Ecce Homo, Antonio Vannugli: “ho dei forti dubbi che sia un dipinto di Caravaggio”


L'Ecce Homo che stava per andare in asta a Madrid può essere un dipinto di Caravaggio? Ne discutiamo con il professor Antonio Vannugli, che esprime forti dubbi sull'autografia dell'opera.

Nei giorni scorsi, diversi studiosi si sono molto sbilanciati sulla possibile autografia caravaggesca di un Ecce Homo che stava per andare in asta a Madrid presso la casa Ansorena. C’è però anche chi mantiene un atteggiamento molto più cauto: è il caso del professor Antonio Vannugli, docente di storia dell’arte moderna all’Università del Piemonte Orientale, studioso di arte del Seicento, che ha lavorato a lungo sulla collezione di Juan de Lezcano, indicata in questi giorni come possibile provenienza del dipinto riemerso. Lo abbiamo sentito per conoscere la sua opinione sul dipinto. L’intervista è di Federico Giannini.

Caravaggio (attr.), Ecce Homo (olio su tela, 111 x 86 cm)
Caravaggio (attr.), Ecce Homo (olio su tela, 111 x 86 cm)

FG. Professor Vannugli, qual è il suo parere sull’Ecce Homo di Madrid?

AV. Immaginando che corrisponda al vero il fatto che il quadro sia spuntato come un fungo (non sappiamo nulla sulla provenienza: sappiamo solo che si trovava a Madrid da una decina di anni), si tratta di un dipinto completamente decontestualizzato. Io non l’ho visto dal vero come molti di noi, tuttavia ho dei forti dubbi che sia di Caravaggio, e se è di Caravaggio sono molto restio ad accettarlo come un’opera del periodo romano. Diciamo che c’è un doppio livello di resistenza. Innanzitutto perplessità sull’attribuzione, e nel caso di Caravaggio la capacità di addivenire a un parere condiviso è difficilissima, specialmente quando si tratta di quadri che non hanno un pedigree ben preciso. Poi, per di più, questa è una composizione praticamente ignota, nel senso che ne esiste soltanto una copia di cui non conosciamo ubicazione e misure (ma la cui inquadratura è pressoché identica a quella del dipinto di Madrid) che fu pubblicata da Longhi nel 1954 e che si trovava da qualche parte in Sicilia settant’anni fa. Comunque, ammesso e non concesso che alla fine si raggiunga un buon grado di consenso, sono molto restio a vederla come un’opera romana, perché le ultime opere romane di Caravaggio come la Morte della Vergine, la Madonna dei Palafrenieri e il San Giovanni Battista di Kansas City mi sembrano sinceramente assai diverse.

Alcuni hanno legato il dipinto a una possibile committenza Massimi, mentre altri hanno già scartato questa ipotesi. Può essere una strada percorribile?

