Antonio Canova, vita e opere del grande scultore del Neoclassicismo


Antonio Canova (Possagno, 1757 - Venezia, 1822) è stato il più grande scultore del Neoclassicismo. La sua vita, le opere, la tecnica, i capolavori.

Il più importante esponente del neoclassicismo è stato Antonio Canova (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), che può anche essere considerato il maggior scultore del suo tempo. Fu un artista neoclassico piuttosto singolare: al contrario di molti neoclassici francesi, come Jacques-Louis David, Canova non fu politicamente impegnato ma, al contrario, riteneva che l’arte dovesse rimanere indipendente dalle pressioni esterne. Ciò nondimeno, Antonio Canova non si sottrasse alla realizzazione di numerosi ritratti e incarichi per i suoi potenti committenti, nei confronti dei quali tuttavia non nutriva pregiudizi anche se la sua visione politica era diametralmente opposta rispetto a quella del suo cliente. Canova è uno dei più originali interpreti del neoclassicismo teorizzato da Johann Joachim Winckelmann: nello scultore veneto, l’ideale di “nobile semplicità e quieta grandezza” del teorico tedesco viene trasmesso con opere lontane dall’algida freddezza dei neoclassici nordici, come Bertel Thorvaldsen, e che sono invece animate da un sentimento e da un’energia interiore che vengono controllati con l’intelletto e la razionalità.

Canova è noto anche per meriti che vanno oltre l’arte “prodotta”: dopo la caduta di Napoleone nel 1815 fu infatti incaricato dallo Stato Pontificio di ricondurre a Roma e nei territori sottoposti al dominio papale le opere che erano state saccheggiate durante l’occupazione francese. Una missione diplomatica molto delicata che riuscì, con Canova che riuscì a ricondurre a Roma gran parte delle opere che avevano preso la via della Francia.

Artista moderato, di carattere schivo, molto religioso, Canova fu visto da molti già al suo tempo come l’artista che aveva fatto risorgere l’antico in scultura e fu considerato degno d’esser paragonato ai grandi scultori della Grecia antica: il bello ideale della scultura antica era così tornato a manifestarsi nelle opere del grande artista veneto. Le sue opere sono ancor oggi tra le più apprezzate dal grande pubblico per via del loro equilibrio, della loro levigatezza (una delle caratteristiche principali dello stile di Canova), della loro bellezza atemporale. Canova durante la sua carriera si cimentò con diversi temi: soggetti mitologici (sono probabilmente le sue sculture più famose, dall’Amore e Psiche giacenti alle Tre Grazie), soggetti religiosi, ritratti. L’artista fu anche pittore, e sono numerosi i suoi dipinti che oggi si conservano. Si può inoltre considerare per certi versi il primo artista “contemporaneo” per ciò che attiene al metodo di lavoro: sviluppò infatti una tecnica che, attraverso i gessi, oggi raccolti in diversi musei (spiccano in particolare la Gipsoteca Canoviana di Possagno, i Musei Civici di Bassano del Grappa e la Gipsoteca dell’Accademia di Belle Arti di Carrara), gli permise di replicare numerose volte i suoi soggetti, per soddisfare le esigenze e il gusto di una clientela sempre più ampia e importante. Canova fu in definitiva uno degli artisti più abili, originali, moderni e innovativi del suo tempo.

