Un presepe dipinto su ceramica: la pala cinquecentesca della chiesa di Albissola Marina


Nella chiesa di Nostra Signora della Concordia, la principale di Albissola Marina, c’è un presepe diverso da tutti gli altri: è una particolare pala con un’Adorazione interamente dipinta su ceramica. Opera del 1576, è frutto della collaborazione di un ceramista del posto e di un pittore di Urbino.

Nella chiesa di Albissola Marina, la parrocchiale di Nostra Signora della Concordia, c’è un bel presepe dipinto, del Cinquecento, posto vicino all’altare. E fin qui tutto bene: sono innumerevoli le chiese che in qualche punto presentano ai fedeli una pala che raffigura un’Adorazione del Bambino. Questa però ha una particolarità piuttosto rara: è interamente dipinta su maiolica. Nella città della ceramica, in uno dei territorî che più hanno legato le loro sorti alla pratica di quest’arte tanto antica, la chiesa principale accoglie chi s’avvicina all’altare con uno straordinario saggio di ciò che si può fare con un po’ di terra e un po’ di colori. Sappiamo anche chi sono i suoi autori, perché nell’angolo in basso a destra c’è un cartiglio che dice “Fatta in Arbisola / del 1576 p mano di Augustino […] Gironimo Urbinato la dipinse”.

Un lavoro a quattro mani, dunque. Un certo Agostino, di cui purtroppo non conosciamo il cognome (la parte del cartiglio che lo riportava è stata cancellata), s’è occupato della lavorazione della ceramica, mentre a un pittore, tale Gerolamo Urbinate, sono state affidate le immagini. I modi, in effetti, ricordano quelli della ceramica istoriata che si produceva a Urbino nella seconda metà del Cinquecento: è del resto attestata, all’epoca, la presenza nel savonese di maestri marchigiani che avevano lasciato le loro terre e avevano contribuito a orientare il gusto della ceramica locale. Le cromie sono quelle della ceramica urbinate del XVI secolo: gran prevalenza di azzurri e di gialli variamente declinati, sparute note di verde, qualche tono terroso a dare un poco di profondità. L’immagine però è orgogliosamente savonese: Gerolamo Urbinate s’era ispirato all’Adorazione dei pastori di Antonio Semino, dipinta nel 1535 e conservata nella chiesa di San Giovanni Battista a Savona, una delle opere più toccanti del pittore genovese. Gerolamo ne fornisce una traduzione più colloquiale, più familiare, rivisitando liberamente alcuni elementi.

Agostino da Albissola e Gerolamo Urbinate, Adorazione dei pastori (1576; maiolica; Albissola Marina, Nostra Signora della Concordia)
Agostino da Albissola e Gerolamo Urbinate, Adorazione dei pastori (1576; maiolica; Albissola Marina, Nostra Signora della Concordia)
Antonio Semino, Adorazione dei pastori (1535; tavola; Savona, San Giovanni Battista)
Antonio Semino, Adorazione dei pastori (1535; tavola; Savona, San Giovanni Battista)

La Vergine e san Giuseppe sono nella stessa posizione: lei è inginocchiata, prega a mani giunte il Bambino adagiato dinnanzi a lei, sulla terra (e non su di un pavimento in cotto come in Semino), e che come ogni bambino nato da poco si mette le dita in bocca. Nella pala di maiolica, Maria appare molto più grande del suo sposo: evidentemente Gerolamo Urbinate non ha saputo gestire bene lo spazio che aveva a disposizione. E poi, il suo san Giuseppe sembra addormentato, forse tediato dal pastore che sta di fianco a lui e si gira come a guardarlo, quasi a volergli dire qualcosa, a voler parlar con lui: nel dipinto di Semino, invece, il giovane pastore guardava estatico verso il cielo. C’è poi il pastore con l’agnello sulle spalle, ma gli altri due che lo affiancavano nel dipinto di Semino diventano una persona sola: un pastore che si toglie il cappello in segno di deferenza, e allo stesso tempo si sporge per guardare meglio il Bambino. Il bue e l’asinello sbucano, un po’ impertinenti, sotto la manica della Vergine, non si capisce bene da dove siano arrivati, mentre nella pala di Semino erano, più coerentemente, dentro alla capanna che sta sulla destra. La stessa capanna sullo sfondo, nella pala di Albissola, non è più la stalla in rovina di Semino, ma diventa un semplice berceau di legno, e allo stesso modo la città sullo sfondo appare meno particolareggiata, descritta con meno brio: è invece molto più turbinosa la raffigurazione del cielo, che s’apre a mostrare la figura del Padreterno, apparso entro una mandorla dipinta a metà. È tuttavia più che probabile che la parte con la figura di Dio sia un’aggiunta posteriore: senza contare il fatto che anche il dipinto di Semino s’interrompe prima, si nota una caduta di qualità e una evidente discontinuità tra la terza e la quarta fila di piastrelle. Ci sono poi due presenze aggiunte da Girolamo Urbinate rispetto al dipinto di Semino, ovvero il san Benedetto e il sant’Antonio abate che si vedono ai lati, evidentemente inseriti perché legati alla committenza. Non sappiamo però chi abbia ordinato l’opera.

