Animali, miti, poesia: l'eleganza di Sinibaldo Scorza in mostra a Genova


Recensione della mostra 'Sinibaldo Scorza. Favole e natura all'alba del Barocco' a Genova, Palazzo della Meridiana, dal 10 febbraio al 4 giugno 2017.

Ai vari tasselli che, negli ultimi anni, hanno contribuito a ricostruire la vivace e multiforme realtà artistica e culturale della Genova secentesca, e segnatamente di quella dei primi tre decenni del secolo (tra gli ultimi vale la pena ricordare l’eccellente monografica su Luciano Borzone dello scorso anno), se ne è da poco aggiunto uno di fondamentale valore: la mostra Sinibaldo Scorza. Favole e nature all’alba del Barocco, un’esposizione per rileggere, riscoprire, ricollocare, studiare approfonditamente e dare adeguata e giusta dignità a un artista come Sinibaldo Scorza (Voltaggio, 1589 - Genova, 1631), nome per lungo tempo rimasto pressoché ignoto al grande pubblico e relegato ai margini degli interessi della critica.

Quella che si è aperta a Palazzo della Meridiana (e che durerà fino al 4 giugno) è la prima rassegna mai dedicata all’artista voltaggino e, come dichiara nella prefazione del catalogo la curatrice Anna Orlando, è insieme punto d’arrivo e punto di partenza. Punto d’arrivo, perché una mostra di tale importanza ha richiesto un lungo e puntiglioso lavoro di ricerca, condotto in maniera irreprensibile da un comitato scientifico di prim’ordine: merito della curatrice è anche quello di aver radunato molti dei migliori esperti di Seicento genovese affinché si potesse procedere con un’approfondita disamina dell’intero corpus conosciuto dei lavori di Sinibaldo Scorza. Ne è dunque sortita una rassegna che raduna un’elevatissima percentuale dei dipinti noti del pittore, alla quale si aggiunge un evento collaterale, la mostra dei disegni conservati nei Musei di Strada Nuova, in corso a Palazzo Rosso, di cui si farà breve cenno alla fine di questo articolo. Punto di partenza, perché dai riscontri documentarî sappiamo che su Sinibaldo Scorza c’è ancora molto da scoprire: abbiamo notizie di dipinti realizzati certamente dal nostro, ma dati per dispersi o non ancora identificati, come le dodici tele raffiguranti “varie istorie, bataglie e cacce e mercati” che figuravano nella collezione del letterato Giovanni Vincenzo Imperiale, o le miniature possedute da Raffaele Soprani, e ancora molti dei disegni e dei dipinti citati nell’inventario post mortem dei beni posseduti dall’artista, oppure le opere menzionate negli inventari sabaudi al tempo della permanenza di Scorza a Torino. L’auspicio è che la presente mostra genovese possa anche rappresentare uno stimolo a nuove ricerche.

Prima sala della mostra Sinibaldo Scorza. Favole e nature all'alba del Barocco
Prima sala della mostra Sinibaldo Scorza. Favole e nature all’alba del Barocco

