Bene ha fatto il ministro della cultura Alessandro Giuli a prendere posizione contro l’esibizione del direttore d’orchestra russo Valerij Gergiev alla Reggia di Caserta, e bene ha fatto la Commissione europea a ricordare che il commissario UE per la cultura, Glenn Micallef, “ha ribadito più volte che i palcoscenici europei non dovrebbero dare spazio agli artisti che sostengono la guerra di aggressione in Ucraina”. Mi auguro, dunque, che l’esibizione di Gergiev venga cancellata: il governatore Vincenzo De Luca ha rammentato che la linea della sua amministrazione, anche in questo caso, è “quella del dialogo”, ma com’è possibile dialogare con un paese, da tre anni a questa parte, continua a negare il dialogo, e con chi ritiene che l’unica trattativa possibile sia quella che riconosce le esclusive ragioni dell’aggressore? Che genere di dialogo può aprire la presenza d’un direttore d’orchestra che non ha mai espresso una parola di condanna nei riguardi dell’aggressione violenta e insensata che l’Ucraina subisce da tre anni?
Non si tratta, beninteso, di difendere la libertà dell’arte, anche perché l’arte non è neutra, e tanto meno lo è l’artista, e sarebbe peraltro ozioso proporre un lungo elenco di artisti eccezionali che hanno sostenuto regimi dittatoriali o totalitari. E non si tratta nemmeno di censurare la cultura russa: non siamo qui al parossismo grottesco delle ipotesi di censura sui corsi universitari dedicati a Dostoevskij, che pure albergarono nella mente di qualcuno all’indomani dell’aggressione russa, e che erano tanto più insensate allora, quando molti, incluso il sottoscritto, ritenevano che con il governo di Putin potesse esserci ancora lo spazio per un dialogo o per un confronto. Non è una censura alla cultura russa: non si tratta d’impedire di leggere, approfondire, discutere e ragionare criticamente su di uno scrittore o su di un artista russo, azione che si configurerebbe come un atto di censura preventiva, come un ottuso attentato alla libertà di pensiero. È una questione totalmente diversa: si parla di un individuo vivo e attivo, che adopera la propria visibilità per appoggiare, in maniera più o meno esplicita e più o meno tacita, un regime che reprime il dissenso, incarcera gli oppositori (oppure li mette a tacere in via più o meno definitiva), nutre mire espansionistiche ottocentesche, ha sottoposto un suo vicino a una violenta guerra d’aggressione che continua ancora oggi con modalità brutali (abbiamo tutti presenti i continui bombardamenti a cui sono sottoposti i civili delle città ucraine da Kyiv in giù). Jacques Maritain, ne La responsabilità dell’artista, scriveva che “gli Stati totalitari hanno il potere di imporre il controllo della moralità – la loro peculiare moralità – sui meccanismi dell’intelletto, soprattutto sull’arte e sulla poesia. Quindi [...] le attività creative sono responsabili nei confronti dello Stato e ad esso subordinate; l’artista e lo scrittore hanno un obbligo morale primario nei confronti della politica e devono anche conformarsi ai principi estetici stabiliti dallo Stato, che pretende di esprimere e proteggere i bisogni del popolo. Lo Stato non espelle Omero: cerca di addomesticarlo”.
Non può allora esserci alcuna ambiguità nel dare spazio e voce a una figura pubblica, viva e presente, che non ha mai preso le distanze dal regime (chiunque vorrà approfondire chi sia Gergiev e in quali modi sia colluso col regime, troverà in queste ore molto materiale in rete: si potrebbe cominciare per esempio con la sua pagina Wikipedia in lingua inglese o con un ottimo articolo de Linkiesta che rivela tutte le zone d’ombra che si celano dietro la sua figura). Sempre Maritain ha cercato di trovare un punto d’equilibrio tra l’assoluto permissivismo e il controllo autoritario, riconoscendo che la libertà d’espressione non è mai assoluta e che i limiti che s’impongono alla libertà d’espressione possono essere giustificati sulla base del bene comune, che non è soltanto ordine pubblico o benessere materiale, ma pieno sviluppo delle facoltà dell’essere umano, il che significa che la limitazione deve comunque avvenire nel rispetto di alcuni valori (verità e bellezza, libertà di ricerca, rispetto per l’intelligenza), compromessi i quali le limitazioni non diventano più legittime. Non ci sembra però questo il caso di un eventuale annullamento di un’esibizione di Gergiev.