Antonio Canova, Autoritratto (1792; olio su tela, 68 x 54,4 cm; Firenze, Uffizi, inv. 1890 n. 1925)
Antonio Canova, Autoritratto (1792; olio su tela, 68 x 54,4 cm; Firenze, Uffizi, inv. 1890 n. 1925)

Biografia di Antonio Canova

Antonio Canova nasce a Possagno, nel territorio della Repubblica di Venezia, il 1° novembre 1757 da Pietro, definito dalle fonti come “lavoratore in pietra e architetto” (proviene infatti da una famiglia di scalpellini) e Angela Zardo. Il piccolo Antonio perde il padre a soli quattro anni, nel 1761, e viene affidato alle cure del nonno Pasino Canova, scultore, presso cui Antonio compirà anche il suo primissimo apprendistato. Nel 1766 diventa allievo di Giuseppe Bernardi Torretti e due anni più tardi si trasferisce a Venezia assieme al suo maestro. Nel 1773, in seguito alla morte di Bernardi Ferretti, Antonio diventa studente di Giovanni Ferrari. Nei mesi successivi esegue i Canestri di frutta conservati al Museo Correr di Venezia che dovrebbero essere le sue prime opere autonome. Nel 1776 finisce di lavorare alle due statue di Orfeo ed Euridice che gli erano state commissionate dal senatore veneziano Giovanni Falier mentre nel 1777, a soli vent’anni, apre la sua bottega diventando così artista indipendente.

Nel 1779 viene eletto membro dell’Accademia veneziana e nello stesso anno esegue Dedalo e Icaro. Nel mese di novembre inizia un soggiorno a Roma che durerà fino al giugno dell’anno seguente. L’anno successivo, durante il suo soggiorno romano, compie una breve visita a Napoli e sul finire dell’anno torna di nuovo a Roma ed entra in contatto con l’ambasciatore veneziano Girolamo Zulian. Nel 1781 conosce Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy ed segue il Teseo per Zulian. Nel 1783, ormai artista già affermato nonostante la giovane età, ottiene la commissione per il monumento funebre di Clemente XIV che sarà terminato nel 1787. Dopo averlo terminato, torna per qualche tempo a Napoli dove conosce l’inglese John Campbell che gli commissiona il suo più celebre capolavoro, Amore e Psiche giacenti: l’opera oggi al Louvre verrà terminata nel 1793. Nello stesso anno inizia a lavorare al monumento funebre di Clemente XIII che sarà inaugurato nel 1792, anno in cui l’artista compie un viaggio tra il Veneto e l’Emilia. Nel 1794 esegue la sua famosa opera Venere e Adone e l’anno dopo il principe Onorato Gaetani gli commissiona l’Ercole e Lica. Nel 1798, in seguito all’occupazione di Roma da parte di Louis Alexandre Berthier e all’instaurazione della Repubblica giacobina, i francesi gli chiedono di giurare odio ai precedenti sovrani. Si dice che Antonio si sia rifiutato, pronunciando la frase in dialetto veneto “mi no odio nissun”: l’artista così lascia la città e fa ritorno nella terra natale. A Possagno lavora per la Parrocchiale e riceve da parte del duca Alberto di Sassonia l’incarico di realizzare il mausoleo per Maria Cristina d’Austria da destinarsi alla chiesa degli Agostiniani di Vienna. L’opera sarà terminata nel 1805.

Canova torna a Roma nel 1799 e nel 1800 iventa membro dell’Accademia di San Luca. Nel 1801 compie un viaggio a Parigi dove ottiene alcuni incarichi direttamente da Napoleone Bonaparte: in particolare viene incaricato di realizzare diversi ritratti, incluso il busto-ritratto di Napoleone (leggi qui un approfondimento sull’opera). Torna a Roma sul finire dell’anno. Nel 1802 il nuovo papa Pio VII lo nomina Ispettore Generale delle Belle Arti per lo Stato Pontificio, mentre nel 1804 ottiene un altra nomina dal pontefice, diventando Direttore perpetuo dell’Accademia del Nudo. Nel 1805 compie un viaggio a Vienna per l’inaugurazione del monumento a Maria Cristina d’Austria, e probabilmente sempre quest’anno finisce la statua di Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice. Nel 1807 conosce Leopoldo Cicognara del quale diventa buon amico, e nel 1809 si trasferisce per qualche tempo a Firenze dove realizza il monumento a Vittorio Alfieri nella basilica di Santa Croce. Nel 1810 è di nuovo invitato a Parigi per diventare scultore di corte, ma Antonio rifiuta. Si reca tuttavia in Francia per eseguire la statua dell’imperatrice Maria Luisa. Nello stesso anno diventa presidente dell’Accademia di San Luca.

