Canova a Bologna. Una rigenerante mostra nella sede artistica dell'Alma Mater


Recensione della mostra “Antonio Canova e Bologna. Alle origini della Pinacoteca”, Bologna, Pinacoteca Nazionale, dal 4 dicembre 2021 al 20 febbraio 2022.

Un volo! Un volo scintillante compiuto da un’ape sapiente che risponde alla figura ideale di una principessa affabile e colta com’è Maria Luisa Pacelli, direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Una prospezione sopra un fenomeno che diventa sempre più interessante, sino all’entusiasmo dell’arte, mentre il visitatore procede nella assunzione dei temi e delle opere di una mostra singolare e bellissima che riguarda l’intrisione canoviana della dotta Bologna nelle aure vivaci di un neoclassicismo alto e sublime.

Com’era Bologna mentre girondini e giacobini si disputavano la rivoluzione francese eppoi mentre il còrso Buonaparte spogliava l’Italia di ogni bene possibile? Era una città di studi e di fattezze che godeva della lunga pace secolare dello Stato della Chiesa e che poteva vantare presenze culturali di elevatissimo prestigio: l’avanzato Istituto delle Scienze fondato nel 1711 da Luigi Ferdinando Marsili, che (accanto all’Alma Mater Studiorum) si poneva alla testa delle ricerche in ogni campo dello scibile; l’Università stessa; l’Accademia Filarmonica; l’Accademia delle arti, viva entro l’Accademia Clementina che curava le lettere, la poesia, la storia, l’archeologia, l’architettura; il tutto nello “spirito dei lumi” come ricorda in un ottimo saggio di catalogo Francesca Lui. A Bologna insegnava armonie padre Giovanni Battista Martini “gran musagete” e docente di Mozart; qui il celebre letterato Pietro Giordani, mallevadore di Leopardi, svolgeva un compito sovrano nelle scienze umane e nel gusto stesso della società, come del resto Francesco Algarotti nelle arti del disegno con profonda cultura; qui lavoravano pittori come Ubaldo Gandolfi, scultori come Carlo Bianconi e Giacomo Rossi; fra gli incisori Mauro Tesi eppoi Francesco Rosaspina, architetti come Angelo Venturoli e Giovanni Battista Martinetti. Tutti da rivalutare oggi, e potentemente, con conoscenza e coscienza.

Perché questa introduzione? Perché apre un pieno universo di studi e di attività nell’ultimo quarto del secolo XVIII in una città a livello europeo. Qui infatti vengono e soggiornano in fitta schiera gli intellettuali inglesi, irlandesi e francesi, e così giungono gli artisti figurativi in cerca di esempi, di modelli, di ispirazioni. Commovente e perfettamente significativo il gesto del pittore irlandese James Barry che volle lasciare in dono alla Città il suo dipinto Filottete ferito dopo essere stato nominato Accademico di onore alla Clementina (1771): una tela ben presto celebre quale esempio precoce e massimo del neoclassicismo, ovvero dotata di monumentalità, di antica evocazione letteraria, e di forti contenuti morali. In senso generale Bologna era un centro etico di eccellente levatura per accogliere quello che sarebbe stato, e diventò, il prodigio vivente della nuova classicità.

Canova si trattenne in Bologna sei volte certamente e anche di più se si considerano le tappe dei suoi viaggi nazionali e internazionali. La prima volta all’età di 22 anni nel 1779 nel recarsi a Roma per raccogliere l’immenso retaggio della Città eterna e per essere accolto come nuova aurora dell’arte nel Palazzo Venezia dagli eredi diretti del suo amato papa veneziano, Carlo Rezzonico, ossia Clemente XIII. La fortuna di possedere i suoi autografi quaderni di viaggio, che compaiono in mostra, ci certifica di un suo attento censimento delle opere presenti in Bologna, dove, oltre ai disegni, appunta le sue valutazioni e spesso lo stupore ammirato: come per le anatomie dell’Istituto delle Scienze, per il Compianto del Lombardi, per le pale dei Carracci, del Reni, del Cavedone, di Pasinelli e del Domenichino; e per quel soffitto di casa Sampieri, del Guercino, del quale scrive “non credo che un mortale possi fare di più a fresco”. Questa tappa, ampia e ricca (anche sul piano musicale e dei cibi) gli procurò un legame intimo con la città, un ammaestramento decisivo di vitalità artistica e diverse sincere amicizie che sempre rinnovò.

