Donatello contemporaneo sempre. A proposito della mostra di Palazzo Strozzi e Bargello


Recensione della mostra “Donatello. Il Rinascimento”, a Firenze, Palazzo Strozzi e Museo Nazionale del Bargello, dal 19 marzo al 31 luglio 2022.

Si potrebbe discutere per ore su quel che Francesco Caglioti scrive nell’introduzione del catalogo della sua mostra Donatello. Il Rinascimento, quando ribadisce che le ricerche storico-artistiche tendano vieppiù al superamento dell’approccio legato alle vicende dei singoli maestri. La formula della mostra monografica sul singolo artista non è ancora in affanno, ma si può ragionevolmente prevedere che occasioni come la mostra che Caglioti ha ordinato tra le sale di Palazzo Strozzi e del Museo del Bargello andranno diradandosi in un futuro non lontano, per diversi motivi, anche se può sembrare paradossale in mezzo al diluvio di mostre che ogni anno s’abbatte sul nostro paese e non solo: questioni legate alle mode e agli orientamenti degli studî (si prospettano, per esempio, tempi in cui i musei e gl’istituti della cultura concentreranno molto le loro attenzioni sulle raccolte permanenti), alla sostenibilità, alle stesse tempistiche della cosiddetta industria culturale. Ecco allora che, con comprensibile enfasi, il direttore di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, evidenzia che la mostra su Donatello figura tra quelle che si posson considerare “irripetibili”. A dar retta alla macchina della comunicazione, in Italia ci son decine di mostre irripetibili ogni anno, ma per la rassegna curata da Caglioti l’aggettivo è ben speso: chi avrà l’opportunità di varcare il portone di Palazzo Strozzi prima e quello del Bargello poi si troverà dinnanzi a un percorso che, quand’anche dovesse conoscere repliche, sarà verosimilmente tra svariati decennî.

La mostra di Caglioti è riuscita a radunare un numero impressionante di opere, superando di gran lunga le due mostre del centenario donatelliano, le due esposizioni ch’erano state organizzate tra il 1985 e il 1986: un Omaggio a Donatello al Museo del Bargello e Donatello e i suoi, quest’ultima con due tappe, la prima al Forte del Belvedere di Firenze e la seconda al Detroit Institute of Arts (anche la mostra di Palazzo Strozzi e Bargello andrà in trasferta, prima a Berlino e poi a Londra, con un itinerario di visita che sarà però differente rispetto a quello fiorentino). Per comprendere la rarità della mostra sarà dunque opportuno un rapido confronto con le mostre degli anni Ottanta. Se l’Omaggio a Donatello, mostra “conservativa” come la definì Giuliano Briganti perché non spostò opere, aveva offerto la possibilità d’una ricognizione sul nucleo del Bargello e si proponeva come un evento dalle dimensioni piuttosto contenute, più ambiziosa era invece la mostra del Belvedere, che non poté tuttavia contare su prestiti dal Bargello, e si concentrò soprattutto sul Donatello giovane (fu quella, peraltro, la prima mostra in cui si poterono osservare a confronto i crocifissi di Donatello e Brunelleschi). Al Belvedere figuravano diverse delle opere oggi in mostra a Palazzo Strozzi: la Madonna Bardini, per esempio, all’epoca assegnata a Donatello in via dubitativa e oggi restituita al novero degli autografi del maestro. E poi ancora il busto-reliquiario di San Rossore, il San Giovanni Battista della Cattedrale di Siena che si mostrava, anche lui per la prima volta, in condizioni di visibilità più favorevoli rispetto a quelle abituali, la Madonna di Pietrapiana. La mostra di Palazzo Strozzi e del Bargello va oltre: è un viaggio onnicomprensivo lungo tutta la carriera di Donatello, dall’inizio alla fine, con opere che si sono mosse per la prima volta dalla loro sede (è il caso, per esempio, del prestito “manualistico” del Banchetto di Erode, smontato per la prima volta dal fonte battesimale del Battistero di Siena), con focus tematici di ampio respiro (la sola sezione sul Donatello padovano potrebbe fare storia a sé), con una quantità di opere che difficilmente si riscontra anche nelle monografiche meglio riuscite.

