Realismo socialista. Origini, sviluppo e principali esponenti


Il Realismo socialista si identifica con l’arte proletaria e progressista inscindibile dall’impegno sociale e politico dell’URSS.

Il Realismo socialista è stata una tendenza artistica che si affermò e impose nell’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) dalla metà degli anni Venti del XX secolo, dopo la rivoluzione del 1917, la morte di Lenin e la conseguente ascesa al potere di Stalin del 1924. Il Realismo socialista si riferisce generalmente allo stile di pittura formalmente realistico ma tematicamente artificiale dettato dal potere statale, che stabilì una forma di rappresentazione figurativa al servizio dell’ideologia politica. Si sviluppò in opposizione all’estetica delle avanguardie russe d’inizio secolo, contro l’astrazione geometrica e la funzionalità delle opere d’arte introdotte dal Suprematismo e Costruttivismo, in favore di un ritorno alla pittura di genere. Il termine Realismo socialista comprende però anche gran parte dell’arte visiva prodotta in altre nazioni comuniste da quel periodo in poi, così come espressioni associate in scultura e architettura, letteratura, teatro e musica.

La Russia aveva una storia importante legata alla pittura realista, che nell’Ottocento aveva preso la direzione di critica sociale, di denuncia delle condizioni e questioni della classe contadina e operaia, ma quando il dominio socialista iniziò a farsi sentire nell’URSS gli artisti furono sempre più costretti, pena altrimenti l’esilio, il carcere o la morte, a presentare immagini positive e propagandistiche delle scelte statali nella nuove repubbliche sovietiche.

Reprimendo la libera soggettività degli artisti delle avanguardie, che avevano rivoluzionato la composizione canonica del quadro e utilizzato forme geometriche e colori base e incluso alla pittura materiali da costruzione per esprimere i nuovi valori della società industrializzata, i pittori sovietici degli anni Trenta tornarono a visioni realistiche e descrittive della vita quotidiana, in composizioni per lo più statiche con soggetti precisamente delineati, positivi e integrati nella vita dello stato. Negli anni Trenta e Quaranta il Realismo socialista aveva spento l’espressione critica e la sperimentazione artistica, incanalando però nelle sue fila le attività di artisti, scrittori e compositori tecnicamente dotati. Pittori, scultori, e anche fotografi e cineasti, offrirono immagini idealizzate di leader politici e culturali, e del modo di vivere e lavorare della nuova Russia, nella maniera più convenzionalmente “realistica” possibile.

Aleksandr Deyneka, Stakhanovisti (1936; olio su tela, 126 x 200 cm; Perm', Galleria d'Arte Statale)
Aleksandr Deyneka, Stakhanovisti (1936; olio su tela, 126 x 200 cm; Perm’, Galleria d’Arte Statale)
Aleksandr Deyneka, Futuri piloti (1938; olio su tela, 131 x 161 cm; Mosca, Galleria Tret'jakov)
Aleksandr Deyneka, Futuri piloti (1938; olio su tela, 131 x 161 cm; Mosca, Galleria Tret’jakov)
Isaak Brodskij, Vladimir Lenin 1 maggio 1920 (1927; olio su tela, 116 x 89 cm)
Isaak Brodskij, Vladimir Lenin 1 maggio 1920 (1927; olio su tela, 116 x 89 cm)

Origini e sviluppo del Realismo socialista

Il Realismo socialista ha costituito, fino al crollo del comunismo, l’arte ufficiale dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti dell’Europa orientale, basato su principi teorizzati ufficialmente dal politico Andrej Aleksandrovi? Ždanov nel 1934, anno della creazione dell’Accademia sovietica di architettura e del Primo Congresso degli scrittori sovietici. Il Realismo socialista, come forma d’arte proletaria caratterizzata da una ricerca puramente figurativa volta “all’educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo”, prese piede però un decennio prima, proponendosi il superamento delle avanguardie sovversive russe degli anni Venti che, pur nel dichiarato tentativo di dare alle arti una nuova funzione sociale, non rispondevano alle reali esigenze della nuova URSS.

Per un certo periodo le sperimentazioni del Cubo-Futurismo russo, del Suprematismo e del Costruttivismo furono tollerate e persino incoraggiate dal nuovo governo comunista: l’artista costruttivista Naum Gabo, emigrato in Germania nel 1922, ricordava che “all’inizio lavoravamo tutti per il governo”. In una certa misura, questa libertà dimostrò che il Comitato Centrale, nuovo organo dirigente dell’URSS, prestava alle questioni culturali non troppa importanza mentre era alle prese con la guerra civile russa del 1917-22. Ma già appunto nel 1922, anno in cui finì la guerra e in cui Stalin iniziò a consolidare il suo controllo, lo Stato stava cominciò a condizionare la libertà di espressione creativa; quando Stalin salì al potere alla morte di Lenin nel 1924, seguì un cambiamento più drastico nella cultura. A differenza della maggior parte dei movimenti della storia dell’arte, il Realismo socialista fu imposto dall’alto attraverso pressioni informali da metà degli anni Venti in poi. Stalin aveva idee specifiche e prescrittive su come l’arte dovesse servire il nuovo stato: doveva offrire immagini inequivocabilmente positive della vita nella Russia comunista, in uno stile visivo realistico che potesse essere facilmente apprezzato dalle masse, “nazionale nella forma, socialista nel contenuto”, usata dunque come propaganda. Si ritenne in quel primo periodo che le avanguardie avessero linguaggi inaccessibili, e molti dei principali esponenti fuggirono in Europa per evitare l’isolamento, la prigione o la morte, come in seguito sarebbe successo anche nella Germania nazista.

