Piero di Cosimo, vita e opere di un artista diverso


Piero di Cosimo è stato uno dei pittori più stravaganti del Rinascimento fiorentino. La vita, le opere, lo stile.

Piero di Cosimo (Pietro di Lorenzo; Firenze, 1462 – 1522) è stato un pittore fiorentino molto curioso, un genio dotato di grandissima fantasia. Per questo motivo si colloca in quella schiera di artisti più originali di inizio Cinquecento che condurranno poi alle torsioni tipiche della Maniera. Cominciò il suo apprendistato nella Firenze degli anni Settanta del Quattrocento e, pur lavorando sempre accanto ai maestri più famosi del momento, si distinse grazie allo spirito creativo eccentrico per il quale ancora oggi è conosciuto e apprezzato.

Per quanto Piero si misurasse facilmente con gli artisti del suo tempo, non tenne mai ad inserirsi nell’ambiente artistico di Firenze. Infatti, è solo nel gennaio 1504 che il suo nome compare per la prima volta in un documento pubblico: a lui ed altri ventotto artisti (fra cui Leonardo, Botticelli, Filippino Lippi) si domandava un parere circa la collocazione del David di Michelangelo. Pochi mesi dopo chiese l’immatricolazione nell’arte dei Medici e Speziali. All’epoca, Piero di Cosimo aveva superato i quarant’anni e lavorava a Firenze da almeno venticinque. Nonostante le indiscusse capacità gli procurassero committenti importanti, tra le famiglie più illustri della città, per tutto questo tempo rimase ai margini della scena fiorentina.

Era un anticonformista: da sempre la critica lo considera un pittore estroso, una persona difficile. È Giorgio Vasari ad aprire questa tendenza e, pur attribuendogli un “ingegno astratto e difforme”, racconta la sua vita come se si trattasse di un romanzo, cedendo volentieri all’aneddoto. Le poche informazioni che conosciamo sulla vita di Piero le dobbiamo a lui, che ci restituisce il ritratto dell’artista come di un uomo che viveva in disparte, secondo le proprie regole, distaccato dalla società, ma attentissimo ammiratore della natura (aspetto, quest’ultimo, che lo ha avvicinato spesso al genio di Leonardo). E proprio secondo natura voleva vivere, lasciando che facesse il suo corso: un’attitudine brulla e animalesca gli conferiva quell’aura selvatica che si può individuare nelle sue opere.

A causa di questo suo carattere (sebbene fosse più probabilmente una scelta, un pensiero di vita consapevole) la sua arte è fatta di invenzioni capricciose, di un eloquio fantasioso. Creò anche opere di contenuto religioso, ma è soprattutto nella produzione profana e mitologica che trovò campo libero il suo linguaggio figurativo grottesco, complesso e vibrante. Proprio per questo fervore non comune che lo animava continuerà ad essere ripreso e riletto nei secoli: conoscerà un’importante fortuna critica nell’Ottocento, tra recuperi, nuove attribuzioni ed esposizioni. Dall’inizio del XX secolo gli vennero attribuite erroneamente molte opere, perché oramai si tendeva a pensare che ovunque ci fosse qualcosa di grottesco, allora ci fosse la sua mano. L’arte di Piero viene rilanciata con André Breton, che, rimasto affascinato, la accosta a quella di Leonardo e Paolo Uccello, e rievoca il pittore nelle sue teorie sul surrealismo, restituendone la concezione dell’arte nel suo aspetto più magico.