L’intelligente scansione dell’esposizione procede per sezioni tematiche che non seguono l’iter cronologico della carriera di Sinibaldo Scorza, e forse proprio per questo inducono a meglio cogliere due aspetti fondamentali della sua arte (ascrivibili anche a tutta la più aggiornata arte genovese del primo Seicento): il suo inserirsi in un contesto di ampio respiro, di caratura internazionale, e i fitti legami tra arti visive e letteratura. In mostra si insiste spesso su un dato pacifico e acclarato, ovvero il primato (almeno a Genova) da attribuire a Sinibaldo Scorza in fatto di pittura di animali: il voltaggino fu, in altri termini, il primo “animalista” del Seicento genovese. Questa particolare predilezione nei confronti del soggetto naturale che contraddistinse nella sua interezza il percorso artistico di Sinibaldo affonda le proprie radici nella coeva arte fiamminga, che il pittore poté doviziosamente studiare da una parte grazie alla disponibilità di “stampe diverse di tedeschi, fiamminghi e boemi” menzionate nell’inventario del suo maestro, quel Giovanni Battista Paggi che fu anche mentore di un pittore eccelso come Domenico Fiasella, e ricordate nel saggio a catalogo di Agnese Marengo che si focalizza proprio sui rapporti tra l’opera di Sinibaldo Scorza e l’arte nordica, e dall’altra attraverso l’osservazione diretta delle opere prodotte dai fiamminghi presenti a Genova. Giova ricordare che la Genova del tempo assurse al ruolo di polo artistico e culturale internazionale di primo livello: basti pensare che i colti mecenati attivi all’epoca s’erano prodigati per far giungere in città artisti come Caravaggio, Orazio Gentileschi, Pieter Paul Rubens, Anton van Dyck, tutti presenti sulle rive del mar Ligure nello spazio d’un quindicennio. E accanto ai nomi più pesanti della scena artistica occorre aggiungere una vasta schiera di artisti forse poco noti ai più, che soggiornarono a Genova tra gli anni Dieci e gli anni Venti e nei confronti di molti dei quali Sinibaldo Scorza presenta più d’un debito: già Luigi Lanzi, nella sua celebre Storia pittorica dell’Italia, aveva descritto Sinibaldo come un pittore “guidato da naturale talento” tale da render difficile il reperimento, in Italia, di un “pennello che innesti sì bene il gusto fiammingo nel nostrale”. Anna Orlando elenca e Agnese Marengo approfondisce la lista dei pittori di cui si trova eco nella produzione scorziana: i fratelli Cornelis e Lucas De Wael, Jan Wildens, Jan Roos, Gottfried Waals (tutti, a eccezione di Waals, presenti in mostra).

Tali echi appaiono evidenti anche laddove il dato “animalista” si limita al ruolo di comprimario: l’esempio più importante è il Gesù servito dagli angeli, in prestito dalla Pinacoteca dei Cappuccini di Voltaggio, tra le poche opere di grande formato di Scorza, nonché tra le poche a destinazione pubblica. Si tratta di un dipinto, come spiega Agnese Marengo in catalogo, “dove sono presenti evidenti accenti oltremontani, nella costruzione della scena, nell’atteggiarsi delle figure, nell’indagine lenticolare della vegetazione, ma soprattutto nella doppia apertura a cannocchiale dello sfondo che digrada verso paesaggi azzurrati, soluzione che richiama i paesaggi eremitici divulgati dalle incisioni della prolifica dinastia dei Sadeler”, incisioni di cui sappiamo Scorza era in possesso. La presenza, giustificata in virtù del suo valore simbolico, del simpatico coniglietto che spunta da sotto al tavolo di Gesù, e del pettirosso la cui vivida livrea si staglia sulle ombre alle spalle di Cristo, è sintomatica della passione di Sinibaldo Scorza per gli animali: una passione che risulta evidente anche da un’opera come il Riposo durante la fuga in Egitto, una fine tempera su pergamena dove, alla tenerezza dell’idillio familiare, s’aggiunge il brio dei piccioni appollaiati sulla cesta in basso a destra, dell’asinello legato al tronco d’albero, delle bestie che s’abbeverano a un lago in lontananza, e del cane che osserva guardingo (del cane esiste peraltro uno studio conservato nella cospicua raccolta di disegni della Collezione Czartoryski di Cracovia, che costituisce il più numeroso corpus grafico noto di Sinibaldo Scorza, con circa quattrocento fogli). La prima sezione delle cinque della mostra, che vede la presenza dei due succitati dipinti e che intende indagare gli esordî dell’artista, si completa nella sala d’apertura con l’esposizione di importanti opere di confronto, come una Madonna col Bambino, san Giovannino e san Giuseppe del maestro Paggi che si distingue per quell’eleganza che sarà tratto tipico anche dello stile del suo allievo, o un Presepe di Antonio Travi detto il Sestri che è viceversa fondata su una più greve aderenza al dato veristico.