La mostra, curata dal giovane e ferrato studioso Alessio Costarelli, copre tutte le visite di colui che diventò “la scultura stessa” per l’intera Europa nella Felsina felix, e tutti i fervidi rapporti che segnarono tali legami in un crescendo di scoperte sui documenti, sui doni, sulle cortesie delle dame bolognesi, sui panegirici letterari, sulle mirabili sculture presenti, sino alla travolgente riconoscenza del Genio che dalle rapine napoleoniche riportò per Bologna e per Cento alcuni massimi capolavori, i quali segnano per il visitatore un diapason estremo di entusiasmo accorato e riconoscente. La disposizione stessa della mostra, nel suo allestimento, è felicemente invitante: il dilatato “open space” seminterrato e modernissimo, perfettamente illuminato con dosaggi attraenti e mirati, si articola in un percorso variato e accomodante che porge in ogni passaggio l’agio della contemplazione, della lettura documentaria, della fruizione a giro dei tuttotondi, dell’accompagnamento attraverso i grafici (uno grandioso sulle vicende peregrinanti delle opere in esame), e infine, dopo l’indimenticabile quadreria dei capolavori pittorici rientrati da Parigi e tribuenti all’animo del Canova, conduce alla ricreante ricostruzione informatica della Chiesa di Santo Spirito dove, nel 1816, si tenne l’esposizione dei dipinti restituiti.

Una mostra che offre uno squarcio inaspettato su un legame poco noto ma quantomai intenso fra il grande Antonio e la Città che lo amò pienamente. Peraltro Bologna può ora vantarsi di possedere realmente un marmo del Canova nell’esile dolcissimo nudo dell’Apollino dei Musei Civici, grazie alla scoperta meritoria di Antonella Mampieri, vera maestra sulla “Felsina scultrice”.

