leonardo che aveva ereditato i fogli direttamente dal maestro. Sappiamo che Lord Arundel, nel corso d’una missione in Spagna, trattò l’acquisto di libri, ma non siamo in possesso d’informazioni più specifiche: è comunque probabile che tra le opere che il conte si procurò in Spagna rientrassero anche i disegni di Leonardo (ed è altresì probabile che questi ultimi siano stati acquistati in diversi momenti).

L’incontro tra Hollar e Lord Arundel fu decisivo per il giovane incisore, e non è azzardato affermare che gli avesse cambiato la vita: Hollar decise infatti di trasferirsi a Londra, si stabilì per molti anni nella residenza di Lord Arundel, e anche dopo la scomparsa del nobile non abbandonò il Regno Unito e trascorse qui quasi tutto il resto della sua vita (lasciò l’Inghilterra soltanto durante la guerra civile: il boemo, stando a quanto riportano le biografie, anche se mancano prove certe, si sarebbe unito alle forze realiste ma, dopo l’assedio di Basing House, sarebbe stato catturato e imprigionato, e sarebbe poi riuscito a evadere dal carcere e a riparare ad Aversa, dove si era già rifugiata Lady Arundel e dove Hollar rimase per otto anni prima di far rientro a Londra). Per diverso tema, almeno fino al 1666 (quindi anche dopo la scomparsa del conte), Hollar riprodusse senza sosta i disegni di Leonardo della collezione Arundel. La gran parte delle incisioni risultanti dal lavoro di Hollar è oggi conservata alla Royal Library di Windsor, in Inghilterra, ma trentuno di queste stampe furono acquistate negli anni Cinquanta da Carlo Pedretti (Casalecchio di Reno, 1928 - Lamporecchio, 2018), insigne storico dell’arte, specialista di Leonardo, da sempre consapevole del valore che le incisioni di Hollar avevano ricoperto per diffondere le idee di Leonardo nel Seicento. Quasi tutte le incisioni raccolte da Pedretti sono quest’anno al centro della prima mostra della Fondazione Rossana e Carlo Pedretti, un evento di grande importanza non soltanto perché, nel cuore della Toscana, e precisamente nella Vinci che diede i natali al genio, inaugura un nuovo spazio dedicato agli approfondimenti e alle mostre di qualità, ma anche perché l’esposizione stessa (Leonardo disegnato da Hollar è il breve ma esaustivo titolo) si pone come un appuntamento d’alto livello, nel cinquecentenario della scomparsa di Leonardo.

Intanto, si tratta della prima mostra in Italia dedicata alla figura di Wenceslaus Hollar. In secondo luogo, è una rassegna che consente d’accostarsi al pensiero e alla visione del mondo di Leonardo con l’importante tramite d’un artista che ebbe un peso notevole nel far circolare le idee del gernio (e di conseguenza s’ha anche modo di comprendere quali fossero i motivi che più interessavano Hollar, in che modo l’incisore boemo si fosse approcciato alle opere di Leonardo, quali i modi attraverso cui operava la scelta dei soggetti da riprodurre: occorre infatti rimarcare che le copie di Hollar non erano in tutto e per tutto fedeli agli originali). E ancora, è occasione che valorizza l’eredità lasciata dal genio toscano, e l’artista che la colse. Nelle due sale della mostra di Vinci, le tavole di Hollar vengono poste a confronto con riproduzioni dei fogli leonardiani da cui sono tratte, ma non mancano anche alcuni originali: in particolare, dalla Biblioteca Ambrosiana giungono due disegni a penna di Leonardo, mentre in arrivo dalla University of California di Los Angeles sono due fogli di Francesco Melzi (Milano, 1491 - Vaprio d’Adda, 1568).

Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar
Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar


Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar
Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar


Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar
Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar


Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar
Immagine dalla mostra Leonardo disegnato da Hollar

L’apertura della mostra è però affidata a un’incisione il cui originale leonardiano non è ancora stato rintracciato: si tratta della Coppia mal assortita, datata 1646, e che Hollar dichiara risalente a un’invenzione di Leonardo. Il disegno grottesco, che ha per protagonista una coppia formata da un giovane interessato e una vecchia danarosa, che tiene tra le mani un sacchetto di monete d’oro (la composizione ebbe una certa fortuna: in pittura fu ripresa da Quentin Metsys per un dipinto, noto come Fidanzamento grottesco, oggi conservato a San Paolo del Brasile, e a Vinci è esposta anche una stampa di John Overton che include alcuni versi atti a esplicitare il significato del soggetto), introduce al tema delle contrapposizioni che in Leonardo è spesso presente e torna in diversi fogli, come quello alla base delle Cinque teste grottesche incise da Hollar nel 1646: al centro della composizione è quello che sembrerebbe essere un imperatore romano coronato d’alloro, circondato da quattro bizzarri personaggi in atteggiamenti eccentrici, che quasi paiono schernirlo. In fogli simili Pedretti ha rilevato la propensione, tipica di Leonardo, a interessarsi a “fatti di costume e perfino di politica che potevano prestarsi a rappresentazioni allegoriche”, che troverebbero una giustificazione in una nota in cui l’artista di Vinci scriveva che il modo di descrivere una figura poteva costituire una via per far emergere la natura dei soggetti rappresentati. Ne consegue che spesso la pratica combinatoria di Leonardo appaiava profili di giovani dai tratti quasi apollinei a volti di vecchi scavati o deformati: nell’acquaforte 15 della Fondazione Pedretti, Hollar combina quattro profili da altrettanti fogli di Leonardo (tutti conservati a Windsor), ma conserva l’intento leonardiano di mettere a confronto (come nel foglio 12276r di Windsor) personaggi di natura estremamente differente. Ne sortisce un’icastica contrapposizione tra un tipo di bellezza ideale e una caricata esasperazione, funzionale non solo a studiare il decadimento fisico cui un corpo va incontro nel corso della vita (va rammentato che anche i disegni grotteschi erano un riflesso dello sperimentalismo di Leonardo) oppure, volendo considerare la contrapposizione come un espediente allegorico, a marcare in tal modo i caratteri opposti della natura umana, ma anche a esercitarsi su quella varietà d’invenzioni che Leonardo riteneva fondamentale per la pratica dell’artista.

Sono figurazioni che sfociano poi in quel grottesco che Leonardo largamente praticò, per la stragrande maggioranza durante il suo soggiorno in Lombardia: verso la risoluzione d’inventare con tale costanza figure deformi e spesso al limite del mostruoso dovettero spingerlo anche, ipotizza la curatrice Annalisa Perissa Torrini, il gusto per un umorismo crudo e greve ch’era tipico degli ambienti sforzeschi, l’interesse degli artisti lombardi per quanto fosse vernacolare e popolaresco, gli apparati decorativi delle chiese gotiche del Settentrione. Tuttavia neppure si può tralasciare il sostrato toscano, avvezzo alla burla, ai motti di spirito, alle liriche scherzose (e nel Quattrocento in Toscana la produzione di poemi burleschi fu fiorente) nel quale l’artista si formò. Quelli di Leonardo non erano però scherzi fini a se stessi. Si trattava, intanto, d’una diretta emanazione delle sue idee sul ruolo dell’artista, sulla varietà delle cose del mondo, sulle contraddizioni dell’essere umano: “se ’l pittore vol vedere bellezze che lo innamorino”, scrisse Leonardo nel suo Libro di Pittura, lui è signore di generarle, e se vol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonescehe e risibili, o veramente compassionevole, lui n’è signore e dio". E quale fosse l’importanza del grottesco nell’attività conoscitiva di Leonardo, ben lo spiega la studiosa Sara Taglialagamba nel suo saggio a catalogo dedicato proprio a tale argomento: il grottesco, che nelle opere dell’artista di Vinci si configura come il contrario dell’equilibrio e dell’armonia ma non per opporsi alla bellezza, semmai per spiegare il suo contrario, ha carattere di “novità straordinaria”, scrive Taglialagamba, “in netto contrasto con la spasmodica ricerca della codificazione della bellezza e della perfezione armonica incarnata dall’homo in circulis”, ed è altresì segno evidente della sua esigenza creativa, oltre che del suo bisogno d’indagare e di studiare. Le deformità che connotano le figure di Leonardo colpiscono tanto gli uomini quanto le donne, sono presenti nei giovani e nei vecchi (benché su questi ultimi si concentrino per la più parte), non risparmiano nessuna porzione del corpo e spesso sono combinate per dare ai soggetti apparenze ancor più bestiali. Hollar, con tutta evidenza, rimase molto affascinato da questo singolare filone del disegno leonardiano, e non solo si premurò di registrare le singole figure (come accade nell’acquaforte 4), ma spesso si trovò a riunire in una sola stampa diverse teste provenienti da più fogli (è il caso dell’incisione 18, che include alcuni profili che non si è riusciti a rintracciare nei disegni di Leonardo, e lo stesso vale per le Sette teste della stampa 16). Questa propensione a riunire diverse teste grottesche in singole stampe era anche motivata dal fatto che Hollar dovesse essere avveduto dell’interesse che tali figure suscitavano. Lo stesso vale per le teste che Leonardo realizzava con chiari intenti satirici, come la caricatura di Dante (che in un foglio appare di profilo assieme a una donna: niente vieta di pensare che potrebbe trattarsi dell’amata Beatrice), probabile sintomo, almeno secondo Michael W. Kwakkelstein, della scarsa simpatia che l’artista nutriva nei confronti dei poeti (e probabilmente dei letterati in senso lato) della corte sforzesca e non solo. Letterati che spesso facevano pesare a Leonardo la sua condizione d’artista che aveva scarsa confidenza col latino, anche se è stata ormai ben approfondita la questione relativa alle letture compiute da Leonardo, e oggi sappiamo che il pittore vantava una considerevole biblioteca.