Sinibaldo Scorza, Gesù servito dagli angeli
Sinibaldo Scorza, Gesù servito dagli angeli (1615 circa; olio su tela, 148,5 x 270 cm; Voltaggio, Pinacoteca dei Cappuccini)


Sinibaldo Scorza, Riposo durante la fuga in Egitto
Sinibaldo Scorza, Riposo durante la fuga in Egitto (1619 circa; tempera e oro su pergamena, 15 x 20,5 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso)

La pittura di animali di Sinibaldo Scorza era fondata su una stretta osservazione dal vero: basti, come prova, l’episodio (che è anche eloquente esempio del temperamento sanguigno del pittore) che vide l’allora ventunenne artista ferire con un pugnale un coetaneo che, sparando alcuni petardi, aveva fatto innervosire un cavallo che Sinibaldo Scorza stava ritraendo. Di cavalli (e, in generale, di animali domestici o da cortile che il pittore poteva facilmente procurarsi) abbonda la seconda sezione della rassegna di Palazzo della Meridiana, tutta dedicata al rapporto tra Sinibaldo Scorza e la natura. Singolare è il magnifico pavone, alto più di due metri: un unicum nella produzione nota dell’artista (il formato lascia intendere che il quadro dovesse riempire lo spazio tra due finestre). Si tratta di un’opera che, malgrado le dimensioni, non impedisce a Sinibaldo di mantener ben salde quelle doti da fine miniatore tanto elevate da averlo portato a raffigurare i suoi amati animali con una minuzia che denota uno sviluppatissimo spirito d’osservazione, oltre che innate capacità tecniche, evidenti soprattutto negli accenti da virtuoso del pennello riscontrabili in special modo in livree, piumaggi, epidermidi e pellicce assortite. E se i Due piccioni con un tordo colpiscono il visitatore per la loro sorprendente accuratezza, lo Scoiattolo si distingue anche per l’abilità con cui il pittore ha reso la vivacità tipica della bestiola, e alcuni piccoli olî (tra i quali si segnala una splendida Volpe accucciata) ci offrono l’opportunità di indagare uno dei motivi che portavano l’artista a realizzare dipinti di piccolo formato in cui l’animale era indiscusso protagonista e spesso anche unico elemento finito della composizione (si notino gli sfondi, terminati spesso in modo sommario o financo lasciati incompiuti): studiare morfologie, pose e atteggiamenti degli animali ai fini di costruire un repertorio utile per l’inserimento delle figure in composizioni più ampie e articolate. E a tale più impegnativa fattispecie appartiene la magnifica Entrata degli animali nell’arca di Palazzo Spinola: come accade quasi sempre nella produzione di Sinibaldo Scorza, l’episodio biblico (o letterario, o mitologico) rappresenta una sorta di pretesto per liberare la fervida fantasia del pittore, la cui attenzione, com’è lecito attendersi, si sofferma quasi esclusivamente sulle bestie. Ecco quindi che nel dipinto troviamo cani, gatti, pecore, caprette, tacchini e animali d’ogni sorta raffigurati con quella stessa cura del dettaglio che Sinibaldo profondeva nei “piccioli animalucci”, e soprattutto troviamo un cavallo bianco che entra da destra, invenzione figurativa del voltaggino che sarà ripresa dal nipote Giovanni Battista Sinibaldo Scorza (a cui è dedicata una sezione della rassegna) in un dipinto omologo, e da quel Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, che fu probabilmente il più grande tra gli “animalisti” genovesi: la sua Entrata, uno dei dipinti di maggior qualità tra quelli esposti a Palazzo della Meridiana, riprende con scattante vigore l’idea di Sinibaldo (il confronto tra le tre opere è uno dei momenti salienti della mostra).