Si potrebbe riassumere tutto in poche parole: a Palazzo Strozzi e al Bargello c’è quasi tutto quello che si poteva spostare. E quel poco che manca per arricchire un percorso completo su Donatello (la Maddalena del Museo del Duomo, per esempio, o la Giuditta di Palazzo Vecchio) è a portata di mano. Obiettivo dichiarato della mostra, è quello di far emergere con forza la personalità di Donatello come artista di rottura, come artista talmente moderno da poter essere considerato una sorta di contemporaneo di Michelangelo malgrado il grande Buonarroti fosse nato vent’anni dopo la scomparsa del padre del Rinascimento in scultura, come “patriarca e simbolo di un’intera epoca dell’arte occidentale”, scrive con trasporto Caglioti nell’appassionato pannello introduttivo che il pubblico trova nella prima sala della mostra. Occorreva dunque una mostra, potrebbe obiettare qualcuno, per ribadire quel che già si sa? La risposta è affermativa, e le ragioni sono diverse. Intanto, potremmo pensare a Donatello. Il Rinascimento come a una mostra che solleva la figura di Donatello da ogni categorizzazione: non è solo un artista di svolta, ma è un artista, sottolinea giustamente Caglioti, che “ha introdotto nella storia nuovi modi di pensare, di produrre e di vivere l’arte”. La sua rivoluzione non è solo “tecnica”, si passi il termine: i precisi e inappuntabili confronti che la mostra disloca lungo tutto il percorso dimostrano come i suoi meriti e i suoi primati (inventore dello stiacciato, inventore del monumento equestre rinascimentale, inventore della statuaria moderna) vadano anche al di là di quelli che si possono attribuire a un Masaccio o a un Brunelleschi. E c’è poi il problema del “canone” (il termine è di Caglioti) delle opere di Donatello, particolarmente sentito tra anni Trenta e Cinquanta: anche se Donatello è artista a tal segno studiato che è difficile immaginare spettacolari progressi sulle indagini che lo riguardano, la mostra di Palazzo Strozzi e Bargello rappresenta anche un’occasione per ristabilire alcuni punti fermi alla luce degli avanzamenti degli ultimi anni.

Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio
Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio

L’avvio della mostra è folgorante: gli esordî di Donatello sono riassunti col David marmoreo che gli fu commissionato nel 1408 per uno dei contrafforti dell’abside del Duomo di Santa Maria del Fiore, spostato per l’occasione dal Museo Nazionale del Bargello (il Salone di Donatello, come si vedrà, per la mostra è stato completamente riallestito), che viene posto in mezzo ai due crocifissi, quello di Donatello del 1408 circa, il famoso “Cristo contadino” di Santa Croce reso celebre dal memorabile aneddoto vasariano, e quello di Filippo Brunelleschi da Santa Maria Novella (la leggenda vuole che Donatello avesse riconosciuto d’emblée la maggior nobiltà ed eleganza del crocifisso eseguito dall’amico, concludendo che a Filippo era concesso di scolpire Cristi, e a lui i contadini). Uno dei pochi rammarichi della mostra, in questo caso espresso anche in catalogo da Laura Cavazzini, è quello di non aver potuto esporre, in questa prima sala, il Profetino ch’è tra le opere che non si son spostate dal Museo del Duomo e che possiamo considerare il primo lavoro noto dell’artista. Si punta dunque sui primi capolavori per superare questa mancanza, e il profilo del giovane Donatello viene comunque compiutamente restituito al pubblico, che familiarizza fin da subito con un artista che si forma nel cantiere del Duomo, frequenta Lorenzo Ghiberti (le cui eleganze riecheggiano nel David di marmo), stringe amicizia con Filippo Brunelleschi e ingaggia con lui questa sorta di sfida dei crocifissi (quello di Donatello sorprende per l’inusitato realismo ma anche per i suoi legami con la tradizione: è forse l’opera più tardogotica di Donato), e stabilisce un ulteriore rapporto alla pari con Nanni di Banco (il lungo saggio di Caglioti in catalogo, una sorta di biografia potenziata, ben esplicita i termini del legame tra Donatello e Nanni).