Annibale (o Ludovico ?) Carracci, Annunciazione (1588; Bologna Pinacoteca Nazionale)
Annibale (o Ludovico ?) Carracci, Annunciazione (1588; Bologna Pinacoteca Nazionale)
Dipinte probabilmente per i Padri Filippini di Santa Maria di Galliera le due ante d’organo brillano per la loro freschezza e felicità cromatica. I lavori dei Carracci colpirono vivamente il Canova nella sua prima visita in Bologna e ne ricevettero ampie lodi. Queste due tele furono poi requisite e recate a Parigi, donde il Canova le riportò.
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Madonna col Bambino benedicente (1629; Cento, Pinacoteca Civica)
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Madonna col Bambino benedicente (1629; Cento, Pinacoteca Civica)
Al Guercino il grande Antonio riserbò una piena ammirazione per la trepidezza della realtà intima che diede ai suoi santi personaggi, come quella di questa Madre che tocca teneramente il Figlio divino. Canova non dimenticherà mai tale fremito della vita e lo trasmise nelle sue sculture. Dai Carracci e dal Guercino colse un insegnamento non più abbandonabile. Ecco un primo e forte legame artistico con la Felsina pittrice.
Antonio Canova, Autoritratto (1812; gesso; Bassano del Grappa, Museo Civico). Esposto in Mostra.
Antonio Canova, Autoritratto (1812; gesso; Bassano del Grappa, Museo Civico). Esposto in Mostra.
L’autore scrisse all’amico Pietro Giordani, a Bologna, che era pressato da molti per un suo autoritratto in scultura e, dopo alcune titubanze, si era accorto che poteva ricavare anche dal proprio volto un soggetto interessante. Nel 1813 inviò a casa del Giordani una replica di questo gesso a scala maggiore, ricevendone un vivissimo ringraziamento.
Un interno molto bello della Mostra (Foto Roberto Serra).
Un interno molto bello della Mostra (Foto Roberto Serra).
Vi campeggiano le due eccellenti donazioni del Canova all’Accademia di Bologna. Veramente preziosa la Maddalena penitente, uno dei capi d’opera più celebrati del Maestro, recentemente restaurata in seno all’Accademia stessa. Sullo sfondo la testa al vero dal monumento funebre di Clemente XIII, il Pontefice veneziano amatissimo dallo scultore suo conterraneo.
Antonio Canova, Maddalena penitente (1809; gesso; Bologna, Accademia di Belle Arti)
Antonio Canova, Maddalena penitente (1809; gesso; Bologna, Accademia di Belle Arti). Foto di Luca Marzocchi.
Probabile dono dell’artista, molto attento ai piani di studio delle Accademie. È questo uno degli impegni formali più intensamente partecipato dal Canova, che brillò in Europa come ricreatore della maestà classica nella scultura e della perfezione armonica nei nudi, ma che si impegnò con autentico amore ai soggetti religiosi più commoventi. Questa penitente evangelica è davvero un ritratto dell’anima.
Antonio Canova. Particolare della Maddalena penitente.
Antonio Canova. Particolare della Maddalena penitente. Foto di Luca Marzocchi.
La figura della Maddalena penitente, che doveva portare sulle sue mani una croce, fu una delle invenzioni canoviane di maggior successo, capace di suscitare emozioni e rapimenti spirituali. In questo particolare possiamo avvicinarci presuntivamente alla straordinaria finitura che l’artista compiva su ogni superficie e su ogni dettaglio (qui i capelli, le palpebre, la lacrima) con finissimi scalpelli temperati e sagomati alla mola.
Antonio Canova. Testa del Papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico) (1783-1792). Gesso al vero dall'originale del monumento funebre del Pontefice, realizzato dal 1783 al 1792 in San Pietro a Roma.
Antonio Canova, Testa del Papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico) (1783-1792). Foto di Luca Marzocchi. Gesso al vero dall’originale del monumento funebre del Pontefice, realizzato dal 1783 al 1792 in San Pietro a Roma. Il memoriale marmoreo di questo Papa diede ben presto la misura monumentale delle capacità del Canova. Nello stesso tempo la composizione si sottrasse ai gesti più maiestatici del defunto, come avveniva in analoghe opere; qui il Santo Padre ha deposto la tiara e prega intensamente con pia umiltà. L’animo del Canova percepisce il momento del gran transito e vi si cala con un modellato trepido e colmo di oblazione. Una capacità dell’artista veramente universale.
Anton Raphael Mengs, Ritratto di Papa Clemente XIII (1758; olio su tela; Bologna, Pinacoteca Nazionale).
Anton Raphael Mengs, Ritratto di Papa Clemente XIII (1758; olio su tela; Bologna, Pinacoteca Nazionale).
In mostra spicca questo superbo ritratto di uno dei più importanti artisti del secondo Settecento europeo. Ora il dipinto è vanto della Pinacoteca Nazionale di Bologna, ereditato dalla Accademia di Belle Arti. Canova, a Roma, ne conobbe certamente una prima versione oggi riapparsa.
Altro splendido interno della Mostra, curato da INOUTArchitettura (Foto Roberto Serra).