La deduzione più logica è che la pala fosse stata eseguita dalla stessa corporazione dei ceramisti di Albissola: il loro patrono era sant’Antonio, e gli stessi “figuli” di Albissola avevano una loro cappella nella chiesa dedicata al santo, alla quale era forse destinata questa pala, prima che venisse trasferita, probabilmente alla fine del Cinquecento, nella chiesa di Nostra Signora della Concordia. Sappiamo anche che sant’Antonio e san Benedetto erano i santi patroni dei due quartieri della Albissola cinquecentesca: una tradizione racconta che, nel 1585, fu decisa la costruzione della nuova chiesa della Concordia proprio per porre fine ai conflitti tra le due comunità (e da qui il nome dell’edificio di culto). Poiché l’antica ubicazione nella chiesa di Sant’Antonio non sembrerebbe dato certo, la pala potrebbe forse essere un... primo tentativo di conciliazione? Una pala rappresentativa dell’intera comunità, nella quale tutti potessero riconoscersi? Difficile dirlo: l’unica certezza che abbiamo, è che un’opera del genere testimonia con palmare evidenza come l’arte della ceramica fosse già fiorente a quel tempo. “Questo lavoro chiaramente dimostra, anco ai meno esperti”, leggiamo nella pionieristica guida di Albissola Marina del 1886, scritta da Giuseppe Garbarini, “che l’arte delle ceramiche, per giungere a quel grado di perfezione, non poteva più essere giovine; anzi, che un’opera cosifatta doveva essere frutto d’una scuola antica e per lunghi anni esercitata a seguito di pazienti e replicate esperienze poiché l’armonia, o il deturpamento di un lavoro di questo genere, dipende dal saper applicare un maggiore o un minor grado di colore a ciascuno dei pezzi separati e dipinti a colori diversi”.

La pala, del resto, era espressione d’un genere molto in voga al tempo, quello del laggione, le piastrelle decorate, simili agli azulejos della penisola iberica, tipiche delle decorazioni architettoniche di Genova e dintorni: si diffusero a partire dal Quattrocento, ornavano soprattutto i palazzi dei nobili o dei ricchi borghesi, e il savonese ne era un fiorente centro produttivo. Si è pensato che l’Agostino cui si devono le piastrelle sulle quali è stata dipinta la pala di Albissola appartenesse a una delle più note famiglie di maiolicari del tempo, i Salomone (e il cognome potrebbe essere stato cancellato per ragioni di odio antisemita). Anche in questo caso, però, nessuna notizia certa.

Quel che invece è certo, è che la pala di Albissola è una delle più antiche espressioni note dell’arte della ceramica ancor oggi largamente praticata da queste parti. Non è propriamente un’opera che s’ammira per la grazia e la perfezione delle sue figure. Potremmo dirla una versione da tutti i giorni, domestica, di provincia, dell’Adorazione di Semino. Con le figure più stilizzate e meno aggraziate, lo spazio organizzato alla bell’e meglio, le espressioni un po’ stereotipate, qua e là errori di proporzioni. Ma è proprio questo il bello dell’opera. Non importa che non sia un capolavoro perfetto, un manifesto della bellezza. È probabile che chi va a Savona, dopo poco non ricordi l’Adorazione di Semino, ed è invece quasi sicuro che, se si sposta di qualche chilometro più a ovest per visitare la cittadina della ceramica, terrà memoria della pala di Albissola Marina. E questo perché la pala della chiesa di Albissola esprime al meglio l’anima di questa terra, perché esprime l’attaccamento degli albissolesi alle loro tradizioni. Chi sta ad Albissola ve la indicherà tra le prime cose da vedere. Gli abitanti ne vanno fieri. È una delle più antiche traduzioni in immagini dell’amore per la loro città. Ed è bella proprio per questo motivo.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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