Uno degli organi indipendenti del Realismo socialista fu l’Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria (AKhRR), fondato nel 1922, con sedi a Mosca e Leningrado (oggi San Pietroburgo). Gli artisti dell’AKhRR si dedicarono a produrre dipinti raffiguranti la vita quotidiana dei lavoratori della Russia post-rivoluzionaria, seguendo le scuole del Naturalismo e Realismo che in Europa e in Russia avevano dedicato i loro sforzi a dipingere scene di genere con lavoratori poveri dalla metà dell’Ottocento in poi. Il gruppo dell’AKhRR trovava ispirazione nel lavoro dell’Armata Rossa, degli operai urbani come dei contadini rurali, degli attivisti rivoluzionari e degli eroi stacanovisti: modelli del ruolo sovietico imposto ai cittadini, opere con cui il popolo potesse relazionarsi. Tuttavia, il gruppo che vide tra le sue fila uno dei massimi rappresentanti del Realismo sovietico Isaak Israilevi? Brodskij (Sofiivka, 1883 – Leningrado,1939), ebbe una breve esistenza, e nel 1932 fu abolito, come tutti i gruppi di artisti non riconosciuti dallo stato. A loro seguirono i pittori tra cui Aleksander Deyneka (Kursk, 1899 – Mosca, 1969) e Yuri Pimenov (Mosca, 1903 – 1977) della Società dei pittori di cavalletto (OST) costituita a Mosca nel 1925, che proclamavano un ritorno al cavalletto, appunto, opponendosi alla tesi rivoluzionaria del Costruttivismo di unione tra le arti in rapporto all’ingegneria. L’OST riaffermava così una visione più tradizionale e reazionaria del ruolo del pittore. Come l’AKhRR, era un gruppo indipendente che nel 1928 si divise in due, quando un certo numero di pittori più interessati all’astrazione formale si staccò da Deyneka e Pimenov, fino al 1932, quando fu sciolto.

Le opere d’arte da quel momento dovevano parlare ai lavoratori e rispecchiarli, essere di spirito nazionalista, per rappresentare la quotidianità del popolo russo, e in sostegno alle mire dello Stato e del Partito comunista. Il Comitato Centrale annunciò che tutti i gruppi letterari e artistici esistenti sarebbero stati sciolti, per essere sostituiti da unioni statali autorizzate. Ciò portò alla fondazione dell’Unione degli artisti dell’URSS, ponendo effettivamente fine all’era dell’arte moderna indipendente in Russia, che era stata vitalmente attiva sin dagli anni Sessanta dell’Ottocento. L’epoca del Realismo socialista statale iniziò effettivamente a questo punto, nel ‘32, sebbene fu esplicitamente approvata come politica stalinista solo due anni dopo, come si diceva, al Congresso degli scrittori sovietici del 1934 e applicata attivamente in tutte le arti. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, il Realismo socialista fu esportato negli stati satelliti del Blocco orientale.

Aleksandr Gerasimov, Stalin e Voroshilov al Cremlino (1938; olio su tela, 296 x 386 cm; Mosca, Galleria Tret'jakov)
Aleksandr Gerasimov, Stalin e Voroshilov al Cremlino (1938; olio su tela, 296 x 386 cm; Mosca, Galleria Tret’jakov)
Aleksandr Gerasimov, Lenin sul podio (1930; olio su tela, 280 x 210 cm; Mosca, Museo Statale di Storia)
Aleksandr Gerasimov, Lenin sul podio (1930; olio su tela, 280 x 210 cm; Mosca, Museo Statale di Storia)
Vera Mukhina, L'operaio e la kolchoziana (1937; acciaio inossidabile, altezza 24,5 m; Mosca, Centro Panrusso delle Esposizioni). Foto: Willem van de Poll
Vera Mukhina, L’operaio e la kolchoziana (1937; acciaio inossidabile, altezza 24,5 m; Mosca, Centro Panrusso delle Esposizioni). Foto: Willem van de Poll

Lo stile statale, temi e soggetti nelle arti

Lo stile del Realismo socialista vide un ritorno al disegno e alla pittura dal vero, in modo molto lineare e preciso. Alcuni dipinti erano così realistici da sembrare simili alla fotografia a colori. Ma per quanto queste opere conservassero la resa stilistica del Realismo ottocentesco non guardavano alla realtà come soggetto da interpretare. Il modello artistico era intransigente e delineato dallo stato, e doveva essere ottimista nello spirito, realista nello stile e incentrato sul proletariato o su singoli eroi della nuova repubblica, figure di stato o, come più spesso accadeva, membri delle classi lavoratrici elevati al livello di celebrità, come Alexey Stakhanov.