Vita di Piero di Cosimo: amico della solitudine

Piero di Lorenzo nacque tra 1461 e 1462 a Firenze, da una famiglia di artigiani. Il padre Lorenzo di Piero secondo Vasari era di mestiere orafo, ma tutti i documenti lo riconducono al mestiere di “succhiellinaio”, vale a dire un artigiano di modeste origini. Gli affari dovettero mettersi in una buona direzione, perché nel 1469 Lorenzo di Piero dichiara di possedere due case, e i beni aumentarono con l’aggiunta di terre in campagna. L’artista era detto “di Cosimo” perché all’età di diciotto anni venne messo a bottega da Cosimo Rosselli, dopo un’adolescenza un poco irrequieta. Nel 1481, papa Sisto IV chiamò in Vaticano un’equipe di pittori fiorentini per la realizzazione degli affreschi nella Cappella Sistina, prima dell’intervento di Michelangelo. Lorenzo il Magnifico inviò i migliori, tra i quali figurava anche Cosimo Rosselli. E questi era così affezionato al ragazzo che lo portò con sé: “gli portò amore come a figliuolo e come tale lo tenne sempre” (Vasari); Rosselli evidentemente non provava per il ragazzo alcuna gelosia di mestiere, poiché, stando a Vasari, “spesso spesso gli faceva condurre molte opere che erano di importanza, conoscendo che Piero aveva e più bella maniera e miglior giudizio di lui”. Così, non solo si distinse per bravura e originalità sui ponteggi della Sistina, ma, al contempo, il giovane pittore fu libero di accogliere e rielaborare gli stimoli offerti da quell’ambiente, trovando confronto e imparando dagli altri maestri. In questo modo formò il suo stile senza le interferenze del maestro.

L’intervento nella Cappella Sistina è una data sicura nella vita di Piero, insieme a quella della sua morte, il 1522 (da smentire il Vasari, secondo il quale l’artista scompare nel 1521). La biografia di Piero si compone di queste poche notizie. La vera narrazione, quella che contribuì alla fortuna del pittore, si costruisce intorno al suo temperamento, che lo storiografo aretino illustra tramite vari aneddoti: la “stranezza del suo cervello”, scrive, si acuisce alla morte del maestro Cosimo. “Stava rinchiuso e non si lasciava veder lavorare”, scrive Vasari, “e teneva una vita da huomo più tosto bestiale che humano. Non voleva che le stanze si spazzassino, voleva mangiare allora che la fame veniva, e non voleva che si zappasse o potasse i frutti dell’horto, anzi lasciava crescere le viti e andare i tralci per terra, e i fichi non si potavano mai né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa, come la sua natura; … le cose d’essa natura bisogna lassarle custodire a lei senza farvi altro. Recavasi spesso a vedere o animali o erbe o qualche cosa che la natura fa per istranezza e accaso di molte volte, e ne haveva un contento e una satisfazione che lo furava tutto a se stesso”.

Misantropo, inselvatichito come il suo orto volutamente trascurato: Piero aveva certamente un carattere bizzarro e stravagante, ma la sua attitudine a lasciar spazio alle volontà della natura emerge soprattutto come una precisa scelta di vita. L’attenzione che Piero riservava ai dati naturali ne fa un osservatore con una predilezione molto simile a quella che aveva Leonardo. Vi allude anche Vasari: “fermavasi talora a considerare un muro dove lungamente fusse stato sputato da persone malate, e ne cavava le battaglie de’ cavagli e le più fantastiche città”. Si rievoca dunque il passo di Leonardo nel suo Trattato della Pittura, dove parla di una macchia lasciata “da una spugna piena di diversi colori”. E “in tale macchia si vedono le varie invenzioni di ciò che l’uomo vuole cercare in quella”. L’atteggiamento solitario tenne Piero di Cosimo agli angoli dalla scena artistica fiorentina fino ai quarant’anni, sebbene fosse attivo e lavorasse per le famiglie più illustri. Soprattutto, era legato alla famiglia del Pugliese, che gli commissionò la Pala di Saint Louis e i pannelli del ciclo della Preistoria.

Nel 1492 moriva il Magnifico, imperversava Savonarola con i suoi sermoni, si affacciava la breve repubblica di Pier Soderini. I Pugliese erano antimedicei e simpatizzavano per i sermoni del frate; Francesco del Pugliese, due volte priore di Firenze, sarebbe stato esiliato nel 1513, dopo aver appellato malamente Lorenzo de’ Medici in pubblico. Negli ultimi anni, il pittore era afflitto da manie patologiche e ossessioni: il diario del Pontormo racconta che la sua bottega veniva disertata e che Andrea del Sarto non sopportava più le sue stravaganze. Amico della solitudine, Piero divenne sempre più schivo e, soprattutto in vecchiaia, frustrandosi per non riuscire più a dipingere, “venivagli voglia di lavorare, e per il parletico non poteva. Et entrava in tanta collera, che voleva sgarare le mani che stessero ferme, e mentre che e’ borbottava, o gli cadeva la mazza da poggiare o veramente i pennelli, che era una compassione”.