Il grande scultore finisce nel 1811 di lavorare a una delle sue opere più famose, la Venere italica, e l’anno seguente inizia a scolpire il gruppo delle Tre Grazie che sarà terminato nel 1816. Nel 1815, in seguito alla caduta di Napoleone, lo Stato Pontificio lo incarica di recarsi a Parigi per reclamare le opere d’arte sottratte durante gli anni delle occupazioni francesi. Seppur con diverse difficoltà, l’artista riesce a recuperare molte opere. Nello stesso anno compie una breve visita a Londra. Nel 1816 rientra a Roma e inizia a lavorare al monumento equestre a Carlo III di Spagna che sarà terminato nel 1820 (lo si può ammirare in piazza del Plebiscito a Napoli). Nel 1818 è a Possagno dove inizia a lavorare al Tempio di Possagno, noto anche come Tempio canoviano, che sarà inaugurato però solo nel 1830, dopo la sua scomparsa. Rientra a Roma l’anno seguente e nel 1820 soggiorna per un’ultima volta a Napoli dove gli viene commissionato il monumento equestre a Ferdinando I. Non riuscirà però a terminare l’opera. Nel 1822, dopo un soggiorno a Possagno, inizia il cammino per tornare a Roma ma scompare durante il tragitto a Venezia, in data 13 ottobre. Le sue spoglie riposano nel Tempio di Possagno, mentre il suo cuore si trova nel Monumento funebre ad Antonio Canova conservato nella Basilica dei Frari di Venezia.

Antonio Canova, Dedalo e Icaro (1777-1779; marmo, 200 x 95 x 97 cm; Venezia, Museo Correr)
Antonio Canova, Dedalo e Icaro (1777-1779; marmo, 200 x 95 x 97 cm; Venezia, Museo Correr)
Antonio Canova, Teseo e il Minotauro (1781-1783; marmo, 145,4 x 158,7 x 91,4 cm; Londra, Victoria and Albert Museum)
Antonio Canova, Teseo e il Minotauro (1781-1783; marmo, 145,4 x 158,7 x 91,4 cm; Londra, Victoria and Albert Museum)
Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti (1787-1793; marmo, 155 x 168 x 101 cm; Parigi, Louvre). Foto di Francesco Gasparetti
Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti (1787-1793; marmo, 155 x 168 x 101 cm; Parigi, Louvre). Foto di Francesco Gasparetti
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1803-1822?; marmo, altezza 76 cm; San Pietroburgo, Ermitage)
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1803-1822?; marmo, altezza 76 cm; San Pietroburgo, Ermitage)
Antonio Canova, Monumento funebre di Clemente XIII (1792; marmo; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro)
Antonio Canova, Monumento funebre di Clemente XIII (1792; marmo; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro)