Se la prima sezione non ha granché da aggiungere rispetto alla storiografia consolidata, il discorso cambia invece nella sala seguente ch’è dedicata alle produzioni giovanili in terracotta, interessante per molte ragioni. È, intanto, l’occasione per riepilogare le più recenti acquisizioni nel campo forse più ostico degli studî donatelliani: varrà la pena rimarcare che solo a partire dagli anni Settanta-Ottanta, con le ricerche di Luciano Bellosi, ha cominciato a delinearsi una sorta di canone delle terrecotte di Donatello. Uno degli obiettivi della mostra è anche quello di contribuire a convincere dell’autografia donatelliana quanti ancora sono restii a riconoscere come opere del maestro alcune terrecotte che invece, in mostra, gli vengono ascritte senza esitazioni. L’introduzione spetta alla Madonna col Bambino di Jacopo della Quercia resa nota da Bellosi nel 1997 e posta a confronto diretto con le Madonne col Bambino di Donatello in prestito dal Victoria&Albert Museum di Londra e dal Detroit Institute of Arts: l’idea è quella di dimostrare ulteriormente la bontà dell’autografia donatelliana della terracotta londinese e di quella americana anche attraverso il paragone diretto con Jacopo, dacché, nota Laura Cavazzini, “il perentorio plasticismo” che informa la scultura fittile di Jacopo “è quanto di più distante dal modellato vibrante delle invenzioni donatelliane”, e allo stesso modo “i volumi sapientemente calibrati in un drastico alternarsi di pieni e di vuoti che, grazie a un ardito gioco di sottosquadri, generano contrasti chiaroscurali netti, sono antitetici al sensibile pittoricismo di Donatello”. Spicca poi la presenza della Madonna Bardini, invenzione tra le più sorprendenti di Donatello, e la cui autografia, si può dire, è ormai data: a Palazzo Strozzi si nutre del confronto con la Madonna col Bambino di Nanni di Banco in prestito dal Louvre, che pur palesando un linguaggio diverso, più compassato, risente in maniera ineludibile delle novità introdotte da Donatello.

Spetta infatti a Donato, assieme a Brunelleschi (per il quale è tuttavia più difficile ricostruire un corpus attendibile e inequivocabile di Madonne fittili), il merito d’aver rilanciato l’uso della terracotta come mezzo per produrre immagini simili a quelle che si vedono in mostra. La tendenza di Donatello a sperimentare viene approfondita nella sequenza di sale che s’aprono in rapida successione: si conosce, intanto, il Donatello metallurgo (per quanto non fosse questa la sua principale qualità) con il San Ludovico di Santa Croce, col busto-reliquiario di San Rossore, che costituisce uno dei vertici dell’oreficeria rinascimentale e ch’è anche da considerare come il primo ritratto scultoreo del Rinascimento (per quanto si tratti d’un personaggio che pertiene più alla leggenda che alla storia) e con le due statue della Fede e della Speranza, quest’ultima appena restaurata, che lasciano per la prima volta il Battistero di Siena e con le quali Donatello, scrive Gabriele Fattorini, “seppe rivelarsi quale inarrivabile statuario in bronzo, volto a cimentarsi con l’obiettivo di scolpire una figura a tutto tondo, capace di ergersi concretamente nello spazio come le statue antiche, nell’esplicita volontà di sfuggire ai confini architettonici del tabernacolo”. Da sottolineare, nella terza sala, l’altissimo confronto con Masaccio, presente col San Paolo e i due santi carmelitani del Polittico del Carmine: il grande pittore poté giovarsi della concezione spaziale donatelliana per eseguire la sua opera. E della rivoluzione che Donatello operò nello spazio scolpito si parla nella sala seguente, dove spicca il summenzionato Banchetto di Erode, fulcro della sezione che dà conto delle conquiste che Donatello seppe mettere a punto avvalendosi dell’amicizia di Filippo Brunelleschi, traducendo in scultura la prospettiva scientifica. Del tutto nuovo è dunque, com’è noto, il senso della profondità che anima lo “stiacciato”, di cui il Banchetto offre uno dei saggi più elevati: una rivoluzione che non solo scuote la scultura donatelliana (anche la concezione spaziale che anima quel capolavoro d’intimismo e dolcezza ch’è la Madonna Pazzi risponde a queste novità), ma che si riverbera nell’arte coeva, come dimostrano la tavola di Filippo Lippi in prestito dalla Fondazione Cini o la più famosa Imposizione del nome del Battista del Beato Angelico. Il trittico di sale dedicate al Donatello che sperimenta si chiude con una sezione sugli “spiritelli”, i putti che, pur non essendo invenzione di Donatello, tornarono con lui al centro dell’attenzione diventando una delle presenze più costanti e cospicue del suo repertorio. Anzi: per Neville Rowley si deve a Donatello (in contemporanea con lo Jacopo della Quercia del monumento a Ilaria del Carretto) la riesumazione di questo antico motivo. Tra i punti fermi che la mostra intende stabilire, figura l’attribuzione dei due Spiritelli portacero dalla cantoria di Luca della Robbia per il Duomo di Firenze: solo negli ultimi vent’anni s’è fatta luce sull’autografia donatelliana dei due bronzi, risolvendo così un problema secolare (i due putti erano attribuiti a Luca della Robbia sulla scorta d’una notizia diffusa da Vasari).