Parete con le figure di animali
Parete con le figure di animali


Parete con il grande pavone
Parete con il grande pavone


Sinibaldo Scorza, Due piccioni e un tordo
Sinibaldo Scorza, Due piccioni e un tordo (olio su tela, diametro 21 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso)


Sinibaldo Scorza, Volpe accucciata
Sinibaldo Scorza, Volpe accucciata (olio su tela, 48,5 x 72,5 cm; Genova, collezione privata, discendenti di Sinibaldo Scorza)

Se i dipinti in cui gli animali sono esclusivi protagonisti sono un accadimento nuovo nella pittura genovese e costituiscono di fatto un’importazione dalle Fiandre, terra in cui tale genere era nato sulla scorta della nascita dei moderni studi scientifici e del susseguente vivo interesse per la natura, le composizioni in cui la presenza di animali era richiesta in quanto parte d’un contesto narrativo erano già, ovviamente, ben inserite nella tradizione italiana, ma la sezione della mostra che indaga l’apporto di Sinibaldo Scorza in quest’ambito è utile per due ragioni: intanto, perché come sottolineava qualche settimana fa un insigne studioso come Carlo Bertelli sul Corriere della Sera, tutta nuova è la sensibilità di Sinibaldo Scorza rispetto a quella dei suoi predecessori. I suoi Orfei che incantano gli animali (filone piuttosto consistente nella produzione scorziana, del quale sono esposti a Palazzo della Meridiana alcuni significativi esempi), uno dei quali scelto anche per la copertina del catalogo, rimangono impressi non solo per le sapienti qualità compositive e per la già apprezzata cura profusa nella dettagliata descrizione delle fiere ammansite dal canto del mitico personaggio, ma anche perché, a giudizio di Bertelli, nessuno prima di Scorza era riuscito a rendere con altrettanta evidenza l’effetto provocato dalla musica sulla fauna accorsa attorno al cantore: leoni che chinano il capo, cani, galline, pappagalli e asini tutti rivolti verso Orfeo in silenziosissimo ascolto, rapaci e pennuti varî che interrompono il volo e si fermano a terra richiamati dalle note della cetra. Proprio un Orfeo che canta e suona nel bosco di Sinibaldo Scorza era stato capace di diventare soggetto di due madrigali del maggior poeta del Seicento in Italia, Giovan Battista Marino (Napoli, 1569 - 1625), sui quali legami con Genova occorre fare un rapido excursus in quanto esemplificativi di quel peculiare intreccio tra arte e lettere che rappresenta la seconda ragione d’interesse che emerge da questa porzione della mostra.

