C'è un nuovo Melozzo da Forlì. Straordinaria scoperta a Perugia


Straordinaria e strepitosa scoperta a Perugia: dai depositi della Galleria Nazionale dell'Umbria emerge un nuovo Melozzo da Forlì. Ecco i dettagli della scoperta.

È stata scoperta una nuova opera di Melozzo da Forlì (Melozzo degli Ambrosi, Forlì, 1438 - 1494): è un Salvator Mundi “riemerso” dai depositi della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, in occasione della mostra L’altra galleria che ha aperto i battenti lo scorso 22 settembre. Si tratta di una scoperta straordinaria, sicuramente una delle più importanti degli ultimi anni, e anche se non è ancora stata pubblicata in sede scientifica (lo sarà a breve), diversi studiosi che hanno avuto modo di visionare il dipinto si sono espressi in maniera favorevole sull’attribuzione al maestro forlivese. La scoperta è tanto più notevole se si pensa che Melozzo da Forlì è un pittore estremamente raro: una ventina in tutto le opere mobili che gli vengono riferite (inclusi gli affreschi staccati e i frammenti di decorazioni murali), a cui s’aggiungono i cicli affrescati e uno sparuto gruppo d’opere attribuite.

A formulare per primo il nome di Melozzo per il dipinto, un frammento d’affresco riportato su tela, “ritrovato” nei depositi del museo umbro, è stato lo storico dell’arte Gabriele Fattorini, specialista del Quattrocento e allievo di Luciano Bellosi, che abbiamo raggiunto per farci raccontare i dettagli della strepitosa scoperta e che ringraziamo per la disponibilità: nello specifico, si tratta di un’opera coperta da successive ridipinture, e per tal ragione si pensava fosse stata eseguita nel quarto decennio del Cinquecento da un anonimo pittore raffaellesco. “Quando ho visto questo dipinto nella sua griglia, nei depositi della Galleria Nazionale dell’Umbria”, ci ha raccontato Gabriele Fattorini, “ho chiesto di farmelo vedere e mi è sembrato un dipinto di grande qualità, anche se molto, molto rovinato. Ho così chiesto un parere al direttore, Marco Pierini, dicendogli che secondo me era il caso di restaurarlo, in modo da vedere cosa ne venisse fuori, perché a me sembrava che potesse essere opera riferibile a una mano importante del secondo Quattrocento”.

Una sala della mostra L'altra galleria alla Galleria Nazionale dell'Umbria di Perugia
Una sala della mostra L’altra galleria alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Melozzo da Forlì, Salvator Mundi (1475-1485; affresco staccato riportato su tela; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Melozzo da Forlì, Salvator Mundi (1475-1485; affresco staccato riportato su tela; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Melozzo da Forlì, Salvator Mundi (1475-1485; affresco staccato riportato su tela; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Melozzo da Forlì, Salvator Mundi, dettaglio. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Melozzo da Forlì, Salvator Mundi (1475-1485; affresco staccato riportato su tela; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Melozzo da Forlì, Salvator Mundi, dettaglio. Ph. Credit Finestre sull’Arte

Il restauro è stato poi puntualmente condotto, dalla restauratrice Francesca Canella. Si trattava di un’opera sottostimata, ci ha spiegato lo studioso. “Viene infatti da Palazzo Pontani”, un antico edificio quattrocentesco nel centro storico di Perugia. “Il problema è che i dipinti di Palazzo Pontani furono staccati nel corso dell’Ottocento (anche con stacchi di qualità non eccezionale), finirono nella Galleria e furono tutti riferiti, in virtù dell’epoca del ciclo principale di una sala, agli anni Trenta del Cinquecento, e furono etichettati come opera di un pittore raffaellesco degli Trenta del Cinquecento. Occorre dire che il ciclo principale di Palazzo Pontani non è un qualcosa di straordinario, ma quest’opera non c’entra nulla con quel ciclo, è evidente, perché se la si guarda si comprende che è proprio completamente diversa”. Nel corso dei secoli, il dipinto che adesso si attribuisce a Melozzo subì dei rimaneggiamenti che lo alterarono in modo pesante. “Ma una volta restaurato, in occasione della mostra”, continua Fattorini, “le ridipinture dei vecchi restauri ottocenteschi o anche successivi, che tendevano a farlo assomigliare a un’opera cinquecentesca e raffaellesca, sono state rimosse, ed è pertanto emersa una pittura molto molto più luminosa, una pittura di un maestro che aveva visto Piero della Francesca, che da Piero aveva mosso per prendere poi una sua strada personale. Quindi, premesso che probabilmente viene davvero da lì, da Palazzo Pontani (ma per questo bisognerà fare ulteriori ricerche), c’è da capire se in qualche fonte del Seicento-Settecento il dipinto viene ricordato, magari non con l’attribuzione a Melozzo. Ma io credo che su quel nome si possa puntare, nonostante lo stato di conservazione non eccezionale dell’opera. Ne ho ragionato anche con Marco Pierini e con altri amici”.