Donatello, David vittorioso (1408-1409; marmo 191,5 x 78,5 x 42 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 2)
Donatello, David vittorioso (1408-1409; marmo, 191,5 x 78,5 x 42 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 2)
Donatello, Madonna col Bambino (1415 circa; terracotta, 73 x 45,3 x 36,5 cm; Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 7573-1861)
Donatello, Madonna col Bambino (1415 circa; terracotta, 73 x 45,3 x 36,5 cm; Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 7573-1861)
Donatello, Madonna col Bambino (1410-1415 circa; terracotta, 90 x 75 x 24 cm; Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst, inv. 1940, esposta al Bode-Museum. Foto di Antje Voigt
Donatello, Madonna col Bambino (1410-1415 circa; terracotta, 90 x 75 x 24 cm; Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst, inv. 1940, esposta al Bode-Museum. Foto di Antje Voigt
Donatello, Reliquiario di san Rossore (1422-1425 circa; bronzo dorato e argentato, 55 x 58 x 42 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo)
Donatello, Reliquiario di san Rossore (1422-1425 circa; bronzo dorato e argentato, 55 x 58 x 42 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo)
Masaccio, San Paolo, dal Polittico del Carmine (1426; tempera e foglia d'oro su tavola, 62 × 34,5 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, inv. 1720)
Masaccio, San Paolo, dal Polittico del Carmine (1426; tempera e foglia d’oro su tavola, 62 × 34,5 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, inv. 1720)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna Pazzi (1422 circa; marmo, 74,5 x 73 x 6,5 cm; Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst, inv. 51, esposta al Bode-Museum). Foto di Antje Voigt
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna Pazzi (1422 circa; marmo, 74,5 x 73 x 6,5 cm; Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst, inv. 51, esposta al Bode-Museum). Foto di Antje Voigt
Donatello, Convito di Erode (1423-1427; bronzo dorato, 60 x 60 x 8 cm; Siena, Battistero di San Giovanni, Fonte battesimale)
Donatello, Convito di Erode (1423-1427; bronzo dorato, 60 x 60 x 8 cm; Siena, Battistero di San Giovanni, Fonte battesimale)

Uno degli affondi più interessanti della mostra è dedicato ai lavori che Donatello eseguì a Prato assieme al più giovane collega Michelozzo, col quale strinse un fecondo sodalizio il cui risultato più famoso è il pulpito del Duomo di Prato, portato a termine nel settembre del 1438. Il linguaggio classico di Donatello e Michelozzo s’ammira dunque nel capitello in bronzo dorato (della doratura rimangono alcune tracce) ch’è giunto a Firenze in prestito dal Museo dell’Opera del Duomo di Prato, e soprattutto nei rilievi marmorei che adornava il “pulpito meraviglioso”, come lo chiamava Gabriele D’Annunzio: la Danza degli spiritelli, che si dimenano frenetici al suono dei tamburelli con passi leggiadri e sicuri, gentilmente fasciati da vesti leggerissime, si ponevano come una delle novità più dirompenti del tempo. E a testimonianza di quante suggestioni avessero mosso, la mostra espone un disegno della bottega di Pisanello (ma sul foglio pende ancora il dibattito attributivo) che copia in maniera piuttosto fedele uno dei due rilievi pratesi in mostra a Palazzo Strozzi, oltre al celebre reliquiario del Sacro Cingolo, opera di Maso di Bartolomeo che nella decorazione riprende la festosa danza donatelliana. La sezione su Prato introduce anche alla dimensione collettiva di certe opere di Donatello, eseguite con largo concorso d’aiuti e collaboratori: ne è un esempio la Madonna Piot, caratterizzata dall’originalissimo fondo composto da alveoli dove trovano posto raffigurazioni d’anfore e cherubini eseguiti in cera bianca. La seguente saletta che ospita le due porte bronzee di San Lorenzo è ulteriore testimonianza della straordinaria libertà d’inventiva di Donatello (s’ammirino le singole formelle), mentre la sezione che s’apre subito dopo introduce uno dei temi più interessanti della rassegna: il soggiorno di Donatello a Padova.