Premetto che, a mio parere, da molti anni avviene un particolare fenomeno (che riguarda, per esempio, anche Leonardo da Vinci, giusto per fare un altro nome), cioè che quando si parla di nomi di questo calibro ci si accontenta di livelli ipotetici molto più bassi di quelli che si esigono per qualunque opera d’arte d’importanza non altrettanto eclatante per i mass media. Voglio dire che se invece del Caravaggio noi stessimo parlando di Giacinto Gimignani o di Bartolomeo Manfredi, le carte che abbiamo in mano indurrebbero a prudenze ben maggiori, saremmo tutti sul “forse”, mentre nel caso del Caravaggio sembra che sia sufficiente stabilire degli alberi genealogici provenienziali che si basano su presupposti dubbi. Ma veniamo al dunque: noi abbiamo un bel mazzo di carte. Abbiamo una ricevuta autografa di Caravaggio del giugno 1605 in cui l’artista si impegnava a dipingere per Massimo Massimi un “quadro” di tema non specificato destinato ad accompagnare, anche per dimensioni, un’Incoronazione di spine che gli aveva già dipinto in precedenza. Quindi abbiamo una ricevuta di Ludovico Cardi detto il Cigoli in cui l’artista afferma, senza indicarne i soggetti, che avrebbe dipinto un quadro “grande” che doveva far coppia con un quadro già esistente di Caravaggio: si tratta di una ricevuta del 1607, quando Caravaggio aveva già abbandonato Roma da un anno. Dalla biografia del Cigoli, scritta una ventina d’anni dopo dal nipote Giovan Battista Cardi, sappiamo poi con certezza che i quadri dipinti per Massimi da lui e da Caravaggio raffiguravano entrambi un Ecce Homo, come anche un terzo eseguito per il medesimo committente da un altro artista, il Passignano. Il quarto elemento è un disegno preparatorio del Cigoli oggi al Louvre per il suo Ecce Homo, su un foglio dove in basso si trova anche uno schizzetto della composizione di un’Incoronazione di spine. Ora le dimensioni dell’Ecce Homo del Cigoli, che fu venduto da Massimi già negli anni venti del Seicento ed è oggi a Firenze a Palazzo Pitti, e la composizione di questa Incoronazione di spine schizzata dal Cigoli sotto lo studio preparatorio per il proprio Ecce Homo corrispondono con precisione all’Incoronazione di Spine di Prato di Caravaggio. Dunque, il fatto che il quadro pratese sia il quadro di Caravaggio dipinto per Massimi lo confermano l’identità di misure con l’Ecce Homo di Cigoli e la corrispondenza compositiva con lo schizzetto sotto il disegno di Cigoli. A questo punto però abbiamo il problema dell’Ecce Homo di Caravaggio, dovrebbe avere le stesse misure degli altri due. Passiamo al 1644: nell’inventario redatto alla morte di Massimo Massimi, all’interno della sua camera figurano un’Incoronazione di spine e un Ecce homo, citati tutti e due come “quadro grande” ed entrambi protetti da un’identica stessa tendina di taffetà rosso a rimarcarne la preziosità, in termini che li fanno pensare delle stesse dimensioni. Non basta: un Ecce Homo compare ancora, nel medesimo ambiente, in un inventario di casa Massimi del 1696. Per contro, nella vita di Caravaggio pubblicata nel 1672 Bellori afferma che il suo Ecce Homo “fu portato in Spagna”, notizia