Una nuova edizione per il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini. Con 17 nuove tavole


È stato uno dei libri d’artista più discussi del Novecento. Ora il fantastico e visionario Codex Seraphinianus di Luigi Serafini esce in una nuova edizione per Mondadori, che festeggia il quarantennale della pubblicazione. E con 17 nuove tavole.

Sono passati quarant’anni da quando, nel 1981, Franco Maria Ricci pubblicò una delle opere più folli del Novecento, il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini (Roma, 1949), la misteriosa ed enigmatica raccolta di tavole che componevano un’enciclopedia d’immagini scritta in un alfabeto inventato dallo stesso Serafini, e che però è asemico, ovvero non trascrive alcuna lingua esistente o immaginaria. Opera surreale attorno a cui si sono concentrate le attenzioni di molti critici, il Codex Seraphinianus viene ora pubblicato in una nuova edizione di Rizzoli illustrati (392 pagine, 120 euro, ISBN 9788891832481), realizzata appositamente per il quarantesimo anniversario del Codex, e per la quale Serafini ha eseguito diciassette nuove tavole, con immagini aggiornate, che vanno dunque ad aggiungersi a quelle storiche pubblicate nel 1981.

Il Codex Seraphinianus è un’enciclopedia surreale, un susseguirsi di visioni fantastiche scritta in un alfabeto inventato, dove convivono materie come la zoologia, la botanica, la fisica, l’architettura, la mineralogia, l’etnografia. Nel bizzarro mondo del Codex vivono strani uccelli a tre teste (oppure uccelli costituiti solo da una grande testa, o solo dalle zampe), cavalli con le ruote, coccodrilli che nascono dalla metamorfosi di un amplesso tra esseri umani, alberi perfettamente divisi a metà, piante con stranissimi fiori, assurdi macchinari. Suddiviso in undici capitoli, il Codex Seraphinianus porta il suo lettore in un viaggio attraverso un mondo immaginato, descritto con apparente piglio scientifico: i capitoli sono infatti dedicati ognuno a un diverso argomento (flora, fauna, creature bipedi che non appartengono al mondo degli animali, fisica e chimica, macchine, etnografia, storia, scrittura, gastronomia, giochi e architettura).

Il tutto scritto con quell’alfabeto che rende le tavole immediatamente riconoscibili. “Nell’universo che Luigi Serafini abita e descrive”, aveva scritto Italo Calvino, uno dei critici più entusiasti del Codex, “io credo che la parola scritta abbia preceduto le immagini: questa grafia corsiva minuziosa e agile e (dobbiamo ammetterlo) chiarissima, che sempre ci sentiamo a un pelo dal poter leggere e che pure ci sfugge in ogni sua parola e in ogni sua lettera. L’angoscia che quest’Altro Universo ci trasmette non viene tanto dalla sua diversità dal nostro, quanto dalla sua somiglianza: così la scrittura, che potrebbe essersi verosimilmente elaborata in un’area linguistica a noi straniera ma non impraticabile”.

Copertina della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Copertina della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus
Tavola della nuova edizione del Codex Seraphinianus

Franco Maria Ricci aveva definito Serafini “un moderno amanuense”, e il suo Codex un capolavoro “intrigante e anomalo”. Per Vittorio Sgarbi, che ne seguì la realizzazione fin dall’inizio (era l’epoca in cui lo storico dell’arte ferrarese collaborava assiduamente con Franco Maria Ricci: sarebbe poi diventato una delle firme più presenti sulla rivista FMR), è un’opera di virtuosismo che si rifà ai minuziosi lavori dei miniatori del Medioevo e del Rinascimento. “Serafini”, ricordava Sgarbi in un suo articolo pubblicato su Il Giornale nel 2014, “non finiva di stupire per le invenzioni, e anche per la straordinaria perfezione calligrafica e quasi la perversione del disegno. Ciò che, nell’arco di tre anni, Serafini aveva elaborato, era un vero e proprio codice miniato, una enciclopedia nel senso ambivalente della illustrazione e della Encyclopédie illuministica”. L’alfabeto di Serafini, indecifrabile, sembra comunque essere stato inventato sulla base degli alfabeti occidentali: una scrittura che dunque si legge da sinistra verso destra, con maiuscole e minuscole ,e con tanto di punteggiatura. Tuttavia, lo stesso Serafini ha dichiarato, in un incontro alla Oxford University Society of Bibliophiles, che l’alfabeto non traduce alcuna lingua e che il suo intento era semmai quello di mettere il lettore davanti a segni apparentemente privi di senso per dargli l’impressione d’essere come i bambini che si trovano davanti ai libri quando ancora non sanno leggere.

Non ci è voluto molto tempo perché il Codex Seraphinianus diventasse subito un oggetto di culto capace di affascinare artisti, lettori e critici, generando discussioni sui suoi significati e sulla sua origine. Ancor oggi è considerato uno dei più interessanti libri d’artista contemporanei, anche per la sua evidente dimensione atemporale. Tra gli estimatori ci sono stati Roland Barthes (che lo lesse in anteprima, quando ancora non era stato pubblicato) e il sopra menzionato Italo Calvino, che lo definì “l’enciclopedia di un visionario”. Con l’avvento dell’era digitale e delle nuove forme di comunicazione questo libro ha acquistato ancora più rilevanza e unicità ed è anche per queste ragioni che Mondadori ha pensato a una nuova edizione, celebrativa del 40° anniversario dalla prima uscita.

Luigi Serafini, per l’occasione, ha progettato una nuova confezione per l’edizione deluxe in bilico fra il libro d’arte e l’oggetto di design, e, come detto, ha anche arricchito il corredo di immagini con diciassette nuove tavole. Tra le immagini partorite ex novo dalla fantasia di Serafini ci sono un edificio fantastico che poggia su una grande noce, immagini di strane costruzioni in riva al mare, uomini-fungo, un robot-manichino à la De Chirico (con tanto di guanto appeso, marchio di fabbrica del pittore metafisico) e molto altro. È stato aggiornato anche il Decodex, il libello accluso al Codex dove Serafini raccontava le origini della sua opera: sulle nuove tavole del Decodex vediamo una curiosa rielaborazione della Colonna di Marco Aurelio dove la statua di san Paolo sulla sommità è sostituita da un grande orologio, alcune strane figure sistemate sulla scalinata di Trinità de’ Monti, varie immagini di scorci di Roma, oltre a una fotografia della Donna carota, una delle sculture più famose dell’artista romano, esposta anche all’Expo di Milano nel 2015.

Artista poliedrico e difficilmente incasellabile, Luigi Serafini, nato a Roma nel 1949, si è formato come architetto e ha lavorato in Italia e all’estero. Ha illustrato scritti di Franz Kafka e Michael Ende, ma la sua prima opera importante, avviata fin dal 1976, è proprio il Codex Seraphinianus, pubblicato, come ricordato, nel 1981 da Franco Maria Ricci e dal 2006 in successive edizioni. Oggi, le tavole originali del Codex sono conservate presso il museo del Labirinto della Masone di Fontanellato, il luogo dei sogni di Franco Maria Ricci dove una sala mostra ai visitatori l’originale frutto della fantasia di Serafini. Serafini ha lavorato anche come scenografo e come illustratore cinematografico (ha ideato la prima locandina per La voce della Luna di Federico Fellini). Nel 2007, il Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano ha dedicato a Serafini Luna-Pac, una ‘mostra ontologica’ di grande successo. Dal 10 ottobre 2020 a gennaio 2021 il Centre régional d’art contemporain (CRAC) di Sète ha dedicato a sua volta una mostra all’universo surrealista del Codex e del suo autore.


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