Roger Fry e l'“invenzione” del postimpressionismo


Nel 1910 il critico Roger Fry organizzò una mostra dal titolo 'Manet and the Post-Impressionists', fondamentale per far conoscere artisti come Cézanne, van Gogh, Seurat.

Se oggi conosciamo approfonditamente e ammiriamo artisti come Vincent van Gogh, Paul Gauguin, Georges Seurat e Paul Cézanne, gran parte del merito è da attribuire a un critico e storico dell’arte inglese, che occasionalmente faceva anche l’artista: Roger Fry (1866 - 1934). Per conoscere l’inizio di questa storia, bisogna tornare indietro fino al gennaio del 1910 e recarsi in un luogo preciso: la stazione di Cambridge. Fry è appena tornato dagli Stati Uniti, dove lavora come curatore della sezione di pittura europea al Metropolitan Museum di New York. O meglio: dove lavora ufficialmente, perché di fatto è in rotta con il consiglio di amministrazione del museo, e in particolare con il suo presidente, il banchiere John Pierpont Morgan. Colpa di divergenze di vedute sulla gestione della collezione: le dimissioni di Fry dal suo ruolo sarebbero arrivate, in pratica come pura formalità, nel febbraio dello stesso anno. Pochi mesi prima, il critico aveva ricevuto un’offerta dal Burlington Magazine per una posizione da direttore, da condividere con lo storico dell’arte Lionel Cust: anche senza l’impiego al Metropolitan, Fry non rimarrebbe dunque senza lavoro. E ne ha davvero bisogno: la moglie, Helen Coombe, è affetta da un disturbo mentale che proprio agli inizi del 1910 si aggrava e la costringe a farsi ricoverare in una clinica psichiatrica, nella quale sarebbe rimasta per il resto dei suoi giorni. Insomma: l’anno, per Roger Fry, non inizia davvero nel migliore dei modi.

Helen Coombe e Roger Fry nel 1897
Helen Coombe e Roger Fry nel 1897

Eppure ha un’idea che, con tutta evidenza, gli balena per la testa da un po’: decide dunque di raccontarla, quel mattino del gennaio 1910, alla sua amica Vanessa Bell e a suo marito, il critico d’arte Clive Bell, sul treno che da Cambridge conduce a Londra. L’idea, racconta Clive Bell in una sua memoria, è quella di “mostrare al pubblico inglese le opere d’arte dei nuovi pittori francesi”. Un’idea per la quale il nuovo amico (Vanessa lo aveva presentato a Fry proprio quella mattina) si mostra entusiasta, anche perché lui stesso aveva ben scritto a proposito di alcuni di questi nuovi “rivoluzionari” pittori, come Cézanne e Gauguin. Tuttavia, per il momento, l’idea rimane sulla carta, e non trova modo di concretizzarsi: resta, in sostanza, una chiacchierata tra amici sul treno.

Roger Fry negli anni Dieci
Roger Fry negli anni Dieci
Ma l’occasione di mettere in atto il “piano” non tarda ad arrivare: nel settembre dello stesso anno, la Grafton Galleries Company, l’azienda che gestisce uno degli spazi espositivi più importanti di Londra (le Grafton Galleries appunto, note anche con la forma al singolare, Grafton Gallery), si rivolge a Roger Fry perché ha un buco nel calendario delle mostre da riempire. Come da classico copione, il critico si trova di fronte a una notizia buona e a una notizia cattiva. La notizia buona è che finalmente può organizzare la sua mostra sulla pittura francese contemporanea, e per di più può farlo in una location (come si direbbe oggi) di prestigio, che aveva già ospitato mostre di richiamo, come quella sull’impressionismo del 1905, organizzata da Paul Durand-Ruel, che aveva portato a Londra quadri di Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Sisley, e anche qualcosa di Cézanne, oppure quella dei quadri di Joaquín Sorolla nel 1908. La notizia cattiva è che Fry ha pochissimo tempo a disposizione: appena un paio di mesi, perché la mostra verrà inaugurata a novembre e rimarrà aperta fino al gennaio del 1911. Il critico acchiappa al volo un suo amico giornalista, Desmond MacCarthy, a cui spetta un ruolo organizzativo all’interno dell’esposizione, e senza perdere alcun tempo si reca in Francia proprio nel settembre del 1910 per raccogliere un po’ di opere d’arte. A Parigi si incontrano con Clive Bell e iniziano ad andare a caccia dei migliori mercanti d’arte e dei migliori collezionisti per cercare quadri validi da esporre alle Grafton Galleries.