che sembra andare d’accordo con il minor gradimento che il quadro ottenne rispetto a quello del Cigoli, il quale ciononostante fu alienato in vita dal committente. Si apre dunque una Y: da una parte la testimonianza di Bellori, dall’altra l’inventario del 1644. Se a questo punto chiamiamo in causa i due diversi Ecce Homo attribuiti a Caravaggio giunti fino a noi, dobbiamo ammettere che qualunque ipotesi di identificazione parte dal presupposto che Caravaggio non avesse rispettato le misure e non lo avesse fatto uguale all’Incoronazione di spinecome promesso, quando invece il Cigoli fu fedele alle richieste; infatti, sia l’Incoronazione di spine di Prato sia l’Ecce Homo del Cigoli misurano 178 cm di altezza, mentre l’Ecce Homo di Genova solo 128 cm e quello di Madrid appena 111. Oppure dovremmo supporre che il quadro di Caravaggio fu stato tagliato, perché oggi le misure non corrispondono. E ancora nell’inventario Massimi i due quadri sono senza nome d’autore: se fosse un quadro di un tema rarissimo l’identificazione potrebbe acquistare valore, ma stiamo parlando di un Ecce Homo, una tipica immagine di devozione privata, ne esistevano moltissimi all’epoca. Poi è anche una questione critica: si tratta di mettere su un piatto della bilancia l’inventario Massimi e sull’altro la testimonianza di Bellori, preceduta da quella più vaga del nipote del Cigoli. Allora se noi accettiamo come valida la testimonianza dell’inventario, io rimango sorpreso, perché penso al fatto che nell’inventario non ci sono neppure i nomi, e come facciamo a non inferire, per esempio, che Massimo Massimi poteva essere rimasto in possesso di una copia? Massimi non poteva essersi fatto un altro Ecce Homo, tant’è che come abbiamo visto il nipote di Cigoli dice che si fece dipingere un Ecce Homo anche dal Passignano, e si tratta di un quadro di cui non sappiamo niente. Come facciamo a escludere che l’inventario non si riferisca al dipinto del Passignano, che peraltro poteva essere un quadro altrettanto bello? Ma proviamo lo stesso a prendere per buona la notizia pur anonima dell’inventario, e a farla andare d’accordo con la testimonianza del nipote del Cigoli (una testimonianza orale, ricevuta dallo zio), il quale è vero, non dice esplicitamente che l’Ecce Homo di Caravaggio fu venduto (lo inferisce a fine Seicento Baldinucci, interpretando il resoconto di Giovan Battista Cardi). Saremmo costretti a sostenere che il quadro di Caravaggio (se vogliamo dare almeno retta a Bellori) sarebbe stato portato in Spagna dopo la morte di Massimo Massimi, dopo il 1644. Quindi o il quadro è andato via tra il 1644 e il 1672, quando Bellori pubblicò la sua biografia di Caravaggio (che peraltro fu scritta alcuni anni prima), con buona pace del posteriore inventario del 1696, oppure occorre smentire anche Bellori e il discorso comincia a diventare molto pesante. Ma anche nell’altro caso, un quadro che lascia Roma tra il 1644 e gli anni Sessanta, tra fonti letterarie, viaggiatori e testimonianze varie avrebbe dovuto produrre qualche traccia, perché dopo il 1644 un quadro di Caravaggio che va in giro e passa di mano fa già notizia.