Spicca, nella sala, il San Giovanni Battista di casa Martelli, l’ultima opera eseguita da Donatello a Firenze prima di trasferirsi in Veneto: il Battista è raffigurato come un ragazzino imberbe e dai tratti delicati, e il suo destino sarebbe stato quello di aprire “un sentiero luminoso di imitazioni”, per adoperare una bella espressione di Caglioti. La dimostrazione più tangibile è offerta dal San Giovannino di Desiderio da Settignano, il più dolce tra gli scultori rinascimentali, specializzato nei ritratti marmorei di bambini e infanti. Secondo Caglioti, Donatello avrebbe portato con sé a Padova un modello o un disegno del San Giovanni Battista, cui spetta una sorta di ruolo da apripista verso i bronzi dell’altare del Santo: ad ogni modo, anche il Battista adolescente fu già sufficiente a indirizzare scultori e pittori veneti, come attesta in maniera efficace il San Giovanni Battista dello Schiavone. A diffondere ulteriormente il verbo donatelliano sarebbe stato Andrea Mantegna, tra i primi ad accogliere le novità in arrivo dalla Toscana: la Madonna col Bambino del Poldi Pezzoli, uno dei prestiti di punta della mostra, pur essendo opera degli anni Novanta del Quattrocento è un dipinto che ancora non abbandona gli spunti che Mantegna ricavava dalla lettura delle Madonne donatelliane. La teoria di pittori e scultori del Nord Italia ispirati da Donatello allinea una serie di nomi di prim’ordine: Marco Zoppo, Giorgio Schiavone (presente con la celebre Madonna col Bambino della Galleria Sabauda di Torino), Bartolomeo Bellano, Pietro Lombardo. E, a proposito di prestiti eccezionali, la sala successiva è forse quella che fa più strabiliare il pubblico. Il discorso ruota attorno alla Imago Pietatis dell’altare del Santo, una delle Pietà più famose della storia dell’arte: il celeberrimo, commovente rilievo bronzeo sarebbe divenuto uno dei soggetti preferiti di Giovanni Bellini, presente con la Pietà della Fondazione Cini, e sarebbe stato studiato a fondo da innumerevoli schiere d’artisti, a cominciare, di nuovo, da Marco Zoppo che nella sua Imago Pietatis dei Musei Civici di Pesaro ne restituisce una rilettura nervosa, espressionistica. Da Padova arrivano anche il Crocifisso bronzeo e un’altra opera “da manuale”, il Miracolo della mula, inserito in uno dei dialoghi più suggestivi della mostra, con il cosiddetto Altare Forzori, rara terracotta che col rilievo bronzeo dell’altare del Santo condivide la concezione spaziale e che rappresenta, scrive Caglioti ricordandone l’ingresso nel catalogo donatelliano nel 1989, “l’unico modello autografo donatelliano per un’impresa monumentale che ci sia pervenuto, e apre perciò un notevolissimo squarcio sulla creatività matura del maestro”. Creatività del maestro che è posta a confronto con lo spettacolare gruppo bronzeo di Niccolò Baroncelli e Domenico di Paris per l’altare della Cattedrale di Ferrara, riflesso più immediato dei bronzi del Santo (la possibilità di vedere nella stessa sala i due crocifissi è occasione più che rara).

Le ultime due sale di Palazzo Strozzi seguono in ordine cronologico le ultime fasi della carriera di Donatello. La Madonna Chellini, splendido bronzo degli anni Cinquanta che deve il nome al suo primo proprietario, il medico Giovanni Chellini che la ricevette in dono dallo stesso Donatello, è uno dei perni attorno ai quali ruota la porzione conclusiva della mostra: è opera certa di Donatello e, ristudiata di recente, ha sbloccato il dibattito attributivo su diverse Madonne ch’erano rimaste in forse. Dal Victoria&Albert Museum proviene anche il Compianto sul Cristo morto, che al pari di un altro prestito eccezionale, il San Giovanni Battista del Duomo di Siena, dà conto del Donatello estremo: inquieto, patetico, anticlassico. La chiusura è affidata ai grandi bronzi della vecchiaia (spicca la Protome di cavallo nota anche come Testa Carafa, frammento dell’incompiuto monumento equestre ad Alfonso il Magnanimo di Napoli), mentre il confronto tra la Crocifissione di Donatello proveniente dal Bargello e l’omologo rilievo di Bertoldo di Giovanni, uno dei maggiori e più abili “creati” di Donatello (e che del rilievo donatelliano propone un’interpretazione più sobria e meno movimentata) rinvia il pubblico alle tre sezioni allestite al Museo del Bargello.