Altro splendido interno della Mostra, curato da INOUTArchitettura (Foto Roberto Serra). Vi vediamo una testa ideale canoviana (Calliope?) e il busto di Napoleone. L’imperatore e sua moglie Giuseppina ottennero vari e celeberrimi soggetti dall’artista italiano, ma non il suo trasferimento personale a Parigi.
Testa ideale, probabilmente di Calliope
Testa ideale, probabilmente di Calliope, la Musa della poesia epica il cui nome signfica “dalla bella voce” (Foto Roberto Serra). Il purissimo modellato è lo stigma tipico dell’arte inarrivabile del Canova. Qui, sul calco preso direttamente dalla creta, si colgono bene i punti delle “rèpere”, che dovevano guidare lo sbozzo del marmo. La perfezione assoluta, da parte dello scultore, fu sempre il movente intimo del concepimento delle forme, ma egli non cadde mai nella freddezza; nelle sue figure si coglie sempre il respiro della vita. Sullo sfondo qui si scorge il grande capolavoro del Guercino, l’Apparizione di Cristo risorto alla Madre; il Maestro di Cento fu ammiratissimo dal Canova e il recupero di questo dipinto è a tutt’oggi oggetto di estrema gratitudine da parte degli Amici della Pinacoteca centese.
Antonio Canova (da), L'Annunziata (Testa di Vergine Maria) (gesso; Cento, Basilica di San Biagio)
Antonio Canova (da), L’Annunziata (Testa di Vergine Maria) (gesso; Cento, Basilica di San Biagio)
Reso noto da Antonella Mampieri in anni recenti questo calco può essere ricondotto ad una matrice canoviana per la sua purissima forma e il soffio soave del respiro. E’ difficile ricomporne la storia ma si può indicarne un passaggio per le mani dello scultore imolese-bolognese Cincinnato Baruzzi, venerato docente all’Accademia, da sempre animato dalla più pura ispirazione canoviana.
Parmigianino e Perugino di fianco alla Maddalena
Parmigianino e Perugino di fianco alla Maddalena (Foto Roberto Serra). Nella felice ripresa fotografica l’incantevole dolcezza della Maddalena inginocchiata, che doveva reggere una Croce fra le mani, riposa fra due quadri di sommo valore, che Canova recuperò per la città di Bologna. A sinistra la Madonna del Parmigianino, rarissima opera eseguita qui dall’artista in fuga dal sacco di Roma (1529 c), già nel Convento di Santa Margherita, eppoi nella Cappella Giusti della medesima chiesa. A destra la Madonna in gloria di Pietro Vannucci, detto il Perugino,che trasmise a Raffaello la sua eleganza formale e la dolcezza tipicamente umbra; la pala si trovava nella Cappella Scarani in San Giovanni in Monte dal 1497.
Ricostruzione informatica digitale della Mostra del 1816 allo Spirito Santo.
Ricostruzione informatica digitale della Mostra del 1816 allo Spirito Santo.
Nel 1816, nell’entusiasmo del rientro dei capolavori da Parigi ad opera del Canova, a Bologna si organizzò una esposizione dei dipinti ritornati nella ex Chiesa dello Spirito Santo. L’attuale Mostra si chiude con la stimolante ricostruzione dell’ipotetico modello dell’evento, dovuta a Fabrizio Ivan Apollonio, Federico Fallavollita e Riccardo Foschi. Una conclusione considerata giustamente necessaria e quantomai stimolante dalla Direttrice Maria Luisa Pacelli, tanto da offrire al fruitore una sosta ammirata, una rievocazione generale della visita, e un senso gioioso di soddisfazione culturale. Ammirando le “opere del rimpatrio” sgorga più vivo il merito conseguito dal Canova a Parigi, dove - pur essendo a capo della delegazione papale - egli riscosse tuttavia la venerazione illimitata da parte dei delegati inglesi, anglicani, che si imposero sui francesi e sui russi, riottosi alla riconsegna. L’eccelso scultore avverava, almeno in gran parte, i voti del suo grande amico Antoine Chrysostome Quatremére de Quincy che fu sempre ed eroicamente contrario alla rimozione delle opere d’arte dalle loro destinazioni originali e dal contesto dei loro luoghi.
Antonio Canova, Apollino (1797; marmo; Bologna, Musei Civici di Arte Antica)
Antonio Canova, Apollino (1797; marmo; Bologna, Musei Civici di Arte Antica)
Pubblichiamo qui l’eccezionale presenza in Bologna di un marmo autentico del Canova. Un risarcimento emozionante dovuto alla riscoperta di Antonella Mampieri che ristora un lunghissimo vuoto, anche angoscioso, per le generazioni a noi precedenti. Il marmo passò alle collezioni pubbliche grazie al legato testamentario dello scultore Cincinnato Baruzzi (1796-1878) e soltanto l’identificazione recente lo avvalora nella sua autografia. Così il visitatore che giunge a Bologna può incontrare Canova in persona; può sentir vibrare nel marmo un dio giovinetto e percorrerne con gli occhi le nitide forme sinuose provando davvero un momento di gaudio, un lieve sospiro di musica e di poesia.

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L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani

Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.



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