Piero di Cosimo, Madonna col Bambino in trono e i santi Lazzaro e Sebastiano (1481-1484 circa; tavola, 166 x 125 cm; Montevettolini, chiesa dei Santi Michele arcangelo e Lorenzo martire)
Piero di Cosimo, Madonna col Bambino in trono e i santi Lazzaro e Sebastiano (1481-1484 circa; tavola, 166 x 125 cm; Montevettolini, chiesa dei Santi Michele arcangelo e Lorenzo martire)
Piero di Cosimo, San Giovannino (1480-1482; tempera e olio su tavola, 29,2 x 23,5 cm; New York, Metropolitan Museum)
Piero di Cosimo, San Giovannino (1480-1482; tempera e olio su tavola, 29,2 x 23,5 cm; New York, Metropolitan Museum)
Piero di Cosimo, Pala di Saint Louis (1481-1485 circa; tempera su tavola, 166,4 x 113 cm; Saint Louis, Saint Louis Art Museum)
Piero di Cosimo, Pala di Saint Louis (1481-1485 circa; tempera su tavola, 166,4 x 113 cm; Saint Louis, Saint Louis Art Museum)
Piero di Cosimo, La Visitazione con i santi Nicola di Bari e Antonio abate (1489-1490 circa; Tavola; Washington, D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection)
Piero di Cosimo, Visitazione con i santi Nicola di Bari e Antonio abate (1489-1490 circa; tavola, 184 x 189 cm; Washington, D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection)

Opere ed evoluzione stilistica: fra stravaganze e aperture al nuovo

Circa la cronologia delle opere di Piero sussistono molti dibattiti. Essendo tanto scarsi i documenti che lo riguardano, è difficile orientarsi nella sua produzione. Anche Vasari, nella biografia, cede spesso volentieri all’aneddotica senza offrire grandi segnalazioni in merito alla sua crescita artistica. Generalmente, la ripartizione cronologica delle opere è sempre stata affidata al confronto puntiglioso con la cultura fiorentina del tempo, tra 1480 e 1520. Considerando l’anima estrosa di Piero, volubile e spesso imprevedibile, il metodo risulta tuttavia debole, e non è raro che su alcuni oggetti la critica arrivi a conclusioni lontanissime fra loro. Emblematico il caso del ritratto della Bella Simonetta, la cui datazione divide la critica tra 1480 e 1520. Il profilo della donna, dall’incarnato chiaro e marmoreo, spicca da un cumulo di nuvole scure, assumendo un rilievo assimilabile a quello di un cammeo antico. Questa soluzione di nuvole, posta a generare un contrasto tonale, veniva già proposta da un Piero di Cosimo esordiente, per la precisione nella scena de L’esercito del Faraone sommerso nel Mar Rosso, nella Cappella Sistina. Per questa ragione il ritratto potrebbe riferirsi a un momento vicino al soggiorno romano (1481-1482). Complessivamente, il gruppo delle opere giovanili è quello in cui si individuano gli influssi dell’arte fiorentina del 1480-1490: nella Pala di Montevettolini si intravedono i riflessi ancora acerbi di Filippino Lippi e di Leonardo, così come nel San Giovannino di New York. Ancora giovane è il Piero della Pala di Saint Louis, commissionata dalla famiglia del Pugliese, dove le forme patetiche e affinate dell’abbraccio dei due protagonisti ricordano Filippino. Alle pienezze delle Madonne del Ghirlandaio Piero pensa invece quando realizza la Madonna con il Bambino, che si trova adesso in una collezione fiorentina privata.

