Il Ratto di Proserpina di Bernini, alle origini del barocco


Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini (1621-1622, conservato alla Galleria Borghese) è un capolavoro fondamentale per la nascita del barocco. Un articolo che lo analizza nei dettagli.

È quasi incredibile pensare che Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 - Roma, 1680), quando si accingeva a realizzare uno dei suoi più celebrati capolavori, il Ratto di Proserpina, aveva soltanto ventitré anni: eppure, nonostante la sua giovanissima età, era già uno scultore affermato, e aveva già avuto modo di lavorare per il potente mecenate che gli aveva commissionato il famosissimo gruppo della Galleria Borghese. Ad affidargli l’incarico era stato infatti il cardinale Scipione Borghese (Roma, 1577 - 1633), uno tra gli uomini più in vista di Roma, all’epoca Camerlengo del Sacro Collegio, dopo esser stato per sedici anni Segretario di Stato del papa, nonché raffinato collezionista, alla perenne ricerca delle migliori opere degli artisti contemporanei. Nel 1606, il cardinale aveva avviato i lavori di costruzione della sua villa, quella che è nota come Villa Borghese Pinciana ed è oggi sede della Galleria Borghese, e ovviamente occorreva decorarla nella maniera più acconcia: le prime realizzazioni del giovanissimo Bernini avevano attirato l’attenzione dei più esigenti collezionisti, tanto che Scipione Borghese, già nel 1618 (l’artista aveva allora soltanto vent’anni), lo ingaggiò col preciso scopo di realizzare dei gruppi scultorei da inserire nella nuova villa. Il Ratto di Proserpina fu il secondo dei quattro gruppi borghesiani, e Bernini iniziò a lavorarci alcuni mesi dopo aver completato il primo, l’Enea, Anchise e Ascanio, terminato nel 1619. Infatti, all’ottobre di quell’anno risale un documento che attesta la consegna di un grande blocco di marmo alla bottega di Pietro Bernini (Sesto Fiorentino, 1562 - Roma, 1629), padre di Gian Lorenzo: è presumibilmente quello da cui avrebbe preso forma il Ratto di Proserpina, che fu cominciato nell’estate del 1621.

Scipione Borghese era rimasto molto soddisfatto del primo gruppo, e aveva pertanto deciso di proseguire la collaborazione con Bernini, commissionandogli un’ulteriore scultura di soggetto mitologico, ancora una volta tratto dalla letteratura latina. Se dunque per l’Enea, Anchise e Ascanio il riferimento letterario era Virgilio con la sua Eneide, per il nuovo gruppo il soggetto giungeva dalle Metamorfosi di Ovidio. Si tratta di una delle più celebri favole della mitologia greco-romana: Proserpina (o, in greco, Persefone) era la bella figlia di Cerere (Demetra), dea delle messi. Di lei s’invaghì Plutone (Ade), il dio degli inferi, che volle a tutti i costi farla sua. Così, mentre la giovane era intenta a cogliere dei fiori da un prato, il signore dell’oltretomba la rapì, portandola con sé nelle viscere della terra, e lasciando la madre, disperata, a vagare per nove giorni e nove notti cercandola. Dopo aver conosciuto, al decimo giorno, la sorte della figlia, Giove (Zeus), il re dell’Olimpo, cercò di far sì che suo fratello Plutone restituisse Proserpina alla madre. Tuttavia, la ragazza aveva già mangiato dei chicchi di melograno, il cibo dei morti: per tale ragione, non poté fare definitivamente ritorno nel mondo dei vivi. Ad ogni modo, Giove riuscì a “mediare” un accordo, facendo sì che Proserpina potesse tornare sulla terra per sei mesi l’anno. Per i restanti sei, invece, sarebbe rimasta con Plutone, di cui sarebbe divenuta sposa, nell’oltretomba. Gli antichi si servivano di questo mito per spiegare l’alternarsi delle stagioni: l’arrivo di Proserpina sulla terra corrispondeva alla bella stagione, mentre la sua discesa negli inferi dava origine all’autunno e all’inverno.

