Scoperto sul Monte Carmelo il più antico incrocio noto tra Homo Sapiens e Neanderthal


Un bambino vissuto 140.000 anni fa nella grotta di Skhul sul Monte Carmelo (Israele) mostra la più antica evidenza fossile al mondo nota di incrocio tra Homo sapiens e Neanderthal, riscrivendo la storia dell’evoluzione umana e anticipando di oltre 100.000 anni le interazioni tra queste popolazioni.

Una scoperta archeologica proveniente da Israele che segna un importante traguardo per la storia dell’evoluzione umana: un team internazionale di ricercatori dell’Università di Tel Aviv e del Centro Nazionale francese per la Ricerca Scientifica (CNRS) ha infatti identificato nella grotta di Skhul, sul Monte Carmelo, il fossile di un bambino vissuto circa 140.000 anni fa, rivelando la più antica testimonianza al mondo di incrocio tra esseri Homo Sapiens e Neanderthal. Questo ritrovamento retrodata di oltre 100.000 anni le interazioni tra le due popolazioni e fornisce nuove evidenze sui legami biologici e sociali che le univano.

Il bambino, stimato intorno ai cinque anni di età, mostra caratteristiche morfologiche appartenenti a entrambi i gruppi umani, un fatto finora ritenuto impossibile perché Neanderthal e Homo sapiens erano considerati specie distinte fino a tempi recenti. Gli studiosi hanno sottolineato come lo scheletro rappresenti il risultato di una continua infiltrazione genetica dei Neanderthal locali all’interno delle popolazioni di Homo sapiens, indicando che i contatti tra i due gruppi erano regolari e prolungati nel tempo.

La grotta di Skhul. Foto: Wikimedia/Hanay
La grotta di Skhul. Foto: Wikimedia/Hanay

Il team guidato dal professor Israel Hershkovitz, della Facoltà Gray di Scienze Mediche e della Salute dell’Università di Tel Aviv, insieme ad Anne Dambricourt-Malassé del CNRS, ha condotto un’analisi morfologica dettagliata dello scheletro utilizzando scansioni micro-CT del cranio e della mandibola, realizzate presso lo Shmunis Family Anthropology Institute dell’Università di Tel Aviv. “Questa scoperta”, spiegano, “rivela il più antico fossile umano al mondo che presenti tratti morfologici di entrambi questi gruppi umani, che fino a poco tempo fa erano considerati due specie distinte. Lo studio mostra che lo scheletro del bambino di cinque anni è il risultato di una continua infiltrazione genetica dalla popolazione locale – e più antica – dei Neanderthal nella popolazione di Homo sapiens”. I dati raccolti dagli studiosi hanno permesso di creare modelli tridimensionali accurati, includendo strutture interne invisibili come l’orecchio, e di confrontare le caratteristiche anatomiche con quelle di diverse popolazioni di ominidi. Per studiare la rete di vasi sanguigni attorno al cervello, i ricercatori hanno inoltre ricostruito digitalmente l’interno del cranio, ottenendo informazioni finora inedite sulla fisiologia e sulle connessioni tra Homo sapiens e Neanderthal.

Il ritrovamento nella grotta di Skhul rappresenta la prima prova scientifica concreta di interazioni biologiche e sociali tra le due popolazioni proprio nel territorio dell’odierna Israele. Per decenni si è ritenuto che i Neanderthal fossero confinati all’Europa, migrando nel Levante solo circa 70.000 anni fa in seguito alle glaciazioni. Studi precedenti, in particolare quelli del 2021 pubblicati sulla rivista Science, avevano però già dimostrato la presenza di Neanderthal arcaici in Israele circa 400.000 anni fa, appartenenti a un gruppo definito “Nesher Ramla Homo”, in riferimento al sito vicino alla fabbrica di Nesher Ramla dove erano stati scoperti fossili simili. Questi individui avevano avuto la possibilità di entrare in contatto con i primi Homo sapiens usciti dall’Africa circa 200.000 anni fa.

“Gli studi genetici condotti nell’ultimo decennio hanno dimostrato che questi due gruppi si scambiarono geni”, spiega il professor Hershkovitz. “Ancora oggi, 40.000 anni dopo la scomparsa degli ultimi Neanderthal, parte del nostro genoma – dal 2 al 6 per cento – è di origine neanderthaliana. Ma questi scambi genetici avvennero molto più tardi, tra 60.000 e 40.000 anni fa. Qui, invece, stiamo parlando di un fossile umano di 140.000 anni. Nel nostro studio mostriamo che il cranio del bambino, che nella forma generale ricorda quello di Homo sapiens – soprattutto per la curvatura della volta cranica – presenta però un sistema di circolazione intracranica, una mandibola e una struttura dell’orecchio interno tipici dei Neanderthal”.

Il fossile del bambino ritrovato nella grotta di Skhul. Foto: Università di Tel Aviv
Il fossile del bambino ritrovato nella grotta di Skhul. Foto: Università di Tel Aviv

Il bambino della grotta di Skhul rappresenta il più antico fossile umano al mondo a mostrare tratti morfologici di entrambe le popolazioni. La sua scoperta testimonia relazioni sociali e biologiche protratte per millenni, prima che i Neanderthal locali venissero progressivamente assorbiti nella popolazione di Homo sapiens, analogamente a quanto accadde ai Neanderthal europei. Questa evidenza conferma che gli incroci tra le due specie non erano eventi isolati, ma fenomeni diffusi e costanti, con implicazioni fondamentali per la comprensione della nostra storia evolutiva. “Il fossile che abbiamo studiato è la più antica prova fisica nota di incrocio tra Neanderthal e Homo sapiens”, conclude Hershkovitz. “Nel 1998, in Portogallo fu scoperto lo scheletro di un bambino che mostrava tratti di entrambi i gruppi. Ma quello scheletro, soprannominato ‘il bambino della Valle di Lapedo’, risale a 28.000 anni fa – più di 100.000 anni dopo il bambino di Skhul. Tradizionalmente, gli antropologi hanno attribuito i fossili rinvenuti nella grotta di Skhul, insieme a quelli della grotta di Qafzeh presso Nazareth, a un gruppo primitivo di Homo sapiens. Lo studio attuale rivela che almeno alcuni dei fossili della grotta di Skhul sono il risultato di una continua infiltrazione genetica dalla popolazione locale – e più antica – dei Neanderthal nella popolazione di Homo sapiens”.

Gli autori dello studio evidenziano inoltre come l’analisi approfondita dello scheletro permetta di osservare non solo le caratteristiche craniche e mandibolari, ma anche dettagli anatomici invisibili, aprendo nuove prospettive sullo sviluppo e sulla fisiologia dei primi esseri umani moderni. Il lavoro, pubblicato sulla rivista L’Anthropologie, intende fornire una base per rivedere le ipotesi sull’evoluzione dei Neanderthal e delle prime popolazioni di Homo sapiens.


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