Fattorini e il direttore Pierini, infatti, non sono gli unici studiosi ad aver visto il dipinto, che dal 22 settembre tutti possono ammirare nelle sale delle mostre alla Galleria Nazionale dell’Umbria. “Ho parlato di questa cosa con Alessandro Angelini”, afferma Fattorini. “Come detto, appena la vidi nella griglia mi accorsi che era un dipinto importante. Poi mandai la foto ad Alessandro, e lui mi rispose concordando sul fatto che ci trovavamo dinanzi a un artista notevole. Poi lui ha visto di nuovo il dipinto dal vero: l’effetto non era straordinario a causa delle ridipinture, ma dopo che gli ho mandato la foto dell’opera dopo il restauro, è rimasto impressionato. Poi ho accennato della scoperta ad Andrea De Marchi: ci siamo scambiati dei messaggi, e anche lui è d’accordo sul fatto che potrebbe essere opera di Melozzo”.

A Gabriele Fattorini abbiamo anche chiesto quali sono stati gli elementi determinanti che possono giocare in favore del nome di Melozzo. “L’uso della luce, sostanzialmente”, spiega lo storico dell’arte. Basti vedere i tocchi di luce sotto gli occhi e sul naso, che, in effetti, sembrano davvero opera d’un grande pittore. “È un dipinto molto danneggiato ma di grande qualità, anche se è impossibile capirne la funzionalità originaria: probabilmente si trattava di una sorta di tabernacolo, o di un qualcosa del genere; è una figura di un Salvator Mundi pensato per esser visto di sottinsù, dunque rimanda subito alla cultura prospettica degli Settanta-Ottanta del Quattrocento. E soprattutto mi sembra un dipinto di grande qualità. Oltre a quello di Melozzo, l’unico nome che veniva in mente era quello di Pietro di Galeotto, pittore abbastanza misterioso, che però adesso conosciamo abbastanza bene (a Perugia, per esempio, c’è una sua Flagellazione). Tuttavia si tratta di un artista di una qualità più bassa, anche se uno studioso come Bellosi voleva attribuire quella Flagellazione addirittura a Bramante. Il mondo che fa venire in mente questo Cristo benedicente è proprio quello di Melozzo oppure quello di Bramante giovane, ma di quest’ultimo sappiamo così poco che è impossibile pensare a un’attribuzione, e invece come opera di Melozzo si pensa soprattutto alla cultura dei frammenti degli affreschi dei Santi Apostoli”.

Pietro di Galeotto, Flagellazione, (1480; olio su tela, 196 x 134 cm; Perugia, Oratorio di San Francesco
Pietro di Galeotto, Flagellazione, (1480; olio su tela, 196 x 134 cm; Perugia, Oratorio di San Francesco


Melozzo da Forlì, Angelo musicante con liuto (1480 circa; frammento di affresco staccato, dalla Basilica dei Santi Apostoli di Roma, 101 x 70 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)
Melozzo da Forlì, Angelo musicante con liuto (1480 circa; frammento di affresco staccato, dalla Basilica dei Santi Apostoli di Roma, 101 x 70 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)


Melozzo da Forlì, Ascensione di Cristo (1480 circa; frammento di affresco staccato, dalla Basilica dei Santi Apostoli di Roma, 280 x 200 cm; Roma, Palazzo del Quirinale)
Melozzo da Forlì, Ascensione di Cristo (1480 circa; frammento di affresco staccato, dalla Basilica dei Santi Apostoli di Roma, 280 x 200 cm; Roma, Palazzo del Quirinale)

Il prossimo passaggio, come anticipato, sarà la pubblicazione in sede scientifica. “In questo momento”, dichiara ancora Gabriele Fattorini, “sto studiando il dipinto: ovviamente nel catalogo della mostra, che uscirà tra qualche settimana, il dipinto avrà la sua scheda, e conto poi di scrivere altro e di presentarlo nel corso di una giornata di studi che Marco Pierini sta organizzando per inizio dicembre. Lì, spiegherò più nel dettaglio le ragioni dell’attribuzione”. Ci sono però già delle tracce su cui si baserà il lavoro di Fattorini, e che potrebbero aprire scenari inediti sull’attività dell’artista. “Il dipinto”, conclude lo studioso, “andrà indagato come opera dalla fine anni Settanta agli anni Ottanta nel periodo romano di Melozzo: evidentemente lui dalla Romagna è andato a Roma o tornando da Roma alla Romagna sarà passato da Perugia e avrà lasciato qui un’opera che non richiedeva troppo lavoro... e chissà per chi l’ha realizzata”.

La Galleria Nazionale dell’Umbria sembra però avere pochi dubbi: il catalogo della mostra L’altra galleria, come detto, deve ancora uscire, ma la didascalia recita con sicurezza “Melozzo da Forlì”, senza punti interrogativi e senza sigle come “attr.” o simili. E della bontà della scoperta è convinto anche Marco Pierini, con cui abbiamo avuto modo di scambiare due parole a Perugia. “La scoperta di un Melozzo nei depositi della Galleria Nazionale dell’Umbria”, ha dichiarato il direttore, “è una scoperta straordinaria, perché non solo acquisiamo un’opera di grande qualità, anche se in condizioni di conservazione modeste, ma perché prefigura la presenza a Perugia, probabilmente tra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, di uno dei massimi pittori del Rinascimento italiano. Quindi apre anche una pista di ricerca tutta da battere per gli storici dell’arte nei prossimi anni”.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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