I dipinti menzionati non toccano il 1490: lo stesso vale per la Visitazione con i Santi Nicola e Antonio Abate, oggi alla National Gallery di Washington. Con i suoi colori limpidi e squillanti, questo dipinto su tavola è particolarmente significativo poiché segna uno spartiacque nella produzione di Piero, portando con sé la conferma del contatto del pittore con l’ambiente nordico. Già di per sé incline allo studio delle “istranezze” della natura, estremamente affascinato dalle sottigliezze nate dal caso, qui Piero acuisce quel suo naturalismo fiammingo accentuando l’atmosfera nordica nelle architetture delle case, nella resa dell’albero e degli uccelli. La luce è cruda e i riflessi si fanno smaltati, le verità naturali sono esasperate. È, questa, una tendenza che si consoliderà sempre di più. Si intuisce il confronto con Hieronymus Bosch, ma fu la conoscenza del Trittico Portinari di Hugo Van der Goes che dovette segnare intensamente la sua evoluzione pittorica.

La grande cura riservata ai dettagli doveva comportare un ritmo lento nel modus pingendi dell’artista. Tant’è che in quarant’anni di attività gli si possono attribuire solo una cinquantina di dipinti. Firenze, nell’ultimo decennio del XV secolo, viveva il suo forte periodo di crisi, e intanto restavano un anziano Botticelli, Lorenzo Credi, il Ghirlandaio, e vi esercitavano anche Perugino e Signorelli. In pieno fermento politico, Piero continua a rimanere isolato e conduce la sua vita con l’animo leggero, restando vicino alla famiglia del Pugliese. Per il loro palazzo di famiglia, dipinse alcune “storie di figure piccole” identificate dalla critica con i pannelli ora ad Oxford e a New York, spalliere di una sala fiorentina in cui venivano narrate le Storie dell’umanità primitiva (leggi qui un approfondimento). Nulla, in quel momento, si avvicinava a una fantasia così vivace. Piero raccontava una natura tenera e selvaggia, facendo un puntuale ricorso all’uso simbolico del fuoco. In queste due esecuzioni è facile intendere lo stile di vita abbracciato dal pittore, per il quale la civiltà significava un buon compromesso a patto che l’uomo restasse in contatto con la natura. Un’ottima interpretazione di questi pannelli è offerta da Erwin Panofsky nel 1939. Commissioni di questo tipo, di superficie ridotta e di contenuto profano incontrano l’ingegno “astratto e difforme” di Piero, che riesce così a sfogare la sua grande capacità immaginifica, uscendo dagli schemi e senza abbandonare la sua ricercata componente naturalistica. Qualcosa che era più difficile perseguire nelle grandi pale di soggetto religioso, spesso richieste dalle famiglie committenti.

Accanto a una famiglia dalle tendenze repubblicane accentuate, Piero di Cosimo ha radi incontri con l’ambiente più strettamente mediceo, al quale lo avvicina solo l’amicizia con l’architetto Giuliano da Sangallo, testimoniata da un ritratto. Alle soglie del Cinquecento, Piero di Cosimo si confronta con Bartolomeo della Porta, Leonardo (che tornava a Firenze dal 1500 al 1506) e con Raffaello. Con quest’ultimo ci sarà uno scambio fertile sulla considerazione della luce, ma lo scatto evoluzionistico avviene soprattutto grazie al dialogo con Leonardo. Vasari guarda a Piero di Cosimo come una sorta di Leonardo istintivo e “plebeo”: dal genio di da Vinci si possono ravvisare citazioni precise nelle opere di Piero databili al primo decennio del nuovo secolo. Nell’angelo della Madonna Cini, Federico Zeri ha identificato il modello nella torsione esasperata della Leda leonardesca. Ancora Piero guarda a Leonardo e alla sua Battaglia di Anghiari quando comporrà la Lotta tra Centauri e Lapiti, in quelle forme ritorte e intricate dei corpi, negli intrecci convulsi. È però in uno dei più bei dipinti di Piero che si percepisce nitidamente l’apporto di Leonardo: nella Morte di Procri, Piero può svagarsi ampiamente nell’illustrare le Metamorfosi di Ovidio. Di incerta datazione (ultimo decennio del secolo - 1510), qui la radice fiamminga si stempera nelle gradazioni azzurre e sfumate leonardesche. L’orizzonte perde consistenza, dimentico dei dettagli della Visitazione, e degrada nel velo dell’atmosfera.

