La vicenda Bernardino Luini a Milano: a perderci siamo tutti noi


La vicenda del dipinto attribuito prima a Bernardino Luini e poi alla sua bottega, che ha diviso gli studiosi Agosti e Stoppa e la Pinacoteca Ambrosiana, rischia di colpire duramente l'ambiente della storia dell'arte.

Se non fosse che la vicenda è vera, ci sarebbe anche da ridere. Ma è successo davvero: Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, curatori della mostra Bernardino Luini e i suoi figli, in corso fino al 13 luglio a Milano (a Palazzo Reale), si fanno prestare un dipinto dalla Pinacoteca Ambrosiana, la Sacra famiglia con sant’Anna e san Giovannino, da sempre attribuito a Bernardino Luini. Tuttavia, i due studiosi ritengono che il dipinto non sia di mano del grande pittore lombardo del Rinascimento, e propendono per una più prudente attribuzione alla sua bottega (o agli “eredi”, come scritto nelle notizie uscite sui giornali). Agosti e Stoppa commettono però un errore, a quanto si apprende dalle parole rilasciate dalla Pinacoteca Ambrosiana al Corriere della Sera (che tra l’altro titola impropriamente: “Quel Luini non è autentico”: un titolo senza senso dal momento che il dipinto se attribuito ad altri non perde la sua autenticità, e cioè non diventa un falso): ovvero, non avvertono il museo proprietario del dipinto circa la nuova attribuzione. La Pinacoteca quindi decide di ritirare il dipinto dall’esposizione e di riportarselo “a casa”.

Il dipinto contestato
Il dipinto contestato

Come faceva notare lo storico dell’arte Fabrizio Federici sulla sua pagina Facebook Mo(n)stre in un post pubblicato l’altro ieri, sono davvero troppi gli elementi che fanno fare una magra figura agli studiosi ma forse ancor più alla Pinacoteca. Se è vero che gli studiosi non hanno avvertito la Pinacoteca, si tratta di una mancanza non da poco: non solo non è carino sul piano “formale”, ma formulare nuove attribuzioni senza informare direttamente il possessore di un dipinto rischia di creare incidenti diplomatici. Che poi si sono, per l’appunto, verificati puntualmente. Ma questa non è stata l’unica disattenzione commessa da Agosti e Stoppa. Per cercare di difendere il loro gesto, hanno dichiarato, nello stesso articolo del Corriere che abbiamo linkato sopra, che “la differenza di attribuzione avrebbe senso in una casa d’aste, ma in questo caso il problema non si pone: il quadro non è in vendita”. Non è proprio così che stanno le cose: è vero che il cambio di attribuzione non toglie alcunché all’opera sul piano formale (anche per il fatto che rimane sempre uno splendido dipinto eseguito da un artista capace e intelligente, che ha saputo rielaborare in modo non banale chiari spunti leonardeschi), ma è vero anche che il valore di un’opera d’arte non si misura soltanto in termini economici.

Appare infatti lampante che l’appeal di un dipinto diminuisce se l’attribuzione passa da un famoso maestro a un artista di cui neppure si conosce il nome, dato che Agosti e Stoppa ritengono che si tratti di un’opera della scuola di Luini, senza che però sia stato formulato un nome preciso. Dunque il dipinto, pur senza subire un declassamento sul piano formale (e in tal caso sarebbe da rivedere il giudizio della Pinacoteca che parla, appunto, di opera “declassata”), presso il pubblico delle mostre va sicuramente incontro a una perdita di quel fascino che connota un’opera realizzata dalla mano di un grande maestro. Ma attenzione: non importa se la perdita di fascino è a torto o a ragione, perché anche noi di Finestre sull’Arte siamo convinti che il fascino di un dipinto deve essere slegato dalla mano di chi lo produce: ci sono grandi artisti che spesso hanno prodotto dipinti non proprio entusiasmanti, e viceversa autori pressoché sconosciuti al grande pubblico sono stati capaci di opere fortemente suggestive. Resta il fatto che è innegabile che su una parte del pubblico un dipinto eserciti una certa attrattiva in quanto eseguito da un artista celebre. Questo non significa che gli studiosi non debbano fare il loro lavoro e non debbano rivedere un’assegnazione, se ritengono giusto farlo: è solo che gli stessi studiosi, pur non avendo condotto un ragionamento errato (se vogliamo, è solo una constatazione incompleta), non dovrebbero allo stesso tempo minimizzare le logiche che portano una parte del pubblico a dare maggior considerazione a un dipinto piuttosto che a un altro in virtù dell’artista che lo ha realizzato. Quindi ha poco senso dire che “il quadro non è in vendita”, perché non è affatto questo il punto, e gli studiosi probabilmente lo sanno bene: ci auguriamo che si siano soltanto espressi male. Del resto, un lieve errore come questo può capitare a chiunque. Conosciamo il lavoro di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa e sono due tra i migliori storici dell’arte attualmente in attività: la mostra, da loro curata, sul Bramantino di due anni fa, è stata una mostra eccezionale e memorabile. Il valore di questi due studiosi non è quindi minimamente intaccato.

Dispiace però osservare il comportamento della Pinacoteca Ambrosiana, che ha fatto uscire comunicati stampa poco simpatici e che, con una reazione probabilmente troppo esagerata, si è riportata via il dipinto senza voler tentare il benché minimo dialogo con i curatori della mostra. È proprio questo uno degli aspetti che più nuocciono alla storia dell’arte. La mancanza di dialogo e di ascolto reciproco, le divisioni, le rivalità, la scarsa capacità di venirsi incontro in modo pacifico: sono tutte situazioni che, intanto, non interessano il pubblico, e soprattutto rischiano di far perdere credibilità all’ambiente. È proprio in momenti come questi, in momenti di scarsa attenzione per la storia dell’arte da parte della politica e dei media, di cronica mancanza di fondi e di tagli continui, che bisognerebbe abbattere ogni tipo di barriera per venirsi incontro e iniziare a costruire più che a distruggere. Anche nel caso del dipinto di Luini, sarebbe quindi stato molto meglio se ci fosse stato un dialogo nobile e appassionato: avrebbe giovato a tutti, alla ricerca in primis. E alla fine, chi ci rimette, è anche il pubblico, che non avrà la possibilità di ammirare l’opera in mostra. E qualcuno domanderà perché. La risposta non potrà che essere una: l’assenza del dipinto è il risultato dell’ennesimo bisticcio che rischia di far apparire estremamente provinciale (anzi, probabilmente ci è già ampiamente riuscito) tutto il sistema dell’arte italiano. Quindi, a perderci, siamo tutti noi. Sarebbe pertanto ora di smetterla con queste situazioni e di superare le divisioni. Giova ripeterlo: avremmo tutti da guadagnarci.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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