Donatello, Due Spiritelli portacero, dalla Cantoria di Luca della Robbia per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze (1436-1438 circa; bronzo, con tracce di doratura, basi in marmo bianco non pertinenti, 58,5 × 42 × 28 cm la figura volta a sinistra, 65 × 32,5× 22 cm la figura volta a destra; Parigi, Institut de France, Musée Jacquemart-André, invv. M JAP-S)  1773-1 e 2
Donatello, Due Spiritelli portacero, dalla Cantoria di Luca della Robbia per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze (1436-1438 circa; bronzo, con tracce di doratura, basi in marmo bianco non pertinenti, 58,5 × 42 × 28 cm la figura volta a sinistra, 65 × 32,5× 22 cm la figura volta a destra; Parigi, Institut de France, Musée Jacquemart-André, invv. M JAP-S)
Donatello e Michelozzo, Danza di spiritelli, dal Pergamo del Sacro Cingolo a Prato (1434-1438; marmo e mosaico di tessere ceramiche invetriate e già dorate, 78 × 86 × 12 cm; Prato, Museo dell’Opera del Duomo - Diocesi di Prato, inv. AGJ2748)
Donatello e Michelozzo, Danza di spiritelli, dal Pergamo del Sacro Cingolo a Prato (1434-1438; marmo e mosaico di tessere ceramiche invetriate e già dorate, 78 × 86 × 12 cm; Prato, Museo dell’Opera del Duomo - Diocesi di Prato, inv. AGJ2748)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna Piot (1440 circa; terracotta già dorata, cera, paste vitree, 74 x 75 x 7 cm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures du Moyen Âge, de la Renaissance et des temps modernes, inv. RF 3967). Foto di Stéphane Maréchalle
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna Piot (1440 circa; terracotta già dorata, cera, paste vitree, 74 x 75 x 7 cm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures du Moyen Âge, de la Renaissance et des temps modernes, inv. RF 3967). Foto di Stéphane Maréchalle
Donatello, San Giovanni Battista di casa Martelli (1442 circa; marmo, 165 x 46,5 x 36 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 435)
Donatello, San Giovanni Battista di casa Martelli (1442 circa; marmo, 165 x 46,5 x 36 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 435)
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1495 circa; tempera magra su tela 45,2 x 35,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 1595)
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1495 circa; tempera magra su tela 45,2 x 35,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 1595)
Giovanni Bellini, Imago Pietatis (1456 circa; tempera (?) su tavola, 63,4 x 48,5 cm; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr, inv. C1. I 39) 2021 © Archivio Fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia
Giovanni Bellini, Imago Pietatis (1456 circa; tempera (?) su tavola, 63,4 x 48,5 cm; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr, inv. C1. I 39) 2021 © Archivio Fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia
Donatello, Miracolo della mula (1446-1449 circa; bronzo parzialmente dorato, 57 x 123 cm; Padova, Basilica di Sant’Antonio, Altare del Santo Foto di Nicola Bianchi /Archivio Fotografico Messaggero di sant’Antonio)
Donatello, Miracolo della mula (1446-1449 circa; bronzo parzialmente dorato, 57 x 123 cm; Padova, Basilica di Sant’Antonio, Altare del Santo Foto di Nicola Bianchi /Archivio Fotografico Messaggero di sant’Antonio)
Donatello, San Giovanni Battista (1455 circa - 1457; bronzo, altezza 185 cm; Siena, Cattedrale, Cappella del Battista)
Donatello, San Giovanni Battista (1455 circa - 1457; bronzo, altezza 185 cm; Siena, Cattedrale, Cappella del Battista)