Caravaggio, Incoronazione di spine (1602; olio su tela, 125 x 178 cm; Collezione Intesa San Paolo, esposto a Prato, Palazzo degli Alberti)
Caravaggio, Incoronazione di spine (1602; olio su tela, 125 x 178 cm; Collezione Intesa San Paolo, esposto a Prato, Palazzo degli Alberti)


Ludovico Cardi detto il Cigoli, Ecce Homo (1607; olio su tela, 175 x 135 cm; Firenze, Palazzo Pitti, inv. 1912 n. 90)
Ludovico Cardi detto il Cigoli, Ecce Homo (1607; olio su tela, 175 x 135 cm; Firenze, Palazzo Pitti, inv. 1912 n. 90)

Dobbiamo dunque seguire la via della Spagna. Molti in questi giorni hanno citato una possibile provenienza dalla raccolta di Juan de Lezcano, che Lei conosce molto bene. Ci troviamo di fronte a un’evenienza percorribile?

Per prima cosa, ricordiamo che nell’inventario di Juan de Lezcano, compilato a Napoli nel 1631, compare con grande evidenza un Ecce Homo di Caravaggio, e consideriamo che se un quadro del Caravaggio è uscito da Roma nel 1616, cioè all’epoca in cui Lezcano terminava la sua permanenza a Roma come segretario dell’ambasciatore Francisco de Castro, è più possibile che non abbia lasciato tracce. Se dunque accettiamo l’idea che l’Ecce Homo dell’inventario Massimi del 1644 non sia quello di Caravaggio e diamo retta a Bellori, e anche al nipote del Cigoli secondo l’interpretazione di Baldinucci, certamente l’ipotesi di un’identificazione del quadro Massimi con il quadro Lezcano è molto plausibile, perché Lezcano sta a Roma dal 1609 al 1616, poi se ne va. Quindi sarebbe un’evenienza che si incastra perfettamente nella storia. Lezcano, nel suo inventario, dice che il quadro vale più di 800 ducati. Inoltre sulle misure Lezcano è molto approssimativo: per lui un “quadro grande” è un qualunque dipinto che non sia un quadretto fiammingo da cabinet, dunque un “quadro grande” è per lui anche un quadro di soli quattro-quattro palmi e mezzo romani, cioè di circa un metro (misura che a Lezcano già basta per definire un quadro “grande”, lo sappiamo in relazione ai diversi quadri di Orazio Borgianni di cui era amico e che descrive in fila all’inizio dell’inventario). Poi Lezcano è molto approssimativo dal punto di vista dell’iconografia (ma almeno sull’Ecce Homo possiamo evitare di andare a sindacare), però è molto attento dal punto di vista del valore economico e dell’attribuzione. Lezcano non è uno che scrive cose a vanvera sulle attribuzioni: se Lezcano dice che era un quadro di Caravaggio vuol dire che era davvero convinto che fosse un quadro di Caravaggio. Ora, se Lezcano ha incrociato il Caravaggio può averlo fatto solo a Napoli tra il 1606 e il 1607, ma non a Roma, perché quando Lezcano arriva a Roma, nel 1609, Caravaggio se n’è già andato. E però la collezione Lezcano è in massima parte di acquisti di seconda mano sul mercato (c’è qualche altro caso di probabile committenza, ma sono molto molto limitati). Ancora, Lezcano dal 1616 al 1622 sta a Palermo, e dal 1622 va a Napoli, poi nel 1631 fa l’inventario e nel 1634 muore. La collezione viene smembrata e venticinque anni dopo, nel 1657, viene redatto a Napoli un inventario della collezione del viceré conte di Castrillo, dove figura un Ecce Homo del Caravaggio, e quando nel 1658 finisce il mandato come viceré, il conte di Castrillo torna a Madrid, e questo è un dato sicuro. Il quadro Massimi è il quadro Lezcano? Dovrebbe essere, perché le notizie corrispondono perfettamente alle testimonianze di Cardi e di Bellori, pur con il comprensibile equivoco della tradizione orale “fu portato via dagli Spagnoli” intesa come “fu portato in Spagna”, mentre invece non corrispondono a ciò che si desume dall’inventario Massimi. Il quadro Lezcano è il quadro Castrillo? Abbiamo da una parte l’inventario Lezcano a Napoli nel 1631, in cui è solo detto che l’Ecce Homo era “grande”, e abbiamo un quadro inventariato a Napoli nel 1657: stessa città e stessa iconografia, ma, nell’inventario del 1657, la misura è di cinque palmi napoletani, cioè circa 130 centimetri, compresa però la cornice di ebano, quindi il quadro Castrillo potrebbe anche ben essere il quadro di Madrid ma forse anche quello di Genova. Dobbiamo poi aggiungere che talvolta i collezionisti davano via l’originale e si facevano fare una copia ma più spesso accadeva il contrario, per esempio (lo sappiamo proprio per via della storia del San Francesco di Hartford di Caravaggio) Ottavio Costa si fece fare una copia per donarla come originale. Questo non sarebbe il caso di Massimi, ma l’eventualità è possibile. Comunque non sappiamo che quadro fosse l’Ecce Homo inventariato in casa Massimi. Infine, un’ultima considerazione sull’identità Lezcano-Castrillo. Franco Renzo Pesenti la mise in dubbio perché lui disse che nell’inventario Lezcano si parla di sayón, che sarebbe uno sgherro, uno scherano. Mentre invece l’inventario Castrillo parla di soldado. Ora, sinceramente pretendere dagli inventari seicenteschi una precisione lessicale del genere mi sembra eccessivo, di conseguenza questo non mi sembra un argomento tale da inficiare l’identità del quadro Lezcano con il quadro Castrillo.

A questo punto finiscono i documenti e si pone il problema delle copie.