Nell’ultimo periodo ritroviamo una sorta di ritorno all’ordine. La Pietà di Perugia e la pala di Borgo san Lorenzo portano Piero nel solco della produzione religiosa, che è un genere poco affine al suo temperamento. Gli dovevano pesare le iconografie imposte dato che, appena ne aveva l’occasione, le stravolgeva. Nella tarda attività, Piero ritrova un rigore diverso, che sfiora un po’ l’impaccio come nella Pietà di Perugia dove lo schema (derivato dal Perugino) è più presente. Altrettanto accade nel quadro mitologico: con le spalliere raffiguranti le Storie di Prometeo, la composizione restituisce simmetria, una corrispondenza quasi speculare di gesti. Il paesaggio si semplifica, i colori si spengono in tonalità più basse. Alla fine della sua vita, l’artista sembra attratto dai nuovi maestri, la scia neoleonardesca segnata da Andrea del Sarto e da un giovane Rosso Fiorentino. Ma ora è impacciato, non ha più quella grinta nel voler sovvertire, la sua pennellata ha perso vigore.

Piero di Cosimo, Scena di caccia (1494-1500 circa; tempera e olio su tavola, 70,5 x 169,5 cm; New York, Metropolitan Museum)
Piero di Cosimo, Scena di caccia (1494-1500 circa; tempera e olio su tavola, 70,5 x 169,5 cm; New York, Metropolitan Museum)
Piero di Cosimo, Madonna col Bambino e due angeli (1505-1507 circa; tavola, 116 x 85 cm; Venezia, Fondazione Giorgio Cini,Galleria di Palazzo Cini)
Piero di Cosimo, Madonna col Bambino e due angeli (1505-1507 circa; tavola, 116 x 85 cm; Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Galleria di Palazzo Cini)
Piero di Cosimo, Lotta tra i Centauri e i Lapiti (1500-1515 circa; olio su tavola, 71 x 260 cm; Londra, National Gallery)
Piero di Cosimo, Lotta tra i Centauri e i Lapiti (1500-1515 circa; olio su tavola, 71 x 260 cm; Londra, National Gallery)
Piero di Cosimo, Morte di Procri (1495 circa; olio su tavola, 65,4 x 184,2 cm; Londra, National Gallery)
Piero di Cosimo, Morte di Procri (1495 circa; olio su tavola, 65,4 x 184,2 cm; Londra, National Gallery)
Piero di Cosimo, Pietà (1510 circa; olio su tavola, 190 x 112 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Piero di Cosimo, Pietà (1510 circa; olio su tavola, 190 x 112 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)

Dove trovare le opere di Piero di Cosimo

Piero agli albori della sua attività si può vedere a Roma, nei particolari e nei paesaggi degli affreschi della Cappella Sistina. Ancora nella capitale, alla Galleria Nazionale d’Arte Antica, c’è una splendida Maddalena a dare prova di una delle più alte soluzioni della ritrattistica di Piero. A Perugia è la Pietà degli ultimi anni, mentre agli Uffizi si conservano il Perseo e Andromeda e l’Incarnazione di Gesù. Sempre a Firenze, il Museo degli Innocenti ospita la Sacra Conversazione del Pugliese. A Roma, le Gallerie Nazionali d’Arte Antica conservano la Santa Maria Maddalena (leggi qui un approfondimento). Alcune opere di Piero si trovano presso piccoli centri della Toscana: a Montevettolini (nei pressi di Pistoia) è possibile ammirare la Pala di Montevettolini, a Fiesole si trova l’Immacolata concezione, mentre la pieve di San Lorenzo a Borgo San Lorenzo accoglie la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Tommaso. Fuori dall’Italia, al Museo Condé di Chantilly si trova il ritratto della Bella Simonetta.

La maggioranza delle opere di Piero di Cosimo, e tra le più belle menzionate in precedenza, si rileva nei paesi anglofoni: la fortuna di questo artista è stata sollevata soprattutto dopo che André Breton, nella prima metà del Novecento, lo ha riscattato dall’oblìo annoverandolo tra quegli artisti che avevano una visione magica, astratta dell’arte. Quindi la Battaglia dei centauri e dei Lapiti, la Morte di Procri si trovano alla National Gallery di Londra. La pala con la Visitazione è alla National Gallery of Art di Washington, il San Giovannino al Metropolitan Museum of Art a New York.


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