Per l’occasione, come anticipato, il Salone di Donatello è stato riallestito attorno a tre grandi capolavori, il San Giorgio, il Marzocco e il David di bronzo. L’obiettivo, tanto nel Salone di Donatello quanto nelle due salette del pianterreno riservate alle rassegne temporanee, è stato quello di comporre un’antologia donatelliana per documentare la fortuna delle invenzioni del maestro. Di grande effetto è la sistemazione della parete di fondo del Salone: il San Giorgio si trova a dialogare con due pitture del ciclo degli uomini illustri di Andrea del Castagno, il Farinata degli Uberti e Pippo Spano, che “partecipano alla mostra”, scrive Francesco Caglioti, “sia come riflessi eclatanti di quelle due sculture” (ovvero il San Giorgio e il David), “sia anche per alludere alla prima presentazione che il David poté avere in una sala della ‘Casa Vecchia’ dei Medici, nel mezzo di un ciclo perduto di Uomini famosi analogo a quello di Villa Carducci a Legnaia, ma affrescato da Bicci di Lorenzo”. A testimoniare l’ulteriore fortuna del David sfilano il David vittorioso di Desiderio da Settignano, in prestito dalla National Gallery di Washington, l’omologo bronzo di Bartolomeo Bellano che giunge invece dal Metropolitan di New York, l’Ercole a riposo di Antonio del Pollaiolo e naturalmente uno dei padroni di casa, il David del Verrocchio. Muove a ulteriore stupore la presenza di un foglio di Raffaello: i suoi Quattro soldati dall’Ashmolean Museum di Oxford vogliono render evidente il fascino esercitato da Donatello sull’urbinate (la figura centrale del foglio è una copia del San Giorgio).

Finale della mostra dedicato alla fortuna delle Madonne di Donatello, con due sale che ruotano attorno, rispettivamente, alla Madonna delle nuvole e alla Madonna di Pietrapiana, e alla Madonna Dudley. Un’opera giovanile, un’opera matura e un’opera tarda, dunque: tre capolavori che figurano tra le opere più liriche dell’intera produzione donatelliana. I rilievi, messi a confronto con una selezione che attraversa due secoli interi e va anche leggermente oltre, intendono dar conto di come Donatello abbia contribuito a costruire la cosiddetta “maniera moderna”: il confronto tra la Madonna di Pietrapiana e la fedelissima Madonna di Fontainebleau di Giovanfrancesco Rustici dimostra come a quasi un secolo di distanza Donatello esercitasse ancora un fortissimo ascendente. E lo stesso può dirsi per il San Giovanni Battista di Francesco da Sangallo che dialoga a distanza con quello donatelliano di Casa Martelli. Ancora più cospicui sono i confronti che compongono l’ultima sala, centrata attorno alla Madonna Dudley, identificata da Caglioti come la singola opera di Donatello che ha avuto maggior seguito, e che per tal ragione meriterebbe una mostra a sé. Evidenti sono i debiti palesati dalla Madonna della Scala di Michelangelo, copie fedeli sono i disegni di Baccio Bandinelli e la Madonna col Bambino del Bronzino da collezione privata, mentre decisamente più forzato appare il confronto con la Madonna col Bambino di Palazzo Pitti attribuita ad Artemisia Gentileschi: e per quanto lo stesso Caglioti, dalle pagine del catalogo, chieda uno sforzo d’immaginazione al visitatore poiché l’immagine gentileschiana “non svela a prima vista stringenti prelievi da Donatello”, il legame non può che sembrare un poco azzardato, senza contare il fatto che si parla d’un’opera la cui stessa autografia è più che dubbia. È l’opera che congeda il visitatore: ma anche senza la sua presenza, l’idea d’un Donatello ch’è vivo anche a gran distanza temporale arriva comunque diretta e squillante.