L’apporto d’un letterato noto in tutta Europa, quale era Marino, aveva contribuito in maniera determinante all’evoluzione dell’ambiente culturale genovese d’inizio Seicento: è ormai dato per assodato che il poeta partenopeo, nel suo periodo di permanenza a Torino, tra il 1608 e il 1615 e poi di nuovo per qualche tempo nel 1623, dovette compiere frequenti viaggi a Genova, che lo portarono a stringere solidi rapporti con letterati e artisti. Note sono le sue relazioni con poeti come Gabriello Chiabrera, Ansaldo Cebà e Giovanni Vincenzo Imperiale, oltre che con gli artisti: s’è detto di Sinibaldo Scorza, che probabilmente fu introdotto a Marino col tramite di una comune conoscenza, ovvero Giovanni Battista Paggi, tra il 1612 e il 1613 (così ipotizza Franco Vazzoler nel suo contributo a catalogo sull’argomento), ma occorre anche evidenziare l’importante ruolo di Bernardo Castello (un suo Narciso è presente in mostra) come fondamentale trait d’union tra Marino e Genova. Si conserva un interessante epistolario tra Marino e Castello, utile anche come testimonianza circa l’opera che il poeta stava componendo all’epoca, quella famosa Galeria con la quale Marino tentava l’inusitata e ardua operazione di emulare, in qualche modo, l’efficacia delle immagini attraverso la potenza dei versi. Il rapporto tra Scorza e Marino (che, com’è lecito attendersi, s’infittì nel momento in cui entrambi erano contemporaneamente presenti nella capitale del ducato sabaudo) è testimoniato, oltre che dai summenzionati madrigali (che fanno parte della Galeria), anche dalle lettere che i due si scambiarono e che attestano come Marino avesse richiesto al pittore tele aventi per soggetto quello stesso Orfeo cantato nelle liriche: al momento non siamo tuttavia in grado di identificarle con quelle che conosciamo. Questi scambi attestano in modo inequivocabile la fortuna degli Orfei di Sinibaldo, che per le sue opere attingeva a piene mani, come s’è detto, da mitologia e letteratura: e una delle particolarità di questo suo ricorso alle fonti letterarie consiste nel fatto che Scorza era un lettore aggiornato e curioso. Non si spiegherebbe altrimenti un’opera come la Circe e Ulisse di Palazzo Bianco, che introduce la variante iconografica del dialogo tra i due protagonisti e gli uomini tramutati in animali: secondo gli studi, citati in catalogo, della studiosa Astrid Wootton, l’invenzione sarebbe stata suggerita a Sinibaldo dalla lettura della Circe di Giovan Battista Gelli, stampata a Firenze nel 1549, opera composta da dieci dialoghi tra Ulisse e gli animali dell’isola di Eea, questi ultimi quasi tutti contenti della loro nuova condizione dopo il mutamento subito per opera del sortilegio di Circe. E certamente in possesso di Scorza doveva essere anche la traduzione dell’Eneide di Annibal Caro (pubblicata nel 1581): si evidenzia come il dettaglio dei cani che seguono il corteo di caccia della regina di Cartagine ne La caccia di Didone (“Ed ecco fuori armati / di spiedi e di zagaglie, a suon di corni, / Venirne i cacciatori, altri con reti, / Altri con cani. Ha questi un gran molosso / Quegli un veltro al guinzaglio, e lunghe file / Van di seguaci incatenati avanti”) sia stato fedelmente trasposto dal pittore voltaggino sulla tela.

Sezione della mostra dedicata alle favole e ai miti
Sezione della mostra dedicata alle favole e ai miti


Sinibaldo Scorza, Orfeo incanta gli animali
Sinibaldo Scorza, Orfeo incanta gli animali (1628 circa; olio su tela, 73,5 x 97,5 cm; Genova, collezione privata)


Sinibaldo Scorza, Orfeo incanta gli animali
Sinibaldo Scorza, Orfeo incanta gli animali (1628; olio su tela, 58 x 93; Genova, Collezione privata)


Sinibaldo Scorza, Circe e Ulisse
Sinibaldo Scorza, Circe e Ulisse (olio su tela, 43 x 69 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco)


Sinibaldo Scorza, La caccia di Didone
Sinibaldo Scorza, La caccia di Didone (Olio su tela, 46 x 71 cm; Collezione privata)