I capolavori e lo stile di Antonio Canova

Dopo l’esordio giovanile a Venezia, periodo durante il quale Canova, grande ammiratore di Gian Lorenzo Bernini, aveva prodotto opere ancora venate di gusto tardobarocco (come Dedalo e Icaro, opera del 1778-1779 conservata al Museo Correr di Venezia), il trasferimento a Roma segnò per l’artista un deciso cambio di orientamento, e la prima opera Teseo e il Minotauro può essere considerata il primo lavoro neoclassico dell’artista, con Teseo, l’eroe greco che sconfigge il mostruoso essere metà uomo e metà toro, che non viene rappresentato nel momento dello scontro, ma alla fine, mentre medita sull’avversario sconfitto a simboleggiare la vittoria dell’intelligenza sulla forza bruta. È opera compiutamente neoclassica perché Teseo è rappresentato non soltanto come eroe bello e dalle proporzioni armoniose e ideali, ma anche come uomo che non si lascia prendere dalle pulsioni. Lo stesso Minotauro, peraltro, viene rappresentato da Canova con un corpo ben equilibrato, che non disturba l’osservatore. Si tratta dunque della prima opera dalla quale filtra la lezione della statuaria classica che era divenuta il principale punto di riferimento dell’artista. Il Teseo e il Minotauro garantì un grande successo al giovane Canova, tanto che è di poco successivo l’incarico per il monumento funebre di Clemente XIV, la prima delle opere del genere funerario che garantirono grande fortuna all’artista veneto: conservata nella basilica dei Santi Apostoli di Roma, l’opera, seppur ancora debitrice nei confronti della statuaria berniniana (lo schema compositivo è infatti quello dei monumenti funebri di Gian Lorenzo Bernini) se ne discosta per la maggiore compostezza e per l’ormai totale assenza del dinamismo della scultura barocca. Il genere sarebbe stato poi ulteriormente rinnovato in seguito, per esempio con il Monumento funerario di Maria Cristina d’Austria, dove Canova riflette sul cammino dell’umanità verso la morte, simboleggiato dall’incedere dei personaggi verso la tomba, con l’originale utilizzo di una piramide dove viene collocato il sepolcro verso il quale si recano le figure, disposte secondo una rigorosa scansione.

Risale al 1787 (anche se l’opera verrà terminata nel 1793) l’ideazione del più famoso capolavoro di Canova, Amore e Psiche giacenti, rilettura del mito narrato da Apuleio e particolarmente in auge nell’arte del Settecento: l’artista raffigura il momento in cui Amore, l’amante di Psiche, risveglia con un bacio la giovane ninfa, caduta in un sonno profondo per effetto di un castigo comminatole da Venere (i due personaggi sono rappresentati nel momento in cui le loro labbra si sfiorano). È una delle sculture più ammirate della storia dell’arte per l’originalità della composizione, per l’intensità del momento che comunque viene controllata in modo sobrio, per gli effetti luminosi, per la morbidezza con cui Canova scolpisce il marmo (leggi qui un dettagliato approfondimento su Amore e Psiche giacenti). Canova non è però artista che rappresenta solo amori languidi e corpi morbidi. Nel Creugante e nel Damosseno, statue di due pugili antichi, l’artista offre infatti all’osservatore un’idea della forza, della potenza e della virilità di questi due personaggi che vengono rappresentati da Canova nel momento culminante del loro combattimento, pur comunque sempre controllato.

Una delle poche opere in cui l’artista trascende il suo intento di controllare pienamente le passioni è l’Ercole e Lica: qui, il semidio si appresta a scagliare con forza bruta il giovane Lica, responsabile di avergli portato, per ordine di Deianira (moglie gelosa di Ercole), una veste bagnata nel sangue del centauro Nesso, che dava a chi la indossava fortissimi dolori. Ercole, per vendicarsi, si accanisce dunque su Lica: è una delle rarissime opere dove il sentimento prevale sulla ragione, ma nonostante questo la composizione è attentamente bilanciata, con i corpi dei due personaggi che descrivono due archi perfetti, contrapposti. Opere come queste attirarono critiche ad Antonio Canova specialmente da parte dei neoclassici dell’Europa del nord, che non ammettevano opere così lontane dagli ideali di “nobile semplicità e quieta grandezza”. Canova eccelse poi nel genere del ritratto, restituendo immagini idealizzate dei soggetti che posavano per lui.