Wenceslaus Hollar, Coppia mal assortita (1646; acquaforte, 150 x 129 mm l'incisione, 170 x 131 mm l'impronta, 154 x 132 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.031). Iscrizioni: In alto a sinistra: « Leonardo da Vinci inv: WHollar fecit ». In alto a destra: « Ex Collectione Arundelliana 1646 ». P1604
Wenceslaus Hollar, Coppia mal assortita (1646; acquaforte, 150 x 129 mm l’incisione, 170 x 131 mm l’impronta, 154 x 132 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.031). Iscrizioni: In alto a sinistra: « Leonardo da Vinci inv: WHollar fecit ». In alto a destra: « Ex Collectione Arundelliana 1646 ». P1604


John Overton da Leonardo, Coppia mal assortita (incisione; Los Angeles, University of California)
John Overton da Leonardo, Coppia mal assortita (incisione; Los Angeles, University of California)


Wenceslaus Hollar, Cinque teste grottesche (1646; acquaforte, 228 x 185 mm l'incisione, 245 x 186 mm l'impronta, 239 x 186 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.020). Iscrizioni: In basso a destra: « Leonardus da Vinci sic olim delineavit, | WHollar fecit, 1646. ex Collectione Arundelliana».
Wenceslaus Hollar, Cinque teste grottesche (1646; acquaforte, 228 x 185 mm l’incisione, 245 x 186 mm l’impronta, 239 x 186 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.020). Iscrizioni: In basso a destra: « Leonardus da Vinci sic olim delineavit, | WHollar fecit, 1646. ex Collectione Arundelliana».


Wenceslaus Hollar, Sette teste (XVII secolo; acquaforte, 29 x 95 mm l'incisione, 31 x 97 mm l'impronta, 32 x 98 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.016). P1748
Wenceslaus Hollar, Sette teste (XVII secolo; acquaforte, 29 x 95 mm l’incisione, 31 x 97 mm l’impronta, 32 x 98 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.016). P1748


Wenceslaus Hollar, Testa grottesca con muscoli del collo in evidenza (XVII secolo; acquaforte, 59 x 50 mm l'incisione, 62 x 52 mm l'impronta, 63 x 53 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.004). Iscrizioni: In basso a destra: « Leonardo da Vinci inv: | W. Hollar fecit ». P1575
Wenceslaus Hollar, Testa grottesca con muscoli del collo in evidenza (XVII secolo; acquaforte, 59 x 50 mm l’incisione, 62 x 52 mm l’impronta, 63 x 53 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.004). Iscrizioni: In basso a destra: « Leonardo da Vinci inv: | W. Hollar fecit ». P1575