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina (1621-1622; marmo, altezza 255 cm senza base; Roma, Galleria Borghese)
Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina (1621-1622; marmo, altezza 255 cm senza base; Roma, Galleria Borghese)

Questo è il racconto del momento del rapimento nelle Metamorfosi di Ovidio, qui nella traduzione di Mario Ramous: “Proserpina / si divertiva a cogliere viole o candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e i lembi / della veste, gareggiando con le compagne a chi più ne coglieva, / quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì: / tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita la dea / invocava con voce accorata la madre e le compagne, ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore / della veste, questa s’allentò e i fiori raccolti caddero a terra: / tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore / di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore. / Il rapitore lanciò il cocchio, incitando i cavalli,/ chiamandoli per nome, agitando sul loro collo / e sulle criniere le briglie dal fosco colore della ruggine; / passò veloce sul lago profondo, sugli stagni dei Palìci / che esalano zolfo e ribollono dalle fessure del fondale, / e là, dove i Bacchìadi, originari di Corinto che si specchia / in due mari, eressero le loro mura tra due insenature. / Tra le fonti Cìane e Aretusa Pisea c’è un tratto di mare, / che si restringe, racchiuso com’è tra due strette lingue di terra: / qui, notissima fra le ninfe di Sicilia, / viveva Cìane e da lei prese nome anche quella laguna. / Dai flutti emerse la ninfa sino alla vita, / riconobbe la dea: ’Non andrete lontano,’ disse; / ’genero di Cerere non puoi essere, se lei non acconsente: / chiederla tu dovevi, non rapirla. Se mi è lecito / paragonare grande e piccolo, anch’io fui da Anapi amata, / ma fui sua sposa dopo che ne fui pregata, non terrorizzata’. / Così disse, e allargando le braccia cercò / di fermarli. Il figlio di Saturno non trattenne più la sua rabbia: / aizzando i terribili cavalli, brandisce con tutto il vigore / del braccio lo scettro regale e l’immerge nelle profondità / dei gorghi: a quel colpo un varco sino al Tartaro si aprì nella terra / e il cocchio sprofondò nella voragine scomparendo alla vista”.

Bernini rappresenta il momento culminante del racconto, quello più concitato e violento: il momento del rapimento. Ade, fiero, possente e muscoloso, ha abbrancato la ragazza, che cerca di scappare e di divincolarsi dalla presa stretta del dio degli inferi: la mano che affonda nella coscia di Proserpina, con le dita che esercitano la loro pressione sulla carne della giovane, è forse uno dei dettagli più famosi e celebrati di tutta la storia dell’arte. Lei si dimena, scalcia, con le gambe tenta di sollevarsi per trovare una via di fuga, le mani si agitano, una colpisce il volto barbuto di Ade. L’espressione bramosa e vagamente estatica di lui tradisce un leggero moto di fatica: se si leggesse soltanto il suo sguardo, forse si potrebbe pensare che la figlia di Cerere possa riuscire a liberarsi, prima o poi. Ma, osservando il resto del corpo, s’intuisce che l’impresa di Proserpina è alquanto difficoltosa, se non impossibile: il dio è infatti ben piantato sulle robustissime gambe, la sinistra è stabilmente puntata in avanti a fare da perno, e la destra è invece più indietro per bilanciare la posizione, per far sì che Ade non perda l’equilibrio. Il torso, muscoli scolpiti e ben definiti, si piega all’indietro per lavorare di dorsali e addominali, chiamati a supporto delle braccia che si stringono a cerchio onde rendere più efficace la presa: con la mano sinistra, Ade circonda la schiena di Proserpina in modo che lei non possa farsi cadere all’indietro per liberarsi e, al contempo, così da stringerla a sé tanto da renderla più vulnerabile, mentre con la destra esegue lo stesso movimento cingendo le gambe, in modo da limitarla nei movimenti. L’unica speranza, per lei, è quella di protendersi in avanti: Bernini la coglie, infatti, mentre tenta un movimento spingendosi con le spalle e aiutandosi col braccio. Il tentativo però è vano: anche perché, peraltro, Ade ha portato con sé Cerbero, il mostruoso cane a tre teste, guardiano degli inferi, pronto a bloccare Proserpina da dietro e, muovendo le tre teste in tre direzioni diverse, attento a verificare che nessuno sopraggiunga per ostacolare i piani di Ade. Così, lei non può far altro che lanciare un grido che lascia trasparire, allo stesso tempo, la vergogna per esser stata denudata (notiamo infatti il velo che le scivola dal corpo rivelando le sue forme morbide: una fedele trasposizione del dettaglio del racconto di Ovidio), il terrore per la violenza che sta subendo, lo sconforto nel realizzare che nessuno la può aiutare.

Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini nella sua sala alla Galleria Borghese
Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini nella sua sala alla Galleria Borghese


Vista dei protagonisti da sotto
Vista dei protagonisti da sotto


Dettaglio della figura di Proserpina
Dettaglio della figura di Proserpina


Le dita di Plutone che affondano nella carne di Proserpina
Le dita di Plutone che affondano nella carne di Proserpina


Cerbero controlla con le sue teste
Cerbero controlla con le sue teste


Cerbero sorveglia Proserpina
Cerbero sorveglia Proserpina

Su questa straordinaria scultura, uno dei vertici della storia dell’arte mondiale, sono state spese centinaia di pagine: molti sono stati gli studiosi che hanno cercato di rendere, affidandosi alla sola potenza evocativa della penna, la forza dell’impareggiabile virtuosismo berniniano. Ursula Schlegel ha descritto con buona efficacia lo svolgersi del rapimento: “Il Plutone voluto dal Bernini sopraggiunge da dietro, per cogliere Proserpina ignara, e la afferra e la blocca con entrambe le braccia mentre il suo scettro naturalmente in questa azione cade a terra. Con il braccio destro egli circonda le sue gambe all’altezza della coscia, tenendola strettamente con la sinistra alla vita. E in questo la veste della dea, compressa, in parte si discosta dal corpo svolazzando al di sopra della spalla destra, e in parte ricade tra lei e il braccio sinistro di Plutone in molti groppi di pieghe dietro al dorso della dea e tra le sue gambe. Al terrore di Proserpina non si può dare una forma più convincente: volgendo il busto all’indietro, la dea preme vivamente il braccio sinistro davanti agli occhi di Plutone e contro il suo sopracciglio sinistro, respingendolo e gettando il braccio destro in alto, come un grido, mentre alle sue gambe viene impedito dalla forza di Plutone ogni movimento”. Luigi Grassi ci ha lasciato un interessante riassunto del contrasto tra l’espressione di Plutone e quella di Proserpina: “è più esteriore e quasi carnevalesca la maschera del Plutone, in accentuato contrasto con la tenerezza morbida e sensuosa della Proserpina, ricca di effetti pittorici, efficace in quella retorica del piantò che esprime, soprattutto nel volto, una ricerca ormai più scaltrita degli affetti”. Uno dei maggiori studiosi di Bernini, Maurizio Fagiolo dall’Arco, ha dedicato attenzione alla figura del Cerbero, che assurgerebbe anche a un ruolo simbolico: “una singolare invenzione è quel Cerbero sul quale il gruppo scultoreo si appoggia: le tre teste del mitico mostro vogliono anche indicare la complessa costruzione dinamica del gruppo, le tre direzioni dello spazio”.