Del resto, impedire a un direttore d’orchestra così coinvolto nel regime di esibirsi non significa boicottare l’arte. Anzi, sarebbe forse più ipocrita e controintuitivo far dirigere l’esecuzione di musiche di Giuseppe Verdi (uno dei simboli del Risorgimento italiano, compositore associato a un momento di lotta contro un dominatore straniero) e di Cajkovskij (compositore omosessuale) a un direttore d’orchestra che supporta un regime invasore e omofobo. E a favore dell’esibizione di Gergiev non si può neppure far valere l’obiezione per cui, per esempio, nei nostri musei sono esposte opere di artisti tutt’altro che limpidi, dall’assassino Caravaggio per arrivare a tutta la sequenza di pittori, scultori, architetti assortiti che appoggiarono il fascismo fino alla fine. La separazione dell’arte dalla persona riguarda almeno due dimensioni, ovvero la storicizzazione e l’impatto politico attuale.
Un Caravaggio o, mettiamo, un Sironi, sono oggi due artisti ampiamente storicizzati, e la storicizzazione consente d’osservare un fenomeno culturale in maniera critica, stabilendo un’opportuna distanza rispetto ai fatti, e operando un’adeguata contestualizzazione. Senza contare che non possono più parlare in prima persona. Esporre un artista dalla biografia non proprio integra o un artista che fu colluso col regime fascista è, in altre parole, un atto culturale che può esser fatto con spirito critico, senza celebrare i lati oscuri dei personaggi e, anzi, cercando di contestualizzarli (Caravaggio con la sua biografia e col clima culturale di un’epoca in cui la violenza era presenza quotidiana della vita di chiunque, Sironi col periodo storico che ha vissuto, ovviamente riconoscendo che ci furono anche artisti che scelsero di stare dall’altra parte della linea gotica). Far esibire Gergiev è invece un atto di legittimazione pubblica, a maggior ragione se in un festival promosso da un ente pubblico d’un paese democratico fondato su precisi valori che sono stati stabiliti in una Costituzione. La libertà d’espressione non implica automaticamente il diritto a concedere visibilità pubblica, o ancor peggio visibilità ufficiale, a chiunque, specialmente se quel chiunque appoggia un regime che viola sistematicamente i diritti umani, perché questa visibilità che a Gergiev viene concessa nell’ambito di uno spazio istituzionale (la Reggia di Caserta, del resto, è peraltro un museo gestito dal Ministero della Cultura) può implicare una qualche forma di riconoscimento o di legittimazione nei confronti di un artista che sostiene un regime che il Parlamento europeo ha riconosciuto come sponsor del terrorismo per le atrocità commesse contro il popolo ucraino. Vale a questo punto richiamare il paradosso della tolleranza di Karl Popper che, ne La società aperta e i suoi nemici, riconosceva che “se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole. Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti”.
Esistono, del resto, casi storici d’insofferenza nei riguardi di figure che appoggiarono regimi totalitari. Nel 1949, per esempio, la Chicago Symphony Orchestra venne costretta a revocare a Wilhelm Furtwängler l’incarico di direttore d’orchestra su minaccia di boicottaggio di tanti importanti musicisti che si sarebbero rifiutati di collaborare con un direttore d’orchestra che celebrò il regime nazista, malgrado il processo di denazificazione che lo riguardò si concluse con un’assoluzione. Susan Sontag, negli anni Settanta, non mancò d’esprimere il suo fastidio per il reportage di Leni Riefenstahl sulla cultura Nuba del Sudan, che a suo dire rinverdiva alcuni cliché dell’estetica nazista. E ci furono anche casi contrari: nel 1931, Toscanini si rifiutò di eseguire alcuni inni fascisti al Teatro Comunale di Bologna in presenza di alcuni gerarchi (episodio che gli costò un pestaggio da parte di alcuni squadristi e l’autoesilio negli Stati Uniti), e due anni dopo, invitato da Hitler a suonare a Bayreuth, rispose con un altro sdegnoso rifiuto.
Se il governatore De Luca vorrà regalare ai casertani un momento di cultura russa allora potrebbe rivolgersi, com’è stato suggerito da più parti, ai tanti artisti in collisione col regime che operano in Europa e nei riguardi dei quali non esiste alcun tipo di preclusione.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).
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