Il più noto dei ritratti di Canova è quello di Napoleone Bonaparte, prodotto in numerose repliche, mentre un caso a sé stante è quello della Paolina Borghese come venere vincitrice, oggi conservata alla Galleria Borghese. L’incarico nacque nel 1802, quando l’artista venne incaricato di eseguire il ritratto di Napoleone e alcuni ritratti idealizzati dei membri della famiglia, inclusa Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone e moglie di Camillo Borghese. Paolina viene rappresentata da Canova nuda e sdraiata su una chaise-longue: è un’opera che rimanda alla tradizione veneta delle Veneri sdraiate, aggiornata sul repertorio della statuaria classica (Canova probabilmente guardava addirittura alle urne etrusche), dove la bellezza del soggetto viene celebrata attraverso una rappresentazione idealizzata come dea dell’amore. L’artista raggiunge qui uno straordinario equilibrio tra naturalezza e bello ideale, oltre che tra azione e controllo, producendo uno dei capolavori più emozionanti della storia dell’arte. La stessa emozione è quella che anima il capolavoro della maturità di Canova, le Tre Grazie, commissionate da un facoltoso cliente inglese, John Russell, sesto duca di Bedford, che aveva visitato nel 1814 lo studio romano di Canova ed era rimasto impressionato. L’opera, eseguita da un singolo blocco di marmo di Carrara e anticipata in certo modo dalla Venere italica (la meravigliosa scultura realizzata come compensazione dopo il trasferimento in Francia della Venere dei Medici durante le spoliazioni napoleoniche: è una scultura in cui Canova rivisita l’iconografia classica della Venus pudica), rappresenta la danza delle Grazie che vengono rappresentate da Antonio Canova come tre donne nude che si abbracciano languide e si sfiorano in un’azione che è stata vista da molti come caricata di un evidente erotismo (caratteristica che i critici più intransigenti non ammettevano). L’eleganza della scultura, la finezza della lavorazione del marmo, la delicata bellezza delle tre donne ha reso questa scultura una delle più apprezzate della produzione canoviana.

Antonio Canova, Monumento funebre di Maria Cristina d'Austria (1798-1805; marmo, altezza 574 cm; Vienna, Sant'Agostino)
Antonio Canova, Monumento funebre di Maria Cristina d’Austria (1798-1805; marmo, altezza 574 cm; Vienna, Sant’Agostino)
Antonio Canova, Ercole e Lica (1795-1815; marmo, altezza 335 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)
Antonio Canova, Ercole e Lica (1795-1815; marmo, altezza 335 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Antonio Canova, Paolina Borghese come Venere vincitrice (1804-1808; marmo, 160 x 192 cm; Roma, Galleria Borghese)
Antonio Canova, Paolina Borghese come Venere vincitrice (1804-1808; marmo, 160 x 192 cm; Roma, Galleria Borghese)

La tecnica e il laboratorio di Canova

“Il Canova”, ebbe a scrivere Francesco Hayez nelle sue memorie, “faceva in creta il suo modello; poi gettatolo in gesso, affidava il blocco a’ suoi giovani studenti perché lo sbozzassero e allora cominciava l’opera del gran maestro. [...] Essi portavano le opere del maestro a tal grado di finitezza che sì sarebbero dette terminate: ma dovevano lasciarvi ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi lavorata da Canova più o meno secondo quello che questo illustre artista credeva dover fare. Lo studio si componeva di molti locali, tutti pieni di modelli e di statue, e qui era permessa a tutti l’entrata. Il Canova aveva una camera appartata, chiusa ai visitatori, nella quale non entravano che coloro che avessero ottenuto uno speciale permesso. Egli indossava una specie di veste da camera, portava sulla testa un berretto di carta: teneva sempre in mano il martello e lo scalpello anche quando riceveva le visite; parlava lavorando, e di tratto interrompeva il lavoro, rivolgendosi alle persone con cui discorreva”.