Wenceslaus Hollar, Due teste grottesche affronate, una femminile e una maschile con copricapo che ricorda quello indossato da Dante (1645; acquaforte, 69 x 112 mm l'incisione, 71 x 114 mm l'impronta, 80 x 121 mm la finestra di montaggio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.024). Iscrizioni: Al centro in alto: « Leonardo da Vinci inv: | W. Hollar fecit 1645 ». In basso a dx: « 4b ». P1594
Wenceslaus Hollar, Due teste grottesche affronate, una femminile e una maschile con copricapo che ricorda quello indossato da Dante (1645; acquaforte, 69 x 112 mm l’incisione, 71 x 114 mm l’impronta, 80 x 121 mm la finestra di montaggio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.024). Iscrizioni: Al centro in alto: « Leonardo da Vinci inv: | W. Hollar fecit 1645 ». In basso a dx: « 4b ». P1594

Nella seconda e ultima sala sono esposti gli unici disegni originali di Leonardo in mostra a Vinci. Entrambi provengono dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano: il primo è una Testa caricata di profilo con cappello, raffigurazione d’un uomo di mezza età, con la fronte totalmente coperta da un grosso cappello, il naso corto e schiacciato, la pelle grinzosa, le labbra eccessivamente sporgenti e il mento sfuggente (tutte caratteristiche che, peraltro, tornano anche in altri disegni di Leonardo). Il secondo disegno propone invece i volti affrontati d’un uomo e d’una donna anziani: il primo presenta un cranio allungato in maniera innaturale, un mento eccessivamente pronunciato, occhi piccoli e un naso adunco, grande e sporgente. La donna ha la bocca che somiglia a un becco, il mento è quasi assente, la fronte bassa. Accanto, sono esposti ulteriori due disegni, di Francesco Melzi, in arrivo dalla California: è interessante soprattutto quello che oppone un profilo maschile coi capelli ricci, colto nell’atto di ridere sguaiatamente (e a sua volta riproduzione d’un’idea di Leonardo, che poi sarà puntualmente ripresa dallo stesso Hollar) a quella che appare verosimilmente la caricatura d’un poeta. Uno dei principali motivi d’interesse della testa che ride di Francesco Melzi risiede nel fatto che si tratta di uno dei migliori esempî di quelle teste grottesche attraversate dai “moti dell’animo” che rappresentarono una delle novità più dirompenti dell’arte di Leonardo, e che il pittore riteneva indispensabili al fine d’animare le sue opere (o meglio, per usare le sue stesse parole, al fine di far sì che l’opera d’arte non fosse “due volte morta”, la prima volta perché un’immagine è comunque una finzione, e la seconda nel caso in cui il pittore non sia stato in grado di far emergere un sentimento). La caricatura, anche in questo caso, aveva un fine pratico: scoprire fino a che punto fosse possibile estendere uno stato d’animo, così da studiarne i tratti nel modo più minuzioso possibile.

La mostra si chiude con le stampe di Hollar che riproducono i disegni anatomici di Leonardo: il pubblico ha modo di soffermarsi su di una Testa tratta da studî anatomici, un Busto anatomico, una Testa virile di scorticato, un Cranio visto a latere posto su di un libro e uno Spaccato di cranio. Il dato più interessante è il fatto che Hollar non abbia mai riprodotto, in nessuna delle sue acqueforti, le note che Leonardo da Vinci adoperava a corredo delle immagini per illustrarne il significato. Note che, agli occhi dell’osservatore del XXI secolo, appaiono imprescindibili e indissolubilmente legate alle figure (la scrittura da destra verso sinistra di Leonardo è quasi entrata nell’immaginario collettivo). Per spiegare il perché di tale scelta, ipotizza la studiosa Margherita Melani, “non è da escludere che l’incisore boemo avesse già intuito che i disegni di Leonardo avevano un loro appeal, una loro fortuna autonoma, anche se decontestualizzati e senza alcuna indicazione sulla fonte. Hollar in sintesi traduce in incisione singoli studi di Leonardo trasformandoli in soggetti autonomi senza mai venire meno alla fedeltà dimensionale del prototipo” (le riproduzioni di Hollar, infatti, sono sempre in scala 1:1). E la fortuna incontrata dalle stampe che riproducevano i disegni di Leonardo può anche spiegare per quali ragioni Wenceslaus Hollar avesse continuato a produrne anche dopo la scomparsa di Lord Arundel: evidentemente, l’artista aveva trovato nel commercio di tali stampe una fonte di sostentamento. E questo potrebbe anche spiegare perché Hollar copiò più frequentemente certi soggetti rispetto ad altri: varrà la pena ricordare che la mostra della Fondazione Carlo e Rossana Pedretti espone esclusivamente incisioni che riproducono disegni di figure (Hollar, nelle tre serie d’incisioni tratte dalla collezione Arundel, aveva riprodotto solo ritratti e teste). In conclusione, la mostra termina con alcuni volumi che testimoniano la fortuna dei disegni di Leonardo: spicca su tutti, per importanza, l’edizione del Recueil de charges et de têtes del Conte di Caylus dalla Biblioteca Leonardiana di Vinci, una raccolta di stampe riproducenti teste grottesche di Leonardo, pubblicata a Parigi nel 1757 (al libro è peraltro dedicato un saggio nel catalogo).