L’ultima sezione della mostra testimonia l’adesione di Sinibaldo Scorza alla pittura di genere portata in Italia dai fiamminghi. Malgrado negli ultimi anni della carriera l’artista abbia assistito al sorgere della fastosità barocca, egli rimase del tutto refrattario a tali istanze, per sua precisa volontà, preferendo rivolgersi all’altrettanto moderna poetica del paesaggio, della veduta urbana, del frammento di vita quotidiana. Tuttavia, se quella di Sinibaldo Scorza dev’esser considerata pittura di genere, ci troviamo di fronte a esiti decisamente originali, perché negli armoniosi quadretti bucolici (si veda il Paesaggio dal Museo dell’Accademia Ligustica) come nelle più affollate scene di vita cittadina (il Paese in inverno con mercato di Palazzo Bianco, per esempio), Sinibaldo Scorza non si sottrae mai alla propria vena poetica che lo rende capace di infondere la propria innata eleganza a ogni composizione e di rendere quasi sospese le atmosfere dei suoi dipinti. Un “modo di dipingere decisamente realistico e quotidiano” (così scriveva nel 1976 Luigi Salerno, in un brano ripreso nel catalogo) che connota paesaggi e brani di città, come la Veduta di piazza del Pasquino, preziosa testimonianza del soggiorno romano di Sinibaldo Scorza, già segnalata da Roberto Longhi, che in mostra dialoga con le marine e le vedute di Livorno di Lucas de Wael. La rassegna trova la sua conclusione, anticipata da una singolare Mucca che urina (che suggerirà, ai visitatori usi a frequentar l’arte contemporanea, che il veneto Luca Rento, col suo lightbox a soggetto omologo alla GNAM di Roma, non ha inventato niente: Scorza ci era arrivato quattro secoli prima), in un eccezionale presepe di sagome dipinte (quindi della stessa tipologia della Mucca di cui sopra) proposto a mo’ di sorpresa per i visitatori e di cui occorrerà scrivere più diffusamente in un successivo articolo.

Sezione con vedute e paesaggi
Sezione con vedute e paesaggi


Sinibaldo Scorza, Paese in inverno con mercato
Sinibaldo Scorza, Paese in inverno con mercato (1620-1624 circa; olio su tela, 37 x 55 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco)


Il presepe di Sinibaldo Scorza
Il presepe di Sinibaldo Scorza

S’imbocca la via d’uscita con la consapevolezza di aver visitato un’esposizione solo all’apparenza facile: in realtà, Sinibaldo Scorza. Favole e natura all’alba del Barocco cela una struttura decisamente articolata, che permette alla mostra di prestarsi a diversi piani di lettura, e quello del “Sinibaldo Scorza pittore di animali” non è che uno dei tanti. Si tratta di un notevole punto a favore per una rassegna fondata su un solidissimo progetto scientifico, tanto che l’ottimo catalogo funge anche da prima monografia sull’artista (sono presenti anche le schede dei dipinti non esposti). Benché il pittore sia poco conosciuto e il suo raggio d’azione si debba circoscrivere a un ambito prettamente locale, ci si sente di dire che la mostra genovese rappresenta uno degli eventi espositivi più interessanti dell’anno a livello nazionale: negli spazî invero un po’ angusti di Palazzo della Meridiana (a volte si ha la sensazione di trovarsi dinnanzi a un sovraffollamento di opere, ma la loro qualità e l’interesse che suscitano è tale che non ci si fa troppo caso) è stata allestita una mostra che, per numero di opere esposte in relazione alla produzione conosciuta dell’artista, per capacità d’inquadratura nel contesto, per profondità del progetto che la sostiene, per capacità di comunicare a un pubblico non necessariamente avvezzo all’arte della Genova del XVII secolo (da segnalare il buon livello dei pannelli esplicativi che, sebbene solo in italiano, offrono una base molto chiara - e non è cosa da dar per scontata - per comprendere i temi della mostra), può tranquillamente competere con gli eventi “di punta” della stagione espositiva nazionale. E questo tralasciando il fatto che la mostra si presenta anche come una base importante per futuri studî sull’arte di Sinibaldo Scorza e, più in generale, sul Seicento genovese. Infine, come anticipato, merita una menzione la mostra di disegni a Palazzo Rosso, curata da Piero Boccardo: i continui rimandi all’esposizione di Palazzo della Meridiana, la qualità e la finezza dei fogli esposti, la possibilità che questi ultimi offrono per inquadrare formazione, fonti e metodo di Sinibaldo Scorza la rendono un’occasione di approfondimento unica, meritevole d’una visita altrettanto attenta.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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