Anna Coliva ha invece prodotto saggi sulle caratteristiche tecniche del gruppo berniniano, e leggendo le sue parole si può in certo modo intuire come Bernini abbia raggiunto apici di virtuosismo preclusi a tutti i suoi contemporanei: “nel Ratto di Proserpina, l’effetto mai eguagliato di morbida e sensuale cedevolezza del marmo nella gamba della fanciulla sotto le dita di Plutone è dovuto all’uniforme aspetto scabro con cui è trattata tutta la ’pelle’ della donna che aumenta l’effetto naturalistico delle carni; tale morbidezza viene ancor più esaltata per contrasto con le altre superfici lavorate da strumenti diversi: l’effetto del tessuto è trattato a raspa; il pelo del Cerbero e il terreno a gradina, le chiome a scalpello, con l’aiuto, a tratti, del trapano”. La meraviglia del Ratto di Proserpina fu oggetto anche delle attenzioni di Cesare Brandi, che durante le sue lezioni di storia dell’arte rivolse un invito ai suoi studenti, per comprendere donde originasse la potenza dell’opera del giovane Bernini: “se pensate alle proporzioni maggiori dal vero e all’estrema finitezza delle superfici, considerate l’impegno a cui il Bernini si sottometteva. Ancora in quest’opera è evidente l’attacco manieristico, integrato però da esempi classici. La cultura classica è visibilissina nel modo con il quale ha organizzato le tre figure, che danno luogo latamente ad una spirale che però è molto meno accentuata e regolarizzata di quanto non avvenga, ad esempio, nel Ratto delle Sabine del Giambologna. Nel Ratto delle Sabine è chiarissimo che la spirale su cui è costruito il gruppo non tende a fare dilatare la spazialità interna del gruppo, e gli arti che vengono fuori sono estrapolazioni allo stesso modo delle statue messe nelle nicchie da cui viene fuori un braccio, una gamba e la testa stessa; ossia sono mentalmente ricomprese e riassorbite nelle nicchie, così il gruppo del Giambologna e riassorbito nella spirale generatrice del gruppo stesso”. In merito al necessario confronto con il Ratto delle Sabine del Giambologna (Douai, 1529 - Firenze, 1608), alle parole di Brandi facevano eco quelle di André Chastel: “basta confrontare il Ratto di Proserpina di Bernini con il Ratto delle Sabine del Giambologna, di mezzo secolo precedente, per rendersi conto di come Bernini espanda in tutti i sensi i limiti del blocco, apra la composizione in tutte le direzioni, rifiuti la dispersione dell’attenzione a cui cedeva la scultura manierista, e torni al principio dell’unitarietà del punto di vista e, pertanto, dell’azione”.

Il volto di Proserpina
Il volto di Proserpina


Il volto di Plutone
Il volto di Plutone


Le teste di Cerbero
Le teste di Cerbero

In molti hanno infatti discusso anche a lungo sui modelli cui Bernini potrebbe essersi rifatto per ideare il suo capolavoro. I primi riferimenti vanno trovati nell’arte classica: ancora Fagiolo dell’Arco sottolineava come la favola classica abbondasse di scene di fuga, rapimenti e violenze assortite che dovettero fornire un vasto repertorio al giovane Gian Lorenzo Bernini. Molti hanno dunque suggerito che, per il volto di Proserpina (del quale, peraltro, esiste anche un frammento in terracotta conservato al Museum of Art di Cleveland: si pensa si tratti di uno studio preliminare della figura), lo scultore forse s’ispirò al volto di uno dei Niobidi del celebre gruppo oggi conservato agli Uffizi, ma al tempo di Bernini custodito nel giardino di Villa Medici a Roma: l’insieme di sculture, databile tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo, era stato scoperto nel 1583 e acquistato poco dopo dal cardinale Ferdinando de’ Medici (divenuto poi granduca di Toscana), che subito lo sistemò nel giardino della villa (fu invece trasferito a Firenze nel 1770, e dal 1781 le statue si trovano agli Uffizi). Si potrebbe trovare un riferimento classico anche per la testa di Plutone: in particolare, l’artista potrebbe aver tratto ispirazione dal Centauro cavalcato da Amore, un marmo romano oggi al Louvre ma all’epoca nella straordinaria raccolta di Scipione Borghese. Si tratterebbe, peraltro, anche di un parallelo simbolico, dal momento che lo stesso Plutone era accecato dall’insano amore per Proserpina nel momento in cui la rapì. Lo studioso Matthias Winner ha messo in relazione soprattutto le capigliature del centauro e di Plutone, notando come quella di quest’ultimo somigli alla criniera di un leone: si tratterebbe di un ulteriore espediente simbolico per suggerire l’idea del “leone solare”, allegoria del sole nei sei mesi dell’inverno.