Uno degli ambienti delle Grafton Galleries: la cosiddetta Long Gallery, nel 1893
Uno degli ambienti delle Grafton Galleries: la cosiddetta Long Gallery, nel 1893


Roger Fry, Desmond MacCarthy e Clive Bell nel 1933
Roger Fry, Desmond MacCarthy e Clive Bell nel 1933

Fry ha con sé una lista di gallerie da visitare. C’è la galleria del suo coetaneo Ambroise Vollard, interessato all’arte di Cézanne, di Picasso e dei Fauves, e ovviamente in possesso di diverse opere dei suddetti. C’è la Galerie Druet, che detiene quadri di Gauguin. C’è la nuova galleria del giovanissimo Daniel Kahnweiler, che ha solo ventisei anni ma che già inizia a promuovere l’arte dei cubisti. Ci sono insomma tutti i galleristi e i collezionisti che secondo Fry potrebbero essere utili alla causa. Ma non solo: l’11 settembre Fry manda Desmond MacCarthy a Monaco di Baviera per incontrare lo storico dell’arte tedesco Rudolf Meyer Riefstahl, uno dei primi accademici che si sono occupati dell’arte di Vincent Van Gogh. La speranza è che Riefstahl possa mettere in contatto Fry con i collezionisti che sono in possesso delle opere del genio olandese. La speranza è ben ripagata, perché Fry ottiene i contatti (e le opere). La missione in Francia può dirsi conclusa: Fry torna in Inghilterra con la consapevolezza di aver fatto un ottimo lavoro.

Manifesto della mostra "Manet and the Post-Impressionists"
Manifesto della mostra “Manet and the Post-Impressionists”
Selezionate le opere, tocca scegliere il titolo per la mostra. Il ventaglio delle ipotesi è piuttosto ampio, perché gli artisti che Fry si appresta a presentare al pubblico coprono esperienze diverse, spesso anche lontane tra loro, ed è necessaria un’etichetta in grado di raccoglierli tutti. "Neo-impressionisti“ non va bene, perché Gauguin di impressionista aveva ben poco. ”Espressionisti“ a Fry piace, ma l’espressione non accoglie il favore unanime. Non rimane che scegliere il termine ”post-impressionisti", che Fry aveva già introdotto, per primo, nel 1906 in un suo saggio. Del resto, i dipinti sono tutti di artisti sorti dopo l’impressionismo. Serve però anche un nome familiare al pubblico, che possa funzionare un po’ da “calamita” con la quale attirare visitatori alle Grafton Galleries. Si opta dunque per inserire il nome di Manet, artista all’epoca già ben noto in Inghilterra, considerato il padre dell’impressionismo (e quindi il suo nome è anche funzionale a garantire in qualche modo anche la bontà dell’operazione da un punto di vista storico): l’idea di utilizzare un nome di grande richiamo per una mostra dunque non è affatto una novità dei giorni nostri. Il titolo è quindi scelto: sarà Manet and the Post-Impressionists (“Manet e i post-impressionisti”). Si procede così alla creazione del manifesto, all’ideazione della campagna pubblicitaria (incluse alcune uscite sul Burlington Magazine) e alla convocazione della conferenza per presentare la mostra alla stampa. Finalmente, l’8 novembre del 1910 l’esposizione può aprire le porte al pubblico.