Noi abbiamo in Sicilia, almeno stando a quello che pubblicò Longhi nel 1954, una copia più grande nel museo di Messina dell’Ecce Homo di Genova, una versione del cosiddetto tipo “Dortmund” che è quello in cui ci sta il soldato col morione (anche se ormai voglio augurarmi che nessuno più pensi che sia riconducibile a un originale di Caravaggio) e poi abbiamo effettivamente una versione della composizione del quadro di Madrid, che era passata praticamente ignorata. Lezcano, dopo Roma, dal 1616 al 1622 va in Sicilia: sull’isola abbiamo attestata una copia del quadro di Genova a Messina, tradizionalmente attribuita ad Alonso Rodríguez, e poi abbiamo la copia pubblicata da Longhi, di cui non si conoscono le misure. Quindi in entrambi i casi il quadro Massimi-Lezcano potrebbe essere indiziato di essere tanto il quadro di Genova quanto ora il quadro di Madrid. C’è però un problema, il problema delle dimensioni: o dobbiamo insistere a pensare, come dicevo prima, che Caravaggio se ne fosse fregato delle misure e l’avesse fatto più piccolo, oppure dobbiamo concludere che almeno il quadro di Madrid sia stato decurtato. Ma esso presenta pressappoco la stessa inquadratura della copia siciliana, che è antica e secondo la nostra ipotesi dovrebbe essere stata dipinta prima del 1622. Se fosse stato tagliato, dato che la copia siciliana ha la stessa inquadratura e che, anche se non l’abbiamo vista dal vivo, non mi sembra una copia settecentesca (neppure a Longhi sembrava una copia settecentesca), non è plausibile che Lezcano avesse fatto decurtare il dipinto già nel 1616: mica si taglia così presto un quadro dipinto poco prima. Oltretutto, l’inquadratura appere perfetta così com’è ora, sì che se pure fosse stato tagliato lo sarebbe stato solo in maniera minimale, di un paio di centimetri. Per concludere, non abbiamo in mano nulla di certo: ho messo sul tavolo tutti gli elementi noti.

Quanto al quadro di Genova, molti di coloro che avevano quanto meno delle perplessità circa l’autografia caravaggesca, adesso, dopo la scoperta del quadro madrileno, la rifiutano con molto più vigore. In che rapporto si trovano i due Ecce Homo?

Le perplessità che il quadro di Genova sia del Caravaggio le avevamo anche prima, anche se secondo me sembra un po’ più Caravaggio quello di Genova che quello di Madrid. Ma anche il quadro di Genova non è un quadro a prova di bomba, tuttavia se è un Caravaggio, allora è un quadro romano. Il quadro di Madrid (che dovrà comunque essere pulito) torna molto male come Caravaggio romano. E se invece ci rassegnassimo a concludere che il quadro Massimi è il quadro Lezcano, è anche il quadro Castrillo, ed è andato perduto e che ancora non sappiamo quale composizione avesse?

L'opera pubblicata come derivazione da Caravaggio nel saggio di Longhi del 1954
L’opera pubblicata come derivazione da Caravaggio nel saggio di Longhi del 1954


Caravaggio (?), Ecce Homo (1605-1610 circa; olio su tela, 128 x 103 cm; Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco)
Caravaggio (?), Ecce Homo (1605-1610 circa; olio su tela, 128 x 103 cm; Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco)


Alonso Rodríguez, Ecce Homo (olio su tela, 210 x 108 cm; Messina, Museo Regionale)
Alonso Rodríguez, Ecce Homo (olio su tela, 210 x 108 cm; Messina, Museo Regionale)

Nel caso in cui, per l’Ecce Homo di Madrid, dovessimo riuscire a trovare un consenso su una possibile autografia caravaggesca, come dovremmo porci nei confronti di quest’opera data a Caravaggio e che però adesso riscontra sempre più dubbi e perplessità?

Qui entra in gioco il desiderio dello storico dell’arte dell’identificazione: c’è una componente di desiderio di vedere e di avere quello che si teme sia perduto. Su questo punto credo che non sia necessario che il quadro di Madrid sia originale. Noi abbiamo un’opera del Caravaggio che si teme sia andata perduta, e allora si spera e ci si augura che invece non sia andata perduta. Tutti speriamo che ciò che è perduto non lo sia, desideriamo che torni alla luce, e allora questo ha condizionato il nostro occhio nel caso del quadro di Genova. Nel momento in cui emerge il quadro di Madrid, anche se si rivelasse non essere di Caravaggio, può comunque svolgere (e già in parte lo ha svolto) il ruolo di grimaldello per far cadere il velo di fronte al quadro di Genova, e quindi nel momento in cui spunta un altro quadro che induce a dire che il quadro di Genova non sia quello giusto, questo può essere anche semplicemente interpretato come una presa d’atto che l’attribuzione del quadro di Genova a Caravaggio (che non è comunque strampalata) sia comunque connotata da una componente di speranza, di desiderio, di un atto di buona volontà che tende un pochino a condizionare l’occhio. Quindi purtroppo può darsi che il quadro di Madrid finisca per buttar giù il quadro di Genova senza necessariamente venire a prenderne il posto.