Ancora, occorre sottolineare i rapporti del Ratto di Proserpina con la scultura manierista. S’è già accennato di come Bernini possa aver guardato al Ratto delle Sabine del Giambologna: tuttavia, Bernini riuscì ad attualizzare e a innovare in maniera dirompente e rivoluzionaria quell’altissimo modello. La prima innovazione riguarda, come già anticipato, il ritorno al punto di vista privilegiato: se l’opera di Giambologna era stata pensata per esser osservata da diverse posizioni, Bernini, al contrario, vuol far in modo che il riguardante osservi il gruppo frontalmente, collocandosi davanti ai due personaggi così da cogliere, contemporaneamente, le espressioni dei protagonisti (Cerbero incluso: la visione frontale fa sì che una delle teste sporga dietro il piede sinistro di Proserpina) e il loro muoversi concitato. Non solo: Bernini riuscì, grazie alla sua capacità nel lavorare il marmo, a infondere alla materia una pienezza che la rende viva, come ha ben spiegato Alessandro Angelini: “alla frigida tensione delle anatomie intagliate dal Giambologna, il Bernini contrappone effetti di una nuova, carnosa, sensualità. Nel fianco morbido di Proserpina, su cui Plutone affonda le dita robuste, si colgono le prime ricerche di Gian Lorenzo per ottenere l’effetto del marmo morbido come se fosse cera. La vellutata chioma della fanciulla, l’arruffata barba di Plutone, mosse dal vento e dal morbido agitarsi delle due teste, sembrano come fondersi con l’aria circostante”. Angelini trovava in Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 - Anversa, 1640) un precedente, e in particolare modo nella Susanna e i vecchioni che il pittore fiammingo, probabilmente, realizzò per lo stesso Scipione Borghese.

È stato poi da molti individuato, oltre a Giambologna, un altro precedente manierista, meno noto: è un bronzetto, databile attorno al 1587, di Pietro Simoni, detto Pietro da Barga (documentato dal 1571 al 1589), che raffigura proprio il Ratto di Proserpina e ch’è oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello di Firenze. Pare che risalga dunque a Pietro da Barga l’invenzione della presa di Plutone che stringe Proserpina mentre lei agita le gambe e si spinge con le braccia in avanti, e più sotto Cerbero blocca ogni via di fuga: e a sua volta, Pietro da Barga aveva ripreso un’idea di Vincenzo de’ Rossi (Fiesole, 1525 - Firenze, 1587), che una ventina d’anni prima realizzò un Ratto di Proserpina, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, dove par quasi che Plutone regga sulle sue braccia la giovane, che ci sembra seduta, più che agitata. In un articolo del 1985, il summenzionato Matthias Winner si era domandato per quale ragione Bernini avesse guardato a un artista come Pietro Simoni, che era un ottimo scultore, ma non era tra i più in vista del suo tempo. Per rispondere, Winner aveva sfogliato l’edizione giuntina (1568) delle Vite di Giorgio Vasari, aperta da una lettera dello storico Giovanni Battista Adriani (Firenze, 1511 - 1579) in cui si dice che il grande scultore greco Prassitele “fusse tenuto maggior maestro” e avesse realizzato, tra le altre opere, una “rapina di Proserpina”. Secondo Winner, il bronzo di Pietro da Barga può “essere interpretato come una ricostruzione umanistica del perduto gruppo bronzeo di Prassitele”, e di conseguenza Bernini, che conosceva tanto Vasari quanto Pietro da Barga, probabilmente volle proporre un proprio tentativo di riportare in vita la scultura di Prassitele. E ancora, Bernini non poté non guardare ai contemporanei: Angelini parlava di Rubens, mentre Rudolf Wittkower è stato in grando di cogliere rimandi al Trionfo di Bacco e Arianna, capolavoro di Annibale Carracci (Bologna, 1560 - Roma, 1609) che a Roma decora la volta della Galleria Farnese. In particolare, Wittkower ha suggerito come, nel vincolare il Ratto di Proserpina alla lettura della classicità operata da Annibale Carracci, si possa individuare il punto di passaggio dal manierismo al barocco. "Nel Plutone e Proserpina“, ha scritto Wittkower, ”Bernini guardò l’antichità classica con gli occhi di Annibale. La bellezza voluttuosa e insieme fredda del corpo di Proserpina trova strette analogie con la volta della Galleria Farnese, e lo stesso vale per le anatomie ipertrofiche del suo seduttore. Inoltre la testa di lui, con la capigliatura non-classica e con la barba, che quasi ricorda un cespuglio, è una precisa controparte marmorea delle cariatidi in finto marmo della Galleria. E anche Cerbero è un adattamento del cane di Paride nell’affresco del soffitto. L’accurata osservazione realistica e le influenze classiche sono subordinate alla disciplinata interpretazione dell’antico da parte di Annibale: fu questa la formula attraverso la quale Bernini liberò il suo stile dalle ultime vestigia del manierismo".