Di recente è stato ricostruito un catalogo piuttosto completo dei dipinti presenti in mostra. Di Manet ci sono otto dipinti: spicca il celeberrimo Bar aux Folies-Bergère che, già esposto a Parigi in un paio di occasioni, raggiungeva Londra per la prima volta. Le opere di Manet vengono esposte all’inizio della mostra insieme a diversi dipinti di Paul Cézanne, presente con una nutrita schiera di lavori, come i Bagnanti oggi a Ginevra, oppure L’Estaque finito nel 1963 al Philadelphia Museum of Art. Il visitatore viene poi introdotto alle opere di Paul Gauguin (ce ne sono tantissime, anche relative al suo periodo tahitiano, come La montagna sacra - Parahi te marae, anch’essa oggi al Philadelphia Museum of Art) e di Vincent Van Gogh, esposte assieme negli stessi ambienti, date le affinità tra i due artisti. Di Van Gogh ci sono quasi trenta opere: tra queste probabilmente ci sono anche i celeberrimi Girasoli oggi alla National Gallery di Londra, e di sicuro c’è l’Autoritratto al cavalletto. Abbiamo poi Georges Seurat (presente con, tra i vari dipinti, il Faro di Honfleur) e Paul Signac (con tre opere) ed Henri-Edmond Cross in rappresentanza del pointillisme, e ci sono anche Pablo Picasso, Henri Matisse, Odilon Redon, Maurice Denis, Felix Vallotton.

Édouard Manet, Un bar aux Folies Bergère
Édouard Manet, Un bar aux Folies Bergère (1881-1882; olio su tela, 96 x 130 cm; Londra, Courtauld Gallery)


Paul Cézanne, Bagnanti
Paul Cézanne, Bagnanti (1875-1876; olio su tela, 38 x 45,8 cm; Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire)


Paul Gauguin, La montagna sacra
Paul Gauguin, La montagna sacra (Parahi te marae) (1892; olio su tela, 66 x 88,9 cm; Filadelfia, Philadelphia Museum of Art)


Vincent Van Gogh, Autoritratto al cavalletto
Vincent Van Gogh, Autoritratto al cavalletto (1888; olio su tela, 65 x 51 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)


Georges Seurat, Il faro di Honfleur
Georges Seurat, Il faro di Honfleur (1886; olio su tela, 66,7 x 81,9 cm; Washington, National Gallery of Art)

La mostra si traduce in un grande successo di pubblico, e anche in un certo successo commerciale: le vendite non sono poche, e Fry riesce addirittura a far molto meglio di un mercante di professione come Durand-Ruel, che alla mostra del 1905 non era riuscito a vendere alcunché. Tuttavia, l’enorme sconquasso causato da Fry nei confronti della scena artistica inglese, rimasta ancorata a un’arte d’imitazione e che non ha mai visto opere di artisti come Gauguin, Van Gogh e Matisse, porta molti giornalisti a scrivere feroci critiche sull’esposizione. Gran parte del pubblico non può tollerare novità dirompenti come la violenza dei colori di Van Gogh, la sfrontatezza dei ritratti di Matisse, le scomposizioni di Picasso. Le recensioni negative si abbattono dunque sull’esposizione, compromettendo anche la stessa credibilità di Roger Fry come critico e curatore. Per Ebenezer Wake Cook della Pall Mall Gazette, le opere sono assimilabili alla “produzione di un manicomio”. Per il poeta Wilfred Scawen Blunt in mostra ci sono “opere di una pigra e impotente stupidità” e l’esposizione è “uno spettacolo pornografico”, mentre per lo storico dell’arte Alexander Joseph Finberg i lavori esposti sono semplicemente “aborti”. Per Robert Ross del Morning Post “le emozioni di questi artisti possono giusto interessare gli studenti di patologie e gli specialisti di anormalità”, e siccome la conferenza stampa si era tenuta il 5 novembre, ovvero il giorno della congiura delle polveri (il fallito complotto contro Giacomo I d’Inghilterra ordito da Guy Fawkes), lo stesso Ross si spinge a fare paragoni con l’evento del 1605, asserendo che la mostra di Fry può essere considerata “un complotto per distruggere l’intero tessuto della pittura europea”. Anche Desmond MacCarthy, in una sua memoria, racconta dell’atmosfera che si respirava dopo l’apertura della mostra: “Presentando al pubblico inglese le opere di Cézanne, Matisse, Seurat, Van Gogh, Gauguin e Picasso, Roger Fry distrusse la sua reputazione di critico d’arte per lungo tempo. I più gentili dicevano che era matto, e oltretutto ricordavano che sua moglie era ricoverata in un manicomio. La maggior parte della critica dichiarò che Fry era un sovvertitore della morale e dell’arte, oltre che uno sfacciato promotore di se stesso”. E lo stesso Fry scrive una lettera al padre dicendogli che su di lui si è abbattuto un uragano di critiche.

