Al Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli è partito il restauro della grande pala del San Ludovico da Tolosa, capolavoro di Simone Martini (Siena, 1284 – Avignone, 1344), oltre che una delle opere più importanti del Trecento, legata al periodo angioino della città. L’intervento, cominciato questa mattina, rappresenta un momento di straordinaria rilevanza sia dal punto di vista scientifico sia per il valore simbolico dell’opera, capolavoro della pittura medievale che da oltre sessantacinque anni non veniva sottoposto a manutenzione straordinaria.
Il progetto nasce dalla prima collaborazione quadro tra il museo, diretto da Eike Schmidt, e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, eccellenza nazionale e internazionale nel campo del restauro. La formula adottata è quella del “cantiere didattico”, un laboratorio a vista allestito nella sala 66 del secondo piano, la stessa che dal 1966 custodisce la monumentale tavola. Il cantiere sarà aperto per circa sei mesi, consentendo ai visitatori di seguire da vicino le fasi del restauro. Il restauro in corso si configura dunque come un’occasione di studio e di approfondimento. Il “cantiere didattico” consente infatti di documentare e rendere accessibile al pubblico il lavoro dei restauratori, offrendo agli studiosi nuovi dati sulla tecnica esecutiva dell’artista e sulla storia conservativa del dipinto. Al tempo stesso, permette ai visitatori di avvicinarsi al dietro le quinte del restauro, trasformando un’attività specialistica in un’esperienza di divulgazione culturale.
“Quello del San Ludovico da Tolosa di Simone Martini”, spiega Schmidt, “può definirsi senza dubbio un restauro epocale, sia per l’importanza dell’opera, il cui splendore affascina da sempre visitatori di Capodimonte, che per il suo significato nella storia della città, in particolare quella della fiorente Napoli angioina con la sua corte di mecenati nel cuore del Mediterraneo. Con emozione ricordiamo che nel 1966 fu Raffaello Causa a spostare l’ultima volta la grande pala dal muro per porla nella posizione attuale con un sostegno in ferro che la stacca lievemente dalla parete. Ringraziamo l’Opificio delle Pietre dure che condivide con noi questa affascinante impresa nell’ambito di una collaborazione articolata per il restauro e lo studio di un nucleo importante di capolavori tra i quali opere di Tiziano, Mantegna, Dosso Dossi, Polidoro da Caravaggio, Vivarini”.
Le operazioni riguarderanno principalmente il verso del dipinto, con uno studio approfondito della struttura lignea e un intervento mirato alla chiusura delle sconnessioni e delle fessurazioni presenti sul supporto. Saranno inoltre ricostruite eventuali piccole mancanze sulla predella, fissata la decorazione a gigli sul retro e consolidata la superficie policroma del recto, in particolare lungo le commettiture delle tavole che risultano parzialmente compromesse a causa del movimento del legno.
Il restauro è affidato a un’équipe congiunta: per Capodimonte sono responsabili la curatrice delle collezioni di pittura e scultura del XIII, XIV e XV secolo, Alessandra Rullo, e i restauratori Alessia Zaccaria, Sara Vitulli e Loris Panzavecchia. Per l’Opificio delle Pietre Dure intervengono il soprintendente Emanuele Daffra, la direttrice del settore restauro di dipinti su tela e tavola Sandra Rossi e i restauratori Luciano Ricciardi, insieme a Ciro Castelli e Andrea Santacesaria.
La pala raffigurante san Ludovico da Tolosa che incorona il fratello Roberto d’Angiò è considerata il più significativo dipinto trecentesco su tavola legato al periodo angioino a Napoli. L’opera entrò a far parte delle collezioni pubbliche nel 1921, quando fu acquisita dal Museo Nazionale, oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Nel 1957 venne trasferita al Museo e Real Bosco di Capodimonte, inaugurato nello stesso anno nella Reggia borbonica.
Le fonti storiche collocano la pala, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, nella chiesa francescana di San Lorenzo Maggiore a Napoli, che viene generalmente ritenuta la sua sede originaria. Non mancano tuttavia ipotesi alternative che la collegano a Santa Chiara o al Duomo.
La storia del santo raffigurato è strettamente intrecciata con la vicenda politica e religiosa del regno angioino. Ludovico, figlio di Carlo II d’Angiò e Maria d’Ungheria, rinunciò al trono in favore del fratello Roberto per abbracciare la vita religiosa e l’ordine francescano. Morì nel 1297 a soli ventitré anni e fu canonizzato nel 1317, anno in cui gli storici collocano l’esecuzione del dipinto. Due anni più tardi gli Angioini trasferirono a Napoli alcune reliquie del santo da Marsiglia, consolidando il culto e il legame dinastico.
La pala è giunta a noi incompleta, poiché sono andati perduti i pilastrini, le cuspidi e una seconda tavola posta in alto, ma resta comunque un’opera di dimensioni monumentali, superiore ai tre metri di altezza. La superficie dorata, originariamente tempestata di gemme, mostra Ludovico seduto in trono, vestito con il saio francescano sormontato dalle ricche vesti episcopali. Due angeli lo incoronano con la corona celeste, mentre il santo stesso pone sul capo del fratello Roberto la corona del Regno di Napoli.
Nella predella sono raffigurate scene della vita del santo: i funerali dopo la morte a Brignoles e un miracolo postumo, accanto alla firma del pittore senese, “Symon de Senis me pinxit”, che testimonia l’orgoglio autoriale di Simone Martini, tra i protagonisti della pittura gotica internazionale.
Oltre all’evidente valore artistico, la pala ha un’enorme importanza storico-politica. La sua commissione rispondeva alla necessità di consolidare il prestigio della dinastia angioina, intrecciata con gli Arpadi d’Ungheria attraverso l’unione dinastica dei due lignaggi. L’iconografia stessa sottolinea questa dimensione: lo stemma del Regno di Gerusalemme campeggia sulla fibbia del piviale di Ludovico, mentre la cornice blu brillante, decorata con gigli d’oro, richiama l’araldica della dinastia capetingia francese da cui gli Angioini discendevano.
Dal punto di vista artistico, la pala rappresenta una delle opere giovanili più ambiziose di Simone Martini. Accanto alla padronanza della tecnica a tempera su tavola, l’artista sperimenta soluzioni innovative, adattando procedimenti provenienti da altri ambiti come la scultura e la lavorazione dei metalli. Il risultato è un’opera che unisce raffinatezza pittorica e complessità simbolica, in grado di incarnare tanto la spiritualità francescana quanto la celebrazione politica della dinastia regnante.
Con il recupero del “San Ludovico da Tolosa”, Capodimonte rafforza il proprio ruolo di museo in grado di coniugare tutela e valorizzazione, conservazione e ricerca. Un approccio che trova nell’alleanza con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze una garanzia di rigore scientifico e di eccellenza tecnica. Quando tra sei mesi il restauro sarà completato, il capolavoro di Simone Martini potrà essere restituito al pubblico in condizioni ottimali, rinnovando la sua funzione di testimone artistico e politico di un’epoca cruciale della storia napoletana ed europea.
Per inviare il commento devi
accedere
o
registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo
l’accesso.