Gian Lorenzo Bernini, Testa di Proserpina (1621-1622; terracotta, 15,2 x 10,3 cm; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Gian Lorenzo Bernini, Testa di Proserpina (1621-1622; terracotta, 15,2 x 10,3 cm; Cleveland, Cleveland Museum of Art)


Arte romana, figlia di Niobe (I sec. a.C. - I sec. d.C.; marmo pentelico, altezza 181 cm; Firenze, Uffizi
Arte romana, figlia di Niobe (I sec. a.C. - I sec. d.C.; marmo pentelico, altezza 181 cm; Firenze, Uffizi)


Arte romana, Centauro cavalcato da Amore (I - II sec. d.C.; marmo, 147 x 107 x 52 cm; Parigi, Louvre
Arte romana, Centauro cavalcato da Amore (I - II sec. d.C.; marmo, 147 x 107 x 52 cm; Parigi, Louvre)


Giambologna, Ratto delle Sabine (1574-1580; marmo, altezza 410 cm; Firenze, Loggia dei Lanzi)
Giambologna, Ratto delle Sabine (1574-1580; marmo, altezza 410 cm; Firenze, Loggia dei Lanzi)


Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1607; olio su tela, 94 x 66 cm; Roma, Galleria Borghese)
Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1607; olio su tela, 94 x 66 cm; Roma, Galleria Borghese)


A sinistra: Pietro Simoni da Barga, Ratto di Proserpina (1587 circa; bronzo, altezza 59 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello). A destra: Vincenzo de' Rossi, Ratto di Proserpina (1565 circa; bronzo, 230 x 142 cm; Londra, Victoria and Albert Museum. Ph. Credit Francesco Bini)
A sinistra: Pietro Simoni da Barga, Ratto di Proserpina (1587 circa; bronzo, altezza 59 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello). A destra: Vincenzo de’ Rossi, Ratto di Proserpina (1565 circa; bronzo, 230 x 142 cm; Londra, Victoria and Albert Museum. Ph. Credit Francesco Bini)


Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna (1597-1600 circa; affresco; Roma, Palazzo Farnese)
Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna (1597-1600 circa; affresco; Roma, Palazzo Farnese)

Si è dibattuto anche su chi potesse aver influito sulla scelta del soggetto. Quel che è certo, è che sulla base originale dell’opera, scolpita nel luglio del 1622 dall’intagliatore Agostino Radi e oggi perduta (l’attuale è stata realizzata nel 1911 dallo scultore Pietro Fortunati), compariva un distico latino che recitava “Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi / me Ditis ad domum rapi” (“O tu che, chino, raccogli fiori, guarda me / che vengo rapita nella dimora del crudele Dite”). L’autore della breve lirica era Maffeo Barberini (Firenze, 1568 - Roma, 1644), futuro papa Urbano VIII (lo sarebbe divenuto nel 1623) nonché grande mecenate di Bernini. Barberini aveva composto, tra il 1618 e il 1620, un manoscritto dal titolo Dodici distichi per una Galleria, nel quale, attraverso epigrammi come quello sopra riportato, venivano descritti dodici dipinti di una galleria immaginaria. Appare dunque probabile che il componimento del futuro pontefice abbia potuto in qualche modo suggerire la scelta del soggetto. Il mito di Plutone e Proserpina, col suo rimando allegorico alla rinascita della natura e, dunque, al tema della rigenerazione, ben si ricollegava, come osserò Winner, alla volontà di affermare che, con il matrimonio di Marcantonio II Borghese e Camilla Orsini e l’imminente nascita (nel 1624) del figlio Paolo, il casato dei Borghese aveva ottenuto la possibilità di rigenerarsi. Ci muoviamo comunque nel campo della pura ipotesi.