A livello di lettura del quadro, quali sono gli elementi che, anche da una semplice visione dell’immagine che è circolata su internet, la portano a dubitare circa una possibile autografia di Caravaggio?

Fondamentalmente le tipologie dei volti.

Ecco, a tal proposito si è insistito sulla figura di Pilato, per esempio.

Su questo aspetto c’è da dire che questo è un quadro privato, ovvero realizzato per devozione privata del committente. E il committente poteva tenerlo nella sua camera da letto, nel suo oratorio, nel suo palazzo. Non è dunque immaginabile che un artista vi si sia rappresentato, dato che è emersa l’idea di vedere nel volto di Pilato l’autoritratto di Caravaggio. Casomai avrebbe eseguito il ritratto del committente, ma noi non sappiamo che faccia avesse Massimo Massimi, però che un nobile romano del 1605 potesse avere quel barbone mi sembra davvero inverosimile, mentre Caravaggio col barbone non lo abbiamo mai visto, per cui quest’idea mi sembra che non abbia nessuna logica, è dettata dal desiderio, non è possibile che Caravaggio si fosse ritratto con quell’evidenza. Siamo d’accordo sul fatto che Caravaggio pensava di essere il più bravo di tutti, ma questo era un quadro per pregare.

Un’ultima domanda. A proposito del clamore che si è creato attorno a questo Ecce Homo, mi ha molto colpito l’insolito consenso che il quadro ha ricevuto, anche da parte di studiosi che solitamente sono molto cauti e prudenti, e che invece questa volta si sono molto sbilanciati in favore di una possibile attribuzione. Secondo Lei perché si è creato questo clima di forte consenso?

Perché è senz’altro è un quadro più serio della stragrande maggioranza dei dipinti emersi negli ultimi anni. Innanzitutto è un quadro con più figure: in caso di presunti originali di Caravaggio che sono saltati alla luce negli ultimi anni, mettendo da parte gli unici buoni (la Cattura di Cristo di Dublino e il San Giovanni Battista disteso scoperto da Maurizio Marini, che però quasi nessuno ha mai visto davvero perché sta chiuso nel caveau di una banca), si è trattato quasi sempre di quadri a figura unica. Per i quadri a figura unica l’attribuzione è sempre più difficile, un quadro a figura unica è in partenza meno facile da attribuire rispetto a un quadro a più figure. L’unico quadro a più figure emerso ultimamente è la Giuditta di Tolosa, ma questo e altri dipinti solitamente sono fuochi d’artificio. Le attribuzioni si valutano col tempo. Non dico tra vent’anni, ma tra dieci anni vedremo che fine avrà fatto questo quadro. Io penso sia difficile che un quadro di Caravaggio salti fuori da una casa privata del barrio Salamanca di Madrid: per un quadro così importante, che non abbia una collocazione ecclesiastica, ci si aspetterebbe almeno una provenienza da una famiglia gentilizia spagnola che ne detenga il possesso da secoli. Questo invece è un quadro di cui non si sa niente, è molto vago, la provenienza deve avere qualcosa di importante. Qui siamo al Van Gogh trovato in soffitta, ma per Caravaggio questa evenienza è poco plausibile. Io penso che col tempo si chiariranno gli occhi a tutti, a me compreso. Sono ottimista sul fatto che tra dieci anni io stesso avrò le idee più chiare.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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