Stakhanov fu noto per aver stabilito record sorprendenti come minatore di carbone nel 1935, lavorando alacremente per raccogliere centinaia di tonnellate di carbone in poco tempo; divenne figura di spicco di un culto della produttività, che si affermò poi diffusamente con lo Stacanovismo dopo il 1935, il cui solo nome indica per antonomasia l’efficienza zelante sul lavoro. Stakhanovisti di Deyneka del 1936, è un valido esempio della funzione sociale richiesta alla pittura, raffigura infatti la comunità ideale dei cittadini russi in riferimento a un instancabile lavoratore per la causa sovietica. Un corteo di operai alti, felici, sani e vestiti di bianco compare davanti al Palazzo dei Soviet, edificio la cui costruzione non era iniziata quando fu composto il dipinto, e che iniziò l’anno successivo per non essere mai concluso. In somma, la creatività nel Realismo socialista risiedeva nella “messa in scena dell’immagine”.

Eroi proletari come Stakhanov sono i soggetti di questo periodo, dagli operai e scienziati, agli ingegneri civili e contadini, tutti incarnano lo stesso spirito di volontà individuale diretto verso ideali collettivisti. Questo, ovviamente, era un altro motore del Realismo socialista: si riteneva che l’istituzione di una società collettivista richiedesse una venerazione quasi religiosa dell’individuo. A partire dai leader del nuovo stato. In uno schema ripetuto attraverso le culture totalitarie per tutto il XX secolo, queste figure hanno effettivamente preso il posto delle icone religiose nell’immaginario pubblico, apparendo in ritratti e manifesti monumentali. Gran parte di questo lavoro è stato prodotto da pittori di talento come Brodskij, che alla fine degli anni Venti e Trenta compose diversi dipinti di Lenin durante le fasi chiave della rivoluzione russa. Come in Vladimir Lenin 1 maggio 1920 (1927), si celebravano il culto della personalità cresciuto intorno a Lenin e Stalin e il senso di ottimismo che ci si aspettava che gli artisti trasmettessero. Figura di spicco in questo ambito fu Aleksandr Gerasimov (Kozlov, 1881 – Mosca, 1963), specializzato in ritratti adulatori della leadership (Stalin e Voroshilov al Cremlino, 1938), che divenne capo dell’Unione degli artisti dell’URSS e dell’Accademia delle arti sovietica.

Parallelamente lo stile prese piede nella sfera pubblica attraverso la grafica e la fotografia, proprio attraverso i manifesti, anche di artisti ignoti, per lo più raffiguranti operai del proletariato impegnato nell’industria, affissi nelle piazze. La fotografia, detta socialista realista, fu uno strumento per le campagne di propaganda pubblica, per immortalare i volti raggianti dei lavoratori, inquadrati dal basso o in un primo piano, enfatizzando ancora una volta lo sforzo individuale che spingeva in avanti l’Unione Sovietica.

Il Realismo socialista si espresse anche nella scultura, e nonostante i limiti imposti alla portata formale e tematica delle opere, impegnò numerosi artisti di talento, proprio come per la pittura. Tra questi scultori c’era Vera Mukhina (Riga, 1889 – Mosca, 1953), che realizzò una delle statue esemplari del periodo, L’operaio e la kolchoziana nel 1937. Alta 24,5 metri in acciaio inossidabile, presenta un’immagine ottimistica del sistema agricolo collettivo “Kolchoz”, attuato durante il primo piano quinquennale di Stalin (1928-32), malgrado di fatto la “proprietà agricola collettiva” avesse portato a un calo della produttività. Ma agli artisti realisti socialisti era richiesto di esaltare, malgrado tutto, la riuscita attuazione della collettivizzazione: l’operaio tiene in alto un martello e la kolchoziana, ovvero la contadina del Kolchoz, una falce, ricreando trionfalmente il simbolo del movimento politico con la falce e il martello.

La propaganda del Realismo socialista agiva così, in modo sottile, condotta anche, oltre che nei dipinti di genere, attraverso raffigurazioni come la natura morta, che raffiguravano l’abbondanza all’interno dello stato comunista. Per quanto rispetto alla ritrattistica, queste scene non avessero alcun collegamento esplicito con i temi politici, lanciavano messaggi vincenti di situazioni realisticamente meno rigogliose; da qui la differenza con quello che era stato il Realismo sociale del secolo precedente, la nuova Russia in cui operavano questi artisti era molto diversa da quella che erano costretti a rappresentare.

Anche nel campo dell’architettura, in cui il Costruttivismo russo aveva agito negli anni subito precedenti eliminando il superfluo decorativo (del 1929 è il primo rifiuto ufficiale del formalismo costruttivista dichiarato dal gruppo Architetti Proletari o VOPRA), fu via via sostituito da uno stile monumentale considerato più “leggibile” dalle classi popolari. Caratterizzato dal ricorso a forme classiche di tradizione accademica e da una sovrabbondante decorazione, rappresentava in pieno la spinta dell’Unione Sovietica.


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