L’opera uscì dalla bottega di Gian Lorenzo Bernini nel settembre del 1622 e fu subito trasportata presso la villa pinciana di Scipione Borghese. Tuttavia, non vi rimase a lungo: poche settimane dopo, il cardinale donò il gruppo scultoreo a Ludovico Ludovisi (Bologna, 1595 - 1632), cardinal nipote di papa Gregorio XV, che era scomparso nell’estate di quello stesso anno. C’è infatti un inventario del cardinale Ludovisi, datato 2 novembre 1623, che cita l’opera come “una Proserpina di marmo che un Plutone la porta via alto palmi 12 in circa et un can trifauce con piedistallo di marmo con alcuni versi di faccia”. Non conosciamo con sicurezza le ragioni del dono: alcuni ipotizzano che Scipione Borghese dovesse ricambiare un favore ricevuto dal giovane collega, altri pensano che il potente cardinale avesse voluto privarsi del capolavoro di Bernini per ricucire buoni rapporti con la famiglia Ludovisi, con la quale non correva buon sangue (in ogni caso è altamente probabile che fosse stato un dono diplomatico, di particolare importanza). La scultura rimase per secoli di proprietà dei Ludovisi: quando la villa divenne di proprietà pubblica e fu demolita per permettere la costruzione di strade ed edifici nel quartiere di via Veneto, la collezione fu in gran parte acquisita dallo Stato. Era il 1901, e il Ratto di Proserpina, come tante altre statue della collezione Ludovisi, venne sistemato nel Museo delle Terme di Diocleziano: fu nel 1908 che si decise di spostarlo alla Galleria Borghese, così che potesse raggiungere gli altri gruppi borghesiani di Bernini. Da allora sono passati più di cent’anni, e il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini continua a sorprendere, affascinare e meravigliare generazioni di visitatori che giungono da ogni parte del mondo per ammirare il capolavoro germinale del barocco e l’eccelso genio del suo autore.

Bibliografia di riferimento

  • Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, dal 1° novembre 2017 al 20 febbraio 2018), Officina Libraria, 2017
  • Andrea Bacchi, Stefano Pierguidi, Bernini e gli allievi: Giuliano Finelli, Andrea Bolgi, Francesco Mochi, François Duquesnoy, Ercole Ferrata, Antonio Raggi, Giuseppe Mazzuoli, 24 Ore Cultura, 2008
  • Tomaso Montanari (a cura di), Bernini pittore, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, dal 19 ottobre 2007 al 20 gennaio 2008), Silvana Editoriale, 2007
  • Maurizio Fagiolo dell’Arco, L’immagine al potere: vita di Giovan Lorenzo Bernini, Laterza, 2001
  • Maria Grazia Bernardini, Bernini a Montecitorio: ciclo di conferenze nel quarto centenario della nascita di Gian Lorenzo Bernini. In collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, ottobre-dicembre 1999, Camera dei Deputati, 2001
  • Alessandro Angelini, Gian Lorenzo Bernini, Jaca Book, 1999
  • Maria Grazia Bernardini, Claudio Strinati (a cura di), Gian Lorenzo Bernini. Regista del barocco. I restauri, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, dal 24 marzo al 31 maggio 1999), Skira, 1999
  • Anna Coliva, Sebastian Schütze, Bernini scultore. La nascita del barocco in casa Borghese, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, dal 15 maggio al 20 settembre 1998), De Luca Editori d’Arte, 1998
  • Maurizio Fagiolo dell’Arco, Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1987
  • Matthias Winner, Bernini the sculptor and the classical heritage in his early years: Praxiteles’, Bernini’s and Lanfranco’s Pluto and Proserpina in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXII (1985), pp. 191-207
  • Luigi Grassi, Gianlorenzo Bernini, Edizioni dell’Ateneo, 1962
  • Rudolf Wittkower, Bernini: the sculptor of the Roman Baroque, Phaidon Press, 1956
  • André Chastel, L’Art Italien, Larousse, 1956


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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