Antonio Canova è noto per la tecnica attraverso la quale era in grado di produrre numerose repliche dei suoi capolavori. La prima fase era la realizzazione del modello in gesso, lo strumento che gli consentiva di riprodurre le opere in più esemplari, ma ancor prima del gesso c’era il disegno (Canova è noto anche per essere stato un prolifico disegnatore), dal quale veniva poi realizzato un bozzetto in terracotta, che veniva poi tradotto in gesso. Nei gessi venivano fissati dei piccoli chiodi, detti “repere”, che servivano ai collaboratori di Canova per prendere le misure e le proporzioni, attraverso l’utilizzo di un pantografo (tali misure venivano poi riportate sul marmo). È per questo motivo che molti gessi canoviani appaiono colmi di fori: erano quelli in cui Canova inseriva le repere al fine di trasferire sul marmo le misure e riprodurre le opere in più esemplari. Si trattava di un lavoro che veniva svolto dai collaboratori dell’atelier: Canova, come gli artisti odierni, forniva disegni e modelli e, terminata la fase esecutiva, terminava l’opera levigandola o rifinendola con i dettagli.

Antonio Canova, Ebe (1816-1817; Forlì, Musei San Domenico, Pinacoteca civica). Foto di Giorgio Liverani
Antonio Canova, Ebe (1816-1817; Forlì, Musei San Domenico, Pinacoteca civica). Foto di Giorgio Liverani
Antonio Canova, Venere italica (1819; marmo; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)
Antonio Canova, Venere italica (1819; marmo; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)
Antonio Canova, Le tre Grazie (1812-1817; marmo, 182 x 103 x 46 cm; San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, inv. 506)
Antonio Canova, Le tre Grazie (1812-1817; marmo, 182 x 103 x 46 cm; San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, inv. 506)

Dove vedere le opere di Antonio Canova

Le opere di Canova sono conservate nei musei di tutto il mondo. Sebbene sia possibile farsi un’idea del percorso intero dell’artista visitando una gipsoteca che contenga una raccolta significativa dei suoi gessi (come quella di Possagno, la più importante e completa, o quelle di Bassano del Grappa e di Carrara), non ci sono musei che raccolgono marmi appartenenti a più fasi della carriere di Antonio Canova. Per vedere le sue opere in marmo è dunque necessario viaggiare molto. Il viaggio può cominciare da Roma e da Città del Vaticano, per vedere i monumenti dei papi e le sculture dei Musei Vaticani (il Creugante, il Damosseno e il Perseo trionfante). A Roma si trova inoltre la Paolina Borghese come venere vincitrice, alla Galleria Borghese, mentre la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e contemporanea conserva l’Ercole e Lica. A Firenze è possibile ammirare la Venere italica (Galleria Palatina di Palazzo Pitti), mentre a Genova, a Palazzo Tursi, si conserva la meravigliosa Maddalena (leggi qui un approfondimento sull’opera). Celeberrima è poi la Ebe, conservata ai Musei San Domenico di Forlì, e riprodotta in altri esemplari che si trovano a Berlino, all’Hermitage di San Pietroburgo e a Chatsworth House in Inghilterra. La Galleria Nazionale di Parma accoglie invece Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia. Tre importanti opere si trovano al Museo Correr di Venezia. Si tratta di opere giovanili: il Canestro di frutta, Orfeo ed Euridice e Dedalo e Icaro.

All’estero, oltre al Louvre dove si trovano Amore e Psiche giacenti, sculture di Canova sono conservate a Berlino (la Danzatrice con cembali del Bode Museum), a Vienna (il Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria nella chiesa di Sant’Agostino e il Teseo e il centauro del Kunsthistorisches Museum), a Ginevra (l’Adone e Venere al Musée d’Art et d’Histoire) e a Londra (il Teseo e il Minotauro al Victoria and Albert Museum e il Napoleone come Marte pacificatore al Wellington Museum). Numerose opere si trovano poi all’Hermitage di San Pietroburgo: è qui che è infatti conservata la prima versione delle Tre Grazie, ma il museo russo conserva anche altri importanti capolavori (su tutti l’Amorino alato e la Danzatrice mani sui fianchi).


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