Donatello, San Giorgio (nella predella: Combattimento di san Giorgio col drago e liberazione della principessa) (1415-1417 circa; 204 × 78 × 34 cm; nicchia 525 × 172 × 62 cm; predella 39 × 120 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 361; predella inv. Sculture 517)
Donatello, San Giorgio (nella predella: Combattimento di san Giorgio col drago e liberazione della principessa) (1415-1417 circa; 204 × 78 × 34 cm; nicchia 525 × 172 × 62 cm; predella 39 × 120 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture 361; predella inv. Sculture 517)
Donatello, David vittorioso (1435-1440 circa; bronzo con tracce di doratura, 155 x 65 x 60 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Bronzi 95)
Donatello, David vittorioso (1435-1440 circa; bronzo con tracce di doratura, 155 x 65 x 60 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Bronzi 95)
Andrea del Castagno, Farinata degli Uberti (1448-1449; affresco staccato applicato su tela, 250 x 154 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. San Marco e Cenacoli 172)
Andrea del Castagno, Farinata degli Uberti (1448-1449; affresco staccato applicato su tela, 250 x 154 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. San Marco e Cenacoli 172)
Desiderio da Settignano, David vittorioso detto David Martelli (1462-1464 circa; marmo, 164,6 × 50,4 × 42,4 cm; Washington, National Gallery of Art, Widener Collection, inv. 1942.9.115)
Desiderio da Settignano, David vittorioso detto David Martelli (1462-1464 circa; marmo, 164,6 × 50,4 × 42,4 cm; Washington, National Gallery of Art, Widener Collection, inv. 1942.9.115)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna delle nuvole (1425-1430 circa; marmo, 33,1 × 32 cm; Boston, Museum of Fine Arts, inv. 17.1470)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna delle nuvole (1425-1430 circa; marmo, 33,1 × 32 cm; Boston, Museum of Fine Arts, inv. 17.1470)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna del Pugliese - Dudley (1440 circa; marmo, 27,2 x 16,5 x 2 cm; Londra, Victoria and Albert Museum, inv. A.84-1927)
Donatello, Madonna col Bambino detta Madonna del Pugliese - Dudley (1440 circa; marmo, 27,2 x 16,5 x 2 cm; Londra, Victoria and Albert Museum, inv. A.84-1927)
Michelangelo Buonarroti, Madonna della Scala (1490 circa; marmo, 56,7 x 40,1 x 3,5 cm; Firenze, Museo di Casa Buonarroti, inv. 190)
Michelangelo Buonarroti, Madonna della Scala (1490 circa; marmo, 56,7 x 40,1 x 3,5 cm; Firenze, Museo di Casa Buonarroti, inv. 190)

Quale immagine, dunque, si ricava di Donatello dalla mostra di Palazzo Strozzi e Bargello? Chi è il Donatello ch’emerge alla fine del percorso espositivo? S’è detto che l’aspirazione forse principale della mostra è quella di presentarlo come artista capace d’ergersi addirittura al di sopra d’un Masaccio o d’un Brunelleschi, che portarono il Rinascimento in pittura e in architettura, perché Donatello, insiste Caglioti, è stato responsabile del “salto culturale verso la prassi - prim’ancora che il concetto - dell’estrema originalità individuale dell’autore, alla ricerca instancabile e pervasiva di tutto ciò che potesse sovvertire le consuetudini istituzionali dell’arte”. Ecco, dunque, il Donatello che risalta dalla mostra: un artista dalla mentalità moderna e indipendente, uno sperimentatore continuo, un artista anche contraddittorio se vogliamo, tanto che gli studiosi hanno a lungo tribolato (e tribolano tuttora) per trovargli un incasellamento soddisfacente, ammesso che Donatello possa evitare di sottrarsi alle classificazioni. Quello che sorprende di Donatello, e che dalla mostra appare in tutta la sua manifesta e concreta evidenza, sta nel fatto che la sua rivoluzione durò, anzitutto, l’intero tempo della sua esistenza. Non c’è stato momento della sua carriera in cui questo grande scultore abbia posato, si sia fermato a rifiatare, abbia conosciuto involuzioni o passi all’indietro, si sia fermato sui pur grandissimi risultati raggiunti. E poi, sorprende la forte eco che fa risuonare la sua lezione anche sulla lunga distanza.

Ma esiste un dato che è forse ancor più sorprendente, e ch’è stato ben sottolineato da Giorgio Bonsanti in un suo saggio del 2000 sui marmi del pulpito di Prato: Donatello, scriveva lo studioso, è artista fuori dal tempo, capace di assoluta originalità, capace d’affermare con forza la propria straordinaria individualità depurandola “di ogni riferimento culturale esterno”. La sua arte, potremmo dire, è intrisa d’un’umanità che appartiene a ogni epoca. In cinque efficacissime parole, secondo Bonsanti: Donatello è artista “contemporaneo sempre e a chiunque”. Un artista ch’è moderno anche oggi. Ecco la statura di Donatello: la mostra di Palazzo Strozzi e del Museo del Bargello, che appartiene a quella singolare genia di rassegne che sanno essere fondate su progetti scientifici più che solidi e sanno al contempo richiamare grandi folle, la fa risaltare in tutta la sua grandezza.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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