Lo studioso però non si arrende, e decide di scrivere articoli per rispondere alle critiche, difendendo le ragioni dei post-impressionisti, artisti che, con le loro opere, non esprimevano ciò che vedevano con gli occhi, e quindi non avevano l’obiettivo di fornire una rappresentazione della realtà: il loro intento era quello di esprimere le loro emozioni e la loro visione personale della realtà, così da fare in modo che la realtà assumesse significati nuovi e sempre diversi. “Dobbiamo”, scriveva Fry, “andare alla scoperta di quella difficile scienza che è la scienza del disegno espressivo. Dobbiamo ricominciare da capo, e imparare ancora una volta l’ABC della forma astratta. È proprio ciò che questi artisti francesi hanno cominciato a fare, e il tutto con quella chiara, logica, intensa determinazione, e quell’assenza di ogni compromesso e di ogni riguardo per le questioni secondarie, che hanno sempre nobilmente contraddistinto il genio francese”. Tuttavia, malgrado le numerose critiche, Roger Fry può contare sull’apporto degli amici che credono nel suo lavoro (su tutti Virginia Woolf, sorella di Vanessa Bell) e lo studioso decide, incurante di tutto, di organizzare una nuova mostra dei post-impressionisti nel 1912, continuando a credere che la cultura figurativa inglese debba aggiornarsi sulle esperienze provenienti dalla Francia e dal resto d’Europa.

Gli articoli in difesa dei post-impressionisti e, in generale, i saggi legati alle mostre dei post-impressionisti, sono considerati oggi tra gli scritti fondamentali per capire l’arte di Gauguin, Van Gogh, Seurat, Cézanne, Matisse e colleghi. E la mostra è ritenuta l’evento che ha di fatto posto le basi per la consacrazione dei post-impressionisti: forse è troppo dire che senza Manet and the Post-Impressionists la storia dell’arte avrebbe preso un’altra piega, ma di sicuro l’esposizione suscitò diversi effetti positivi, contribuendo ad aggiornare in modo sostanziale l’ambiente artistico inglese e facendo in modo che Cézanne, Gauguin, Van Gogh e gli altri iniziassero a essere presi in considerazione come artisti di fondamentale rilevanza. E a distanza di più di cento anni, possiamo dire che si rivelò del tutto fondata la considerazione che apparve sulla rivista The Athenaeum poco dopo l’apertura della mostra curata da Roger Fry: “il 1910 verrà ricordato nella nostra storia dell’arte come l’anno dei post-impressionisti”.

Bibliografia di riferimento

  • Charles Molesworth, The Capitalist and the Critic: J.P. Morgan, Roger Fry, and the Metropolitan Museum of Art, University of Texas Press, 2016
  • Anna Gruetzner Robins, Manet and the Post-Impressionists’: a checklist of exhibits in The Burlington Magazine, 2010, vol. 152 n. 1293, pp. 782-793
  • Frances Spalding, Roger Fry, Art and Life, Black Dog Books, 2n edition, 1999
  • Christopher Reed, A Roger Fry Reader, Chicago University Press, 1996
  • Stanford Patrick Rosenbaum, The Bloomsbury Group: A Collection of Memoirs and Commentary, University of Toronto Press, 1995


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