Leonardo da Vinci, Testa maschile grottesca (15 x 11 cm; Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 53)
Leonardo da Vinci, Testa maschile grottesca (15 x 11 cm; Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 53)


Leonardo da Vinci, Coppia grottesca (77 x 4,7 mm e 76 x 47 mm; Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 27a e F 274 inf. n. 27b)
Leonardo da Vinci, Coppia grottesca (77 x 4,7 mm e 76 x 47 mm; Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 27a e F 274 inf. n. 27b)


Francesco Melzi, Coppia di teste grottesche (Los Angeles, University of California)
Francesco Melzi, Coppia di teste grottesche (Los Angeles, University of California)


Wenceslaus Hollar, Cranio visto a latere posto su un libro (1645; acquaforte, 70 x 90 mm l'incisione, 79 x 93 mm l'impronta, 80 x 94 mm il foglio; , Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.008). Iscrizioni: In alto a destra: « Leonardo da Vinci in: | W. Hollar fecit ». In alto a destra « 1645 ». P1774.
Wenceslaus Hollar, Cranio visto a latere posto su un libro (1645; acquaforte, 70 x 90 mm l’incisione, 79 x 93 mm l’impronta, 80 x 94 mm il foglio; , Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.008). Iscrizioni: In alto a destra: « Leonardo da Vinci in: | W. Hollar fecit ». In alto a destra « 1645 ». P1774.


Wenceslaus Hollar, Busto anatomico (1651; acquaforte, 119 x 62 mm l'incisione, 125 x 65 mm l'impronta, 130 x 68 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.002). Iscrizioni: In alto a sinistra: « Leonardo da Vinci | inv. ». In alto a destra: « W. Hollar fecit | 1651 | ex. Collectione Arund: ». P1771
Wenceslaus Hollar, Busto anatomico (1651; acquaforte, 119 x 62 mm l’incisione, 125 x 65 mm l’impronta, 130 x 68 mm il foglio; Lamporecchio, Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, FRCP_S_H.002). Iscrizioni: In alto a sinistra: « Leonardo da Vinci | inv. ». In alto a destra: « W. Hollar fecit | 1651 | ex. Collectione Arund: ». P1771

Forse perché si tratta della mostra d’esordio, ma Leonardo disegnato da Hollar non è esente da alcune sbavature: si fatica a trovare nell’esposizione un percorso unitario (il compito è semmai lasciato all’intuizione e all’interpretazione del visitatore), gli apparati sono molto scarni, l’allestimento nelle due sale non è uniforme. Alle carenze che riguardano soprattutto gli apparati sopperisce tuttavia un catalogo che si pone anche come interessante strumento divulgativo: i saggi si concentrano soprattutto sull’aspetto del grottesco in Leonardo e attraverso un’esposizione molto chiara dell’argomento, unita a un buon corredo iconografico, riescono a porsi anche come testi non riservati esclusivamente a un pubblico di specialisti. Il risultato è comunque molto positivo, anche perché la mostra offre ai visitatori l’opportunità di conoscere un patrimonio, quello delle incisioni di Hollar della Fondazione Rossana e Carlo Pedretti, che prima non era mai stato esposto al pubblico, e si pone anche come evidente manifesto delle linee che guideranno le attività della Fondazione: rassegne preziose e tutt’altro che scontate, che avranno luogo nella nuovissima sede di villa Baronti-Pezzatini, edificio ottocentesco totalmente rinnovato per l’occasione, e che consta di due corpi separati (si entra in un cortile dal quale s’accede alla dépendance che accoglie biglietteria, bookshop e bar, e all’edificio principale dove sono stati approntati i locali per le mostre, la sala conferenze, le sale con gli apparati multimediali). Un avvio, in